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31 agosto 2018

 

Argentina, Turhcia, Cile: i debiti strangolano intere economie. E da noi…

di Dario Rivolta

Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.

 

Tutte le persone con un po’ di testa sulle spalle (e in Italia tra chi si occupa di politica ce ne sono sempre di meno) guardano con timore verso l’ultimo trimestre di quest’anno. Due sono i fattori che, volenti o nolenti, ci toccheranno da molto vicino. Uno riguarda la prossima legge di bilancio e cosa deciderà di farne il governo. Se cercherà di mantenere le promesse fatte agli elettori, cioè l’introduzione di una flat tax, un reddito di cittadinanza (comunque si voglia chiamarlo), l’abolizione della legge Fornero, il non aumento dell’IVA e magari anche altro, la domanda è: dove si troveranno, e come, i soldi necessari? Qualora si decidesse, come qualche ministro sembra orientato a fare, di farlo tramite un aumento del debito pubblico ciò significherà una netta rottura con l’Europa di Bruxelles e il grande rischio che la speculazione internazionale si scateni contro di noi, obbligandoci ad aumentare gli interessi sui bond nostrani. La conseguenza sarebbe (sempre che si riesca finanziariamente a sopravvivere) un appesantire ulteriormente il carico che si lascia alle prossime generazioni. Non è poi detto che una simile Finanziaria possa essere accettata dal presidente della Repubblica perché la Costituzione, modificata dal Parlamento nei peggiori anni della crisi, proibisce il non pareggio di bilancio e comunque ogni nuova spesa deve essere “coperta” per poter essere accettata.


Il secondo momento di preoccupazione, parzialmente indipendente dal primo, è la decisione della Banca Europea di terminare il proprio acquisto del debito pubblico degli Stati membri. Ciò implicherà che i nostri Bond dovranno trovare da soli il gradimento del mercato. Vista l’incertezza politica ed economica che attraversa il nostro Paese, è possibile immaginare che per conquistare gli investitori il Tesoro sarà obbligato ad aumentare i tassi d’interesse da pagarsi su ogni nuova emissione. Dunque, altri debiti che aumenteranno il peso dei precedenti.


Nessuno spera che l’una o l’altra cosa accadano, ma la situazione diventerebbe addirittura un disastro se si realizzassero entrambi quegli eventi.
Come se non bastasse, è bene sapere che la situazione italiana non è nemmeno la più pericolosa nel mondo di oggi.


Notoriamente, ogni Paese è attualmente interconnesso, economicamente e finanziariamente, con tutti gli altri anche se c’è chi lo è di più e chi di meno. Ciò che accomuna però moltissimi Paesi del mondo è di avere in carico un enorme quantità di debiti in dollari, siano essi pubblici o privati. La relativamente bassa quotazione del dollaro e soprattutto i bassissimi tassi di interessi che erano da pagarsi indebitandosi in questa valuta ha spinto una quantità di soggetti a farlo. Tra il 1990 e il 2000 i debiti cumulati in dollari passarono da 642 miliardi a 2,17 bilioni. Secondo i dati della Bank of International Settlements esplicitati nel suo ultimo report trimestrale, la cifra dell’indebitamento mondiale in quella valuta è arrivata nel marzo 2018 al volume record di 11,5 bilioni. Il rischio cui ci si trova ora di fronte è che, visto l’aumento dei tassi di interesse già iniziato e confermato per il futuro dalla Federal Reserve, e con il prevedibile aumento di valore del dollaro sulle altre monete, molti dei debitori piu’ deboli non saranno in condizione di farvi fronte.


Lo abbiamo visto recentemente con la crisi finanziaria e valutaria che ha toccato la Turchia ma anche altri Paesi sono già, o stanno per arrivare, nella medesima situazione. La stessa Banca sopra citata (BIS) ha identificato un gruppo di Stati a maggior rischio che sono, oltre alla Turchia, il Messico, l’Argentina, il Sud Africa, l’Indonesia e il Cile. Ciò che li accomuna è, in diversa misura, un’altissima percentuale di debito estero denominato nella valuta americana e la svalutazione subita dalla loro moneta nelle ultime settimane. 


Il debito estero turco corrisponde a circa 200 bilioni di cui il 50% in dollari. Tale ammontare è pari al doppio delle riserve in oro e valuta straniera che possiede. In aggiunta a questa pericolosa circostanza, la sua economia deve affrontare la diminuzione degli investimenti stranieri, una forte svalutazione e un corrispondente calo di valore della lira turca. Quanto ciò ci possa toccare da vicino lo si è visto con la reazione che la nostra Borsa ha riservato alle banche italiane particolarmente esposte su quel Paese e alle aziende nostrane che vi avevano trovato un ottimo mercato per le proprie esportazioni. 


L’Argentina è in una situazione peggiore: il peso si è svalutato contro il dollaro del 9,5% in una settimana e del 45% dall’inizio anno e la discesa sembra continuare. Il governo ha annunciato di voler vendere almeno 500 milioni di riserve e di aumentare i tassi di interesse fino al sessanta percento. Basterà o succederà ancora ciò che successe quindici anni orsono con il fallimento del Paese?


Chi sta perfino peggio è il Cile. Il suo debito estero arriva al 66% del Prodotto Nazionale Lordo e la sola parte in dollari corrisponde a circa 100 bilioni. Il problema è che le sue riserve non superano i 37 bilioni. Anche il Rand sud-africano soffre e ha perso l’otto percento. Le sue riserve totali sono di circa 51 bilioni ma potrebbero ripagare solo il 28 percento del debito estero acceso.


Chi potrebbe vedere molto migliorata la propria condizione è il Messico, dopo l’annuncio della firma di un nuovo accordo sugli interscambi con gli USA (forse è anche questa la ragione per cui Città del Messico non ha potuto forzare la mano nelle trattative). Senza tale intesa, i problemi sarebbero stati molto rilevanti: il suo debito in dollari è di 271 bilioni ed è molto superiore alle riserve disponibili. Probabilmente, perché in attesa di quella firma, il peso non si è molto svalutato, ma se l’accordo non fosse arrivato era ben possibile una forte svalutazione.


Anche Cina e Arabia Saudita hanno una forte esposizione in dollari ma entrambe hanno una quantità di riserve tali (i cinesi sono anche i maggiori possessori mondiali di bond americani) da metterli al sicuro da ogni pericolo valutario e finanziario legato ai tassi di interesse americani.


La BIS ha stilato una lista di 13 Paesi particolarmente a rischio (vi sono compresi anche l’India, il Brasile, la Russia, la Corea del Sud e la Malesia) ma la stessa banca sottolinea che la somma dell’indebitamento in dollari di tutti loro copre solo il 37 percento del totale mondiale e ci sono altri 7,2 bilioni di debito detenuto da altri Stati. 


Abbiamo sempre saputo (e gli americani lo sapevano prima di tutti) che il dollaro, in quanto moneta dominante nel mondo nonostante non sia convertibile in oro, ha potuto garantire agli USA un fortissimo indebitamento interno senza doverne pagare le conseguenze inflazionistiche. Sappiamo anche che, se l’economia americana va bene, è una cosa positiva per tutti i Paesi esportatori, come lo è il nostro. Ciò a cui forse la nostra stampa non ha mai dato sufficiente attenzione sono le conseguenze internazionali che andassero di là delle immediate ricadute sui tassi di cambio della dinamica dei tassi di interessi attuata dalla Federal Reserve. 


Speriamo di non dovervi fare troppo i conti ora, visto che abbiamo già sufficienti problemi interni.

 

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