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martedì 14 agosto 2018

 

Addio al Quantitative Easing: scenari economici futuri senza la garanzia della BCE

di Emilia Urso Anfuso 

 

Mi capita spesso, e in ambienti diversi, di sentire frasi del genere: “Ah no! A me non importa l’economia, per carità. Certe tematiche non sono di mio interesse”! Lo stesso criterio è applicabile, a secondo del luogo o del momento o delle persone, anche alla politica. Ogni volta che ciò accade, a me vengono i brividi, perché si, certo, è vero che non tutti possono essere interessati ad approfondire certe tematiche, ma sono tematiche – lo ricordo spesso – che sono parte integrante della vita di ogni singolo cittadino e anche di quelli che ancora devono nascere.

 

Di conseguenza, davvero mi stupisco di come la maggioranza delle persone, al di là della cultura, del ceto sociale, della preparazione e del livello intellettivo, evitino come la peste di sapere cosa sarà della loro esistenza e dei loro averi.

 

In queste circostanze, mi sovviene sempre un pensiero: la missione di noi giornalisti, almeno di noi che abbiamo preso davvero come una missione il fatto di mantenere informate le persone, non deve mai cedere di un millesimo. Certo è, che se certe persone – molte – poi non leggono ciò che scriviamo, perché da tutt’altre faccende affaccendate…

Ad ogni modo, ritengo sia giunto il momento di parlare di qualcosa che molti italiani ignorano. Mai sentito parlare di “Quantitative Easing”? Forse anche si, ma cosa si è compreso essere? Perché non basta aver sentito un termine, o averlo letto distrattamente, anche più di una volta, per comprendere l’impatto che il contenuto di quel termine ha e avrà sulle nostre esistenze.

 

Nel caso del Quantitative Easing, è bene leggere e sapere. Perché è una misura introdotta recentemente ma che sta per essere tolta. E ciò che potrà accadere, una volta cancellata, non sa di buono per il futuro di tutti noi.

Inizio col spiegare, in maniera semplice e a vantaggio di ogni lettore, cos’è.

 

Quantitative Easing: cos'è?

Introdotto in Europa nel 2015 da Mario Draghi, Presidente della BCE, il Quantitative Easing è – volendo semplificare al massimo – una boccata di ossigeno monetaria, per sostenere le nazioni in crisi economica.

 

Nella pratica, è la banca centrale – nel caso dell’Europa la BCE – a  immettere nuova moneta, attraverso l’acquisto di nuovi titoli finanziari, che possono però essere sia titoli di Stato che titoli tossici. Quando avviene questo acquisto, accade subito una cosa: i titoli acquistati aumentano di prezzo, e diminuisce il rendimento. 

 

Senza voler troppo utilizzare termini tecnici e astrusi: questo abbattimento del rendimento, rende possibile una riduzione percentuale dei debiti che le famiglie contraggono nei confronti delle banche, e permette anche un altro fatto: i mutui a medio termine hanno un costo minore.

 

Ma non è tutto: in Europa questo sistema ha permesso, ad esempio, di mantenere – nelle nazioni con il debito pubblico più alto - una certa stabilità sui prezzi e anche di non andare oltre il 2% di inflazione.

 

A cosa serve nell'economia in crisi di una nazione?

Quindi: immettere moneta sui mercati, attraverso l’acquisto di titoli di Stato e titoli finanziari a breve termine, permette di alleggerire gli aspetti negativi di una grave crisi economica come quella che subiamo da 10 anni.

 

Però, non è possibile continuare a immettere moneta attraverso l’acquisto di titoli di Stato a breve scadenza, e quindi, ci sono gli step successivi: si passa così ad acquistare titoli a media scadenza, e poi anche le sofferenze bancarie, rappresentate dai crediti non restituiti, ma è anche possibile l’acquisto, sempre da parte della Banca Centrale, di quote capitale di imprese private.

 

Fin qui, sembrerebbe un sistema assolutamente efficace, almeno per ciò che riguarda l’aspetto legato all’economia delle famiglie, ma così non è. Con questo metodo infatti, si permette agli istituti bancari di ottenere maggiore liquidità, e questa liquidità dovrebbe poi essere dedicata alle famiglie e alle imprese che chiedono finanziamenti, mutui e prestiti. 

Cosa che, nel nostro paese, non è accaduta. Anzi. Parallelamente all’inoculazione di grossi flussi di liquidità al sistema bancario nazionale, non è corrisposta l’apertura al credito per imprese e famiglie. 

 

E’ però anche importante capire il motivo per cui le banche non hanno poi aperto al credito, pur ricevendo sostanziose iniezioni di liquidità. Effettivamente, non tutti gli istituti di credito hanno accettato di immettere quelle liquidità nei loro forzieri. Diversi istituti hanno deciso di lasciarli in deposito presso la Banca Centrale, con rendimenti bassissimi e – in alcuni casi – addirittura senza alcun tipo di rendimento. 

 

Il ragionamento alla base è più o meno questo: meglio mantenere un rischio bassissimo, piuttosto che ottenere liquidità e rischiare di dover poi mettere in atto altre strategie finanziarie. Ma a questo punto, a che serve questa iniezione di liquidità se non serve a sostenere l’economia interna di una nazione?

 

Bè, ad esempio a non far crescere in maniera esponenziale il debito pubblico. Buona cosa, ma minima  a livello di impatto economico-sociale.

 

Altro punto che sarebbe in favore del Quantitive Easing: non permettere la deflazione. La deflazione è la diminuzione dei prezzi al consumo. Può sembrare, al primo impatto, una cosa positiva, ma non lo è sul lungo periodo, dal momento che dietro a un articolo con un prezzo basso, ci sono realtà imprenditoriali che, alla lunga, non possono sopportare i costi di produzione e gestione se poi gli articoli prodotti vengono venduti al ribasso.

 

2019: fine del Quantitative Easing

Ora però, tutto questo, sta per finire. Partito nel 2015, il programma europeo di Quantitive Easing sta per salutarci. A partire dal primo Gennaio 2019, infatti, la BCE non acquisterà più titoli di Stato dalle nazioni europee, anche se in realtà, già da questo autunno le quote di acquisto di titoli di Stato scenderanno dagli attuali 30 miliardi di euro a 15.

 

Scenari post Quantitative Easing in Italia

Cosa comporterà questo addio al Quantitive Easing? Innanzitutto, il primo impatto si osserverà proprio sul debito pubblico, che aumenterà – si provi a riflettere sul debito pubblico italiano che è ai vertici a livello europeo – e ciò per effetto dell’aumento degli interessi dei titoli di Stato.

 

Inoltre, senza l’ossigeno procurato dall’immissione di liquidità da parte della BCE, i singoli stati europei dovranno tornare a negoziare la vendita dei loro titoli di Stato, molto più semplicemente: dovranno ricominciare a trovare acquirenti, ritrovandosi con un antico problema, quello di dover trovare acquirenti affidabili. E come la BCE, in effetti, non se ne trovano a ogni angolo.

 

A questo punto peraltro, al momento di dover redigere le Leggi di bilancio, saranno le nazioni con una valuta e un’economia più forti e stabili ad avere la meglio, mentre nazioni come l’Italia si ritroveranno non solo a dover contrastare l’aumento del debito pubblico ma anche nella situazione di rendersi convincenti nei confronti di possibili acquirenti dei propri titoli di Stato. Un vero problema.

 

Non è finita ovviamente, perché a parte la finanza, le banche, l’economia dei grandi numeri, la cosa più importante è l’impatto che ci sarà sulle famiglie. Con la fine di questa strategie finanziaria, e con il naturale innalzamento degli interessi sui titoli di Stato, ecco che mutui e prestiti subiranno a loro volta degli aumenti, e chi li ha contratti si ritroverà con rate più alte da pagare.

 

Cosa accadrà in Italia?

Al di là di questi tecnicismi, che ho tentato – e spero di esserci riuscita – in maniera comprensibile a tutti, occorre anche riflettere a come l’Italia, nazione a rischio default (mai definitivamente accaduto anche grazie al Quantitive Easing) affronterà il nuovo panorama finanziario e cosa succederà all’assetto economico e politico.

 

Senza il sostegno della liquidità data alle banche, i prezzi saliranno, gli interessi di mutui e finanziamenti anche, non sarà più possibile ottenere una garanzia sull’inflazione, e nemmeno una sorta di scudo che rendeva possibili – ad esempio – manovre finanziare non del tutto aggressive nei confronti dei cittadini.

 

Insomma: le garanzie per gli italiani verranno a mancare, l’economia delle famiglie subirà un contraccolpo a causa dell’aumento di prezzi, mutui e prestiti. Inoltre, lo Stato dovrà batter cassa da qualche parte, visto che dovrà trovare acquirenti per vendere titoli che non saranno troppo ambiti sui mercati internazionali, e se pensiamo per un attimo che in Cassa Depositi e Prestiti – che fotografa solo il risparmio postale degli italiani – la giacenza parla di circa 4.300 miliardi di euro, in netto aumento rispetto allo scorso anno (significa che gli italiani stanno mettendo da parte più soldi) un dubbio sul fatto che possano anche pensare di metter mano direttamente nei portafogli degli italiani, dovrebbe sorgere.

 

Allora, altro che “Flat Tax”, abbattimento delle tasse e delle imposte, sviluppo del mercato del lavoro e la luce fuori dal tunnel. Potrebbe, e ribadisco “potrebbe” iniziare il vero periodo cupo per gli italiani, per l’economia di famiglie e piccole e medie imprese, e per la tenuta globale del sistema economico e finanziario nazionale.

 

Un esempio pratico: quando, ai tempi del governo Renzi, si faceva un gran clamore sul fatto che l'I.V.A. non sarebbe ulteriormente aumentata, nessuno chiariva ai cittadini che anche questo era possibile grazie all'avvento del Quantitive Easing. Si immaginino quindi tutte le possibili implicazioni future.

 

Considerando poi che è facile prevedere come il debito pubblico nazionale  non sarà affatto abbattuto, in special modo con l'addio al Quantitative Easing, nel nosro paese si assisterà quasi certamente a un aumento delle spese globali per le famiglie, che potranno subire una sorta di prelievo forzoso che se non passa per l'accesso diretto - da parte del Tesoro - ai conti correnti dei cittadini (come avvenne nel '92 durante il governo Amato) passerà per una più pesante pressione fiscale e per prezzi e tariffe maggiorate.

 

Fa meno effetto pagare durante l'anno 1000 euro in più a causa di aumenti delle tariffe e una maggiore pressione fiscale piuttosto che vedersi succhiare denaro direttamente dal conto corrente. Strategie sofisticate, che minano in maniera peggiore il diritto dei cittadini a mantenere stabile la propria economia.

 

La crisi in Turchia e l'impatto sull'Italia dopo lo stop del Quantitive Easing

Senza dimenticare anche la crisi che si è scatenata recentemente in Turchia, causata da un alto debito pubblico, da una sfiducia internazionale nei confronti della nazione, anche a causa delle politiche di chiusura imposte da Erdogan e dal non aver voluto allinearsi alle richieste della UE a livello di misure di stabilità economica. Un po’ come l’Italia insomma, che può subire quello che in gergo si chiama “contagio”.

 

Attualmente l’Italia è il quarto partner commerciale della Turchia, è bene ricordarlo. E’ una buona notizia in tempi buoni, ma diviene brutta in tempi di crisi. E’ bene anche osservare come la Turchia di Erdogan sia molto simile all’Italia dei governi degli ultimi anni: per mantenere una linea non troppo repressiva sull’economia interna, e quindi repressiva sulla popolazione, si è preferito varare misure a piccolo e medio raggio, facendo pensare alla gente che “prima o poi il debito pubblico scenderà” o che “prima o poi la UE non ci chiederà il pareggio di bilancio”. Menzogne, ovviamente.

 

Quando poi queste strategie che sono solo misere pezze a colori, saltano per aria, ecco che a pagarne le prime conseguenze sono i cittadini.

 

Molto più sinteticamente: l'Italia ha sfruttato molto male le opportunità fornite dalla BCE attraverso il Quantitative Easing, preferendo giobbare gli italiani su misure che, ora, non saranno rimandabili, a meno di nuove misure da parte della BCE.

 

Conclusioni

Che fare? Un vecchio detto recita: “Non esiste cattivo tempo, ma solo cattivo equipaggiamento”.

 

Sapendo che la situazione, a breve, non sarà delle migliori economicamente parlando, riflettere su come subire l’impatto nel miglior modo possibile. Chi ha i propri averi investiti nei modi tradizionali, farebbe bene a riflettere se non sia il caso di acquistare pregiati pezzi di antiquariato – pignorabili ma non accessibili nottetempo con una manovrina – o altri beni tra quelli scelti, guarda caso, dai potenti della terra. 

 

Che del denaro e delle misure finanziarie internazionali, conoscendoli bene, non si fidano affatto…

 


Fonte: http://www.gliscomunicati.com/content.asp?contentid=10204

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