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31 agosto 2018

 

I Giganti: l’élite del potere globale

di Robert J. Burrowes 

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Sviluppando la tradizione disegnata da C. Writgh Mills nel suo classico del 1956 The Power Elite [L’élite del potere], il professor Peter Phillips inizia esaminando la transizione dalle élite del potere dello stato-nazione descritte da autori come Mills, all’élite transnazionale del potere centralizzata sul controllo del capitale globale. Così, nel suo studio appena pubblicato Giants: The Global Power Elite, [Giganti: l’élite del potere globale], Phillips, professore di sociologia politica alla Sonoma State University, USA, identifica le diciassette società di gestione di patrimoni maggiori del mondo, quali BlackRock e J.P.Morgan Chase, ciascuna con più di un trilione di dollari di capitali d’investimento in gestione, come i “Giganti” del capitalismo mondiale. Le diciassette società gestiscono in totale più di 41 trilioni di dollari USA in una rete di auto-investimenti di capitali interconnessi che copre il globo.

Questi 41 trilioni di dollari rappresentano la ricchezza investito per profitto da migliaia di milionari, miliardari e imprese. I diciassette Giganti operano in quasi ogni paese del mondo e sono “le istituzioni centrali del capitale finanziario che alimenta il sistema economico globale”. Investono in qualsiasi cosa sia considerata redditizia da “terre agricole sulle quali i coltivatori indigeni sono sostituiti da investitori dell’élite del potere” ad attività pubbliche (quali le reti elettriche e idriche).

Inoltre Phillips identifica le reti più importanti dell’Élite del Potere Globale e i singoli membri. Egli nomina 389 individui (un piccolo numero dei quali è costituito da donne e un numero simbolico di essi proviene da paesi diversi dagli Stati Uniti e dai paesi più ricchi dell’Europa Occidentale) al centro delle reti non governative di pianificazione delle politiche che gestiscono, agevolano e difendono la continua concentrazione del capitale globale. L’Élite del Potere Globale svolge due funzioni unificanti, egli sostiene: mettono a disposizione giustificazioni ideologiche per i loro interessi condivisi (promulgate attraverso i media industriali) e definiscono i parametri d’azione per le organizzazioni governative transnazionali e per i gli stati-nazione capitalisti.

Più precisamente, Phillips identifica i 199 amministratori dei diciassette Giganti finanziari globali e offre brevi biografie e informazioni pubbliche del loro patrimonio netto. Questi individui sono strettamente interconnessi attraverso numerose reti associative tra cui il World Economic Forum, la International Monetary Conference, affiliazioni universitarie, vari comitati politici, circoli sociali e imprese culturali. Per un assaggio di alcuni di questi circoli si veda questo resoconto di The Links a New York. Come osserva Phillips: “E’ certamente sicuro concludere che tutti si conoscono l’un l’altro personalmente oppure si conoscono nel contesto condiviso delle loro posizioni di potere”.

I Giganti, documenta Phillips, investono gli uni negli altri ma anche in molte centinaia di società di gestione degli investimenti, molte delle quali sono semi-Giganti. Il risultato sono decine di trilioni di dollari coordinati in una singola vasta rete di capitali globali controllati da un numero molto limitato di persone. “Il loro obiettivo costante è trovare opportunità di investimenti sicuri sufficienti a garantire un ritorno sul capitale che consenta una crescita continua. Opportunità inadeguate di collocamento del capitale conducono a pericolosi investimenti speculativi, acquisto di beni pubblici e una permanente spesa per la guerra”.

Poiché gli amministratori di queste diciassette società di gestione degli investimenti rappresentano il nucleo centrale del capitale internazionale “gli individui possono ritirarsi o morire, e altre persone simili occuperanno il loro posto rendendo la struttura complessiva una rete autoperpetuante di controllo globale dei capitali. In quanto tali, queste 199 persone condividono un obiettivo comune di massimo ritorno degli investimenti per sé e per i propri clienti, e possono cercare di ottenere ritorni con ogni mezzo necessario, legale o no …. Le soluzioni istituzionali e strutturali all’interno dei sistemi di gestione del denaro del capitale globale cercano incessantemente di ottenere il massimo ritorno dagli investimenti e … le condizioni per le manipolazioni – legali o no – sono sempre presenti.”

Come alcuni ricercatori prima di lui, Phillips identifica l’importanza di quelle istituzioni transnazionali che assolvono a una funzione unificante. La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, il G20, il G7, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il World Economic Forum (WEF), la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, la Banca dei Regolamenti Internazionali, il Gruppo dei 30 (G30), il Council on Foreign Relations, e la International Monetary Conference operano da meccanismi istituzionali per la costruzione del consenso in seno alla classe capitalista transnazionale e per la formulazione e l’attuazione delle politiche dell’élite del potere. Queste istituzioni internazionali servono gli interessi dei Giganti finanziari globali appoggiando politiche e regole che cercano di proteggere il flusso libero, non ostacolato del capitale e della raccolta di debito a livello mondiale.

Ma all’interno di questa rete di istituzioni transnazionali Phillips identifica due organizzazioni importantissime della pianificazione delle politiche dell’élite globale: il Gruppo dei Trenta (che ha 32 membri) e il comitato esecutivo ampliato della Commissione Trilaterale (che ha 55 membri). Queste società senza fini di lucro, che hanno ciascuna personale di ricerca e supporto, formulano politiche d’élite e diffondono istruzioni per la loro attuazione da parte di istituzioni governative transnazionali come G7, G20, FMI, WTO e Banca Mondiale. Le politiche d’élite sono anche attuate seguendo le istruzioni del relativo rappresentante, compresi i governi, nel contesto. Questi rappresentanti, poi, operano secondo le istruzioni ricevute. Così, questi 85 membri (perché due si sovrappongono) del Gruppo dei Trenta e della Commissione Trilaterale costituiscono un gruppo centrale di agevolatori del capitalismo globale, assicurando che “il capitale globale resti protetto, sicuro e crescente”.

Così, anche se molte delle maggiori istituzioni internazionali sono controllate da rappresentanti di stati-nazione e da banchieri centrali (con un potere proporzionale esercitato da sostenitori finanziari dominanti, quagli gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione Europea), Phillips è più interessato ai gruppi transnazionali di politiche che sono non governativi  perché tali organizzazioni  “contribuiscono a unire le élite di potere della TCC [Classe Capitalista Transnazionale) come classe” e gli individui coinvolti in queste organizzazioni agevolano il capitalismo mondiale. Operano come élite politiche che perseguono la continua crescita del capitale nel mondo.

Sviluppare questa lista di 199 amministratori delle maggiori società del mondo di gestione del denaro, sostiene Phillips, è un passo importante verso la comprensione di come funziona oggi globalmente il capitalismo. Questi amministratori dell’élite del potere globale prendono le decisioni riguardanti l’investimento di trilioni di dollari. Apparentemente in competizione, la ricchezza concentrata che condividono impone loro di collaborare per il loro bene maggiore identificando opportunità di investimento e soluzioni di condivisione dei rischi e di operare collettivamente per soluzioni politiche che creino vantaggi per il loro sistema di generazione di profitto nel suo complesso.

La loro priorità fondamentale consiste nel garantire un ritorno medio dagli investimenti compreso tra il 3 e il 10 per cento, o anche più. La natura dell’investimento è meno importante di ciò che produce: continui ritorni che supportino la crescita nel mercato complessivo. Dunque l’investimento di capitali nel tabacco, in armi belliche, in sostanze chimiche tossiche, nell’inquinamento e in altri beni e servizi socialmente distruttivi è giudicato unicamente in base al rendimento. L’interesse per i costi sociali e ambientali dell’investimento è inesistente. In altri termini, infliggere morte e distruzione va bene, perché è redditizio.

Allora qual è lo scopo dell’élite globale? In poche frasi Phillips lo descrive così: l’élite è largamente unita a sostegno dell’impero militare USA/NATO che persegue una guerra repressiva contro gruppi avversari – tipicamente definiti “terroristi” – intorno al mondo. Lo scopo reale della “guerra al terrore” è la difesa della globalizzazione transnazionale, il flusso non ostacolato di capitale finanziario in tutto il mondo, l’egemonia del dollaro e l’accesso al petrolio; non ha nulla a che fare con la repressione del terrorismo che genera, perpetua e finanzia per offrire copertura al suo piano reale. E’ per questo che gli Stati Uniti hanno una lunga storia di interventi militari e della CIA nel mondo ufficialmente a difesa degli “interessi nazionali”.

Ricchezza e potere

Un punto interessante che emerge, per me, dalla lettura dalla ponderata analisi di Phillips è che c’è una chiara distinzione tra gli individui e le famiglie che possiedono ricchezza e gli individui che possiedono (a volte in misura considerevole) meno ricchezza (che, tuttavia, resta considerevole) ma che, grazie alla loro posizione e ai loro collegamenti, esercitano una gran quantità di potere. Come Phillips spiega questa distinzione “la sociologia delle élite è più importante dei particolari individui d’élite e delle loro famiglie”. Solo 199 individui decidono come saranno investiti più di 40 trilioni di dollari. E questo è il punto centrale. Lasciatemi approfondire brevemente.

Ci sono nel mondo alcune famiglie realmente ricche, in particolare comprendenti le famiglie Rotschild (Francia e Regno Unito), Rockefeller (USA), Goldman-Sachs (USA), Warburg (Germania), Lehmann (USA), Lazards (Francia), Kuhn Loebs (USA), Israel Moses Seifs (Italy), Al-Saudi (Arabia Saudita), Walton (USA), Koch (USA), Mars (USA), Cargill-MacMillan (USA) e Cox (USA). Tuttavia non tutte queste famiglie perseguono apertamene il potere per piegare il mondo ai loro desideri.

Analogamente gli individui estremamente ricchi del mondo, quali Jeff Bezos (USA), Bill Gates (USA), Warren Buffett (USA), Bernard Arnault (Francia), Carlos Slim Helu (Messico) e Francoise Bettencourt Meyers (Francia) non sono necessariamente collegati in modo tale da esercitare un enorme potere. In realtà possono avere scarso interesse al potere in quanto tale, nonostante il loro ovvio interesse per la ricchezza.

In essenza alcuni individui e famiglie si accontentano di approfittare semplicemente di come funzionano il capitalismo e i suoi strumenti governativi e transnazionali ausiliari, mentre altri sono più politicamente impegnati nella ricerca di manipolare grandi istituzioni per ottenere risultati che non solo massimizzino il loro profitto, e dunque la loro ricchezza, ma anche modellino il mondo stesso.

Così, se si scorre la lista dei 199 individui che Phillips identifica al centro del capitale globale, essa non include nomi come Bezos, Gates, Buffett, Koch, Walton o persino Rothschild, Rockefeller o Windsor (la regina d’Inghilterra) nonostante la loro ricchezza ben nota e straordinaria. Come digressione, molti di tali nomi non sono presenti neppure nelle liste compilate da gruppi come Forbes Bloomberg, ma la loro assenza da tali liste è dovuta a una ragione molto diversa, considerati la propensione di molti individui e famiglie realmente ricche di evitare certi tipi di pubblicità e il loro potere di assicurarsi di evitarla.

Diversamente dai nomi appena elencati, nell’analisi di Phillips nomi come Laurence (Larry) Fink (presidente e amministratore delegato di BlackRock), James (Jamie) Dimon (presidente e amministratore delegato di JPMorgan Chase) e John McFarlane (presidente di Barclays Bank), anche se non ricchi come quelli citati più sopra, esercitano molto più potere grazie alle loro posizioni e collegamenti in seno alla rete dell’élite globale di 199 individui.

Prevedibilmente allora, osserva Phillips, questi tre individui hanno stili di vita e orientamenti ideologici simili. Credono che il capitalismo sia un bene per il mondo e anche se disuguaglianza e povertà sono problemi importanti, credono che la crescita del capitale alle fine risolverà tali problemi. Sono relativamente inespressivi riguardo ai temi ambientali, ma riconoscono che le opportunità di investimento possono mutare in risposta alle “modificazioni” del clima. Da milionari sono proprietari di molte case. Hanno frequentato università d’élite e hanno salito rapidamente i gradini della finanza internazionale per arrivare al loro status attuale di giganti dell’élite del potere globale. “Le istituzioni che amministrano sono state dimostrate coinvolte in collusioni illegali con altri, ma le sanzioni amministrative legali da parte dei governi sono essenzialmente considerate come semplice parte dell’attività affaristica”.

Infine, come caratterizzerei questa descrizione, sono privi di un quadro legale o morale che guidi le loro azioni, che sia in relazione agli affari, agli altri esseri umani, alla guerra o all’ambiente e al clima. Sono evidentemente tipici dell’élite.

Ogni apparente interesse per le persone, come quello manifestato da Fink e Dimon in reazione alla violenza razzista a Charlottesville, USA, nell’agosto del 2017, è semplicemente inteso a promuovere “stabilità” o, più precisamente un clima stabile (cioè redditizio) per gli investimenti e i consumi.

L’assenza di interesse per le persone e per i problemi che potrebbero preoccupare molti di noi è evidente anche considerando l’ordine del giorno delle riunioni dell’élite. Si consideri la International Monetary Conference. Fondata nel 1956 è una riunione privata annuale delle poche centinaia di banchieri al vertice nel mondo. L’Associazione dei Banchieri Statunitensi (ABA) funge da segreteria della conferenza. Ma, come segnala Phillips, “nulla nell’ordine del giorno pare affrontare le conseguenze socioeconomiche degli investimenti per stabilire gli impatti sulle persone e sull’ambiente”. Una lettura casuale dell’agenza di qualsiasi riunione dell’élite rivela che questo commento di applica ugualmente a ogni forum dell’élite. Si veda, ad esempio, l’agenda della recente riunione del WEF a Davos. Qualsiasi discorso di “preoccupazione” è retorica fuorviante.

Dunque, nelle parole di Phillips, i 199 amministratori dei Giganti globale sono “un insieme molto selezionato di persone. Si conoscono tutti personalmente o sanno gli uni degli altri. Almeno 69 hanno partecipato al World Economic Forum dove spesso sono membri di comitati o tengono presentazioni pubbliche. Hanno prevalentemente frequentato le stesse università e interagiscono in ambienti dell’alta società nelle maggiori città del mondo. Sono tutti ricchi e detengono un numero considerevole di azioni in uno o più dei Giganti finanziari. Sono tutti profondamente dediti all’importanza di mantenere la crescita del capitale nel mondo. Alcuni sono sensibili a temi ambientali e di giustizia sociale, ma sembrano incapaci di collegare tali temi alla concentrazione globale del capitale”.

Naturalmente l’élite globale non può gestire da sola il sistema mondiale. L’élite ha bisogno di rappresentanti per svolgere molte delle funzioni necessarie per controllare le società nazionali e le persone al loro interno. “Gli interessi dell’Élite del Potere Globale e della TCC sono pienamente riconosciuti dalle maggiori istituzioni della società. Governi, servizi di spionaggio, decisori della politica, università, forze di polizia, esercito e media industriali operano tutti a sostegno dei loro interessi vitali”.

In altri termini, per elaborare il punto di Phillips e ampliarlo un po’, attraverso il loro potere economico i Giganti controllano tutti gli strumenti mediante i quali sono attuate le loro politiche. Che si tratti di governi, forze militari nazionali, “militari a contratto” o mercenari (con almeno 200 miliardi di dollari spesi globalmente per la sicurezza privata, l’industria impiega attualmente circa quindici milioni di persone in tutto il mondo) usati sia in guerre “all’estero” ma anche suscettibili di essere impiegati in futuro nel controllo interno, o di agenzie chiave di “intelligence”, di sistemi legali e di forze di polizia, di grandi organizzazioni non governative o delle accademie, delle industrie dell’istruzione, delle “pubbliche relazioni”, dei media industriali, delle industrie mediche, psichiatriche e farmaceutiche, tutti gli strumenti sono pienamente rispondenti al controllo dell’élite e sono progettati per disinformare, ingannare, togliere potere, intimidire, reprimere, imprigionare (in un carcere o in un manicomio), sfruttare e/o uccidere (a seconda dell’elettorato) il resto di noi, come è facilmente evidente.

Difesa dell’élite del potere

Phillips osserva che l’élite del potere si preoccupa continuamente della ribellione “delle turbolente masse sfruttate” contro la sua struttura di ricchezza concentrata. E’ per questo che l’impero militare statunitense svolge da lungo tempo il ruolo di difensore del capitalismo globale. In conseguenza gli Stati Uniti hanno più di 800 basi militari (alcuni studiosi suggeriscono 1.000) in 70 paesi e territori. In confronto il Regno Unito, la Francia e la Russia hanno circa 30 basi all’estero. Inoltre le forze militari statunitensi sono oggi schierate nel 70 per cento delle nazioni del mondo con il Comando delle Operazioni Speciali USA (SOCOM) che ha soldati in 147 paesi, un aumento dell’80 per cento dal 2010. Queste forze conducono regolarmente attacchi antiterrorismo, tra cui assassinii con i droni e incursioni di uccisione/cattura.

“L’impero militare statunitense ha alle spalle centinaia di anni di sfruttamento coloniale e continua ad appoggiare governi repressivi, sfruttatori che collaborano con il programma imperiale del capitale globale. Governi che accettano investimenti esterni di capitale, di cui beneficia un piccolo segmento dell’élite del paese, lo fanno sapendo che il capitale pretende un ritorno dagli investimenti che comporta esaurire risorse e persone per guadagno economico. L’intero sistema prosegue la concentrazione di ricchezza per le élite e un’accresciuta disuguaglianza abietta per le masse…”

“Comprendere la guerra permanente come una valvola economica di sfogo per il surplus di capitale è una parte vitale della comprensione del capitalismo oggi nel mondo. La guerra offre opportunità di investimenti per i Giganti e le élite della TCC e un ritorno garantito sul capitale. La guerra svolge anche una funzione repressiva mantenendo le masse sofferenti dell’umanità impaurite e obbedienti”.

Come elabora Phillips: è per questo che la difesa del capitale globale è il principale motivo per il quale oggi i paesi della NATO rappresentano l’85 per cento della spesa militare mondiale; gli Stati Uniti spendono per l’esercito più del resto del mondo messo insieme.

In essenza “l’Élite del Potere Globale usa la NATO e l’impero militare statunitense per la sua sicurezza mondiale. Questo fa parte di una strategia in espansione di dominio militare statunitense nel mondo, mediante il quale l’impero militare USA/NATO, consigliato dall’Atlantic Council dell’élite del potere, opera al servizio della Classe Industriale Transnazionale per la protezione del capitale internazionale ovunque nel mondo.”

Questo comporta “ulteriore impoverimento della metà in basso della popolazione mondiale e un’incessante spirale al ribasso dei salari per l’80 per cento del mondo. Il mondo sta affrontando una crisi economica e la soluzione neoliberista consiste nello spendere meno per i bisogni umani e più per la sicurezza. E’ un mondo di istituzioni finanziarie finite fuori controllo in cui la risposta al collasso economico consiste nello stampare più moneta attraverso alleggerimenti quantitativi, inondazione della popolazione con trilioni di nuovi dollari che producono inflazione. E’ un mondo di guerra permanente, nella quale spendere per la distruzione richiede altra spesa per ricostruire, un ciclo che avvantaggia i Giganti e le reti globali del potere economico. E’ un mondo di uccisioni mediante droni, assassinii extragiudiziali, morte e distruzione in patria e all’estero.”

Dove sta andando tutto questo?

Dunque quali sono le implicazioni di questo stato di cose? Phillips risponde in modo inequivocabile: “Questa concentrazione di ricchezza protetta conduce a una crisi di umanità, nella quale la povertà, la guerra, la fame, l’alienazione di massa, la propaganda mediatica e la devastazione dell’ambiente stanno diventando una minaccia a livello di specie. Ci rendiamo conto che il genere umano è a rischio di possibile estinzione”.

Egli prosegue affermando che l’Élite del Potere Globale è probabilmente la sola entità “in grado di correggere questa situazione senza grandi disordini, guerra e caos” ed elabora un fine importante del suo libro: suscitare la consapevolezza dell’importanza del cambiamento sistemico e della ridistribuzione della ricchezza sia tra i lettori generali del libro, sia anche presso l’élite “nella speranza che possa avviare il processo di salvare l’umanità”.  Il poscritto del libro è “Una lettera all’Élite del Potere Globale”, cofirmata da Phillips e da 90 altri, che implora l’élite di agire in conformità.

“Non è più a lungo accettabile per voi credere di poter gestire il capitalismo in modo che si apra la via crescendo dalle grossolane disuguaglianze che tutti oggi viviamo. L’ambiente non può accettare altro inquinamento e sprechi e a un certo punto diventano inevitabili dovunque agitazioni civili. L’umanità ha bisogno che voi vi facciate avanti ad assicurare che ciò che è lasciato calare dall’alto diventi un fiume di risorse che raggiunga ogni bambino, ogni famiglia e tutti gli esseri umani.  Vi sollecitiamo a usare il vostro potere per operare i cambiamenti necessari per la sopravvivenza dell’umanità”.

Ma egli sottolinea anche che i movimenti sociali nonviolenti, usando la Dichiarazione dei Diritti Umani come codice morale, possono accelerare il processo di ridistribuzione della ricchezza esercitando pressioni perché l’élite agisca.

Conclusione

Peter Phillips ha scritto un libro importante. Per quelli di noi interessati a comprendere il controllo del mondo da parte dell’élite questo libro è un’aggiunta vitale alla propria libreria. E come ogni buon libro, come vedrete dai miei commenti più sopra e di seguito, ha sollevato per me ancora altre domande, pur contemporaneamente rispondendo a molte.

Nel leggere lo stimolante e schietto resoconto di Phillips riguardo al comportamento dell’élite mi sono ricordato, ancora una volta, che l’élite per potere globale è straordinariamente violenta e del tutto folle: felice di uccidere persone in gran numero (attraverso la fame o la violenza militare) e di distruggere la biosfera per profitto, con zero senso del futuro oggi limitato dell’umanità. Si veda  The Global Elite is Insane Revisited’  e ‘Human Extinction by 2026? A Last Ditch Strategy to Fight for Human Survival’ con spiegazioni più dettagliate della violenza e della follia qui: Why Violence?’ and ‘Fearless Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’.

Per questo motivo io non condivido la sua fiducia in appelli morali all’élite, come articolati nella lettera del suo poscritto. Fare un appello va bene, ma la storia non offre alcuna evidenza che suggerisca che ci sarà una qualche reazione significativa. La morte e la distruzione inflitte dalle élite sono notevolmente redditizie, vecchie di secoli e continue. Ci vorranno campagne nonviolente potenti, focalizzate strategicamente (o il collasso della società) per forzare i cambiamenti necessari del comportamento delle élite. Dunque io sottoscrivo pienamente il suo appello ai movimenti sociali nonviolenti perché forzino l’azione dell’élite nel caso non fossimo in grado di operare i necessari cambiamenti senza il suo coinvolgimento. Se vedanoA Nonviolent Strategy to End Violence and Avert Human Extinction and Nonviolent Campaign Strategy.

Incoraggerei anche l’azione indipendente, in uno o più di numerosi modi, da parte di quegli individui e comunità sufficientemente forti per condurla. Ciò include far crescere individui forti facendo My promise to Children”, partecipando a “The Flame Tree Project to Save Life on Earth e firmando l’impegno in rete di “The People’s Charter to Create a Nonviolent World”.

Fondamentalmente “Giants: The Global Power Elite è una chiamata all’azione. Il professor Peter Phillips è profondamente consapevole della nostra emergenza – politicamente, socialmente, economicamente, ambientalmente e climaticamente – e del ruolo critico svolto dall’élite del potere globale nel generare tale emergenza.

Se non riusciamo a convincere l’élite del potere globale a reagire sensatamente a tale emergenza, o non riusciamo in modo nonviolento a costringerla a farlo, il tempo dell’umanità sulla terra è davvero limitato.

 


Robert J. Burrowes è impegnato da una vita a comprendere la violenza umana e a porvi fine. Conduce estese ricerche dal 1966 in un tentativo di comprendere perché gli esseri umani siano violenti ed è un attivista nonviolento dal 1981. E’ autore di Why Violence?”. Il suo indirizzo email è flametree@riseup.net e il suo sito web è qui.     


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/exposing-the-giants-the-global-power-elite/

 

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