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30 ottobre 2018

 

PD: centenario della «vittoria» e «dittatura staliniana»

di Fabrizio Poggi

 

(…) Risoluzione di un gruppo di social-democratici

 

La guerra europea e mondiale riveste un carattere chiaramente determinato di guerra borghese, imperialista, dinastica. La lotta per i mercati e il saccheggio di stati stranieri, l’intento di reprimere il movimento rivoluzionario del proletariato e della democrazia all’interno di ogni paese, l’obiettivo di imbrogliare, dividere e massacrare i proletari di tutti i paesi, istigando gli schiavi salariati di una nazione contro gli schiavi salariati di un’altra a vantaggio della borghesia – è questo l’unico reale contenuto, l’unico reale significato della guerra. (Lenin – I compiti della social-democrazia rivoluzionaria nella guerra europea)

 

(…) Nessuno dei due gruppi di paesi belligeranti è inferiore all’altro quanto a rapine, atrocità e infinite crudeltà della guerra, ma per imbrogliare il proletariato e sviare la sua attenzione dall’unica effettiva guerra di liberazione, cioè la guerra civile contro la borghesia sia del «proprio» paese, sia di paesi «stranieri», per questo elevato obiettivo la borghesia di ogni paese, con frasi ingannevoli sul patriottismo cerca di magnificare il significato della «propria» guerra nazionale e convincere che essa tende alla vittoria sul nemico non per il saccheggio e la conquista di terre, bensì per la «liberazione» di tutti gli altri popoli, tranne il proprio. (Lenin – La guerra e la social-democrazia russa)

 

Il 4 novembre è alle porte. L’enfasi celebrativa va da tempo montando, giacché quest’anno, come recita il Ministero della difesa, la data «assume un ulteriore significato»: oltre al “Giorno dell’Unità Nazionale” e alla “Giornata delle Forze armate”, «si celebra anche il centenario della fine della prima guerra mondiale». I vari schieramenti parlamentari si sono dati da fare per tempo, per cercare di assicurarsi il primato dei “florilegi” retorici. Il Comune di Siena ha addirittura indetto un Palio straordinario, corso lo scorso 20 ottobre.

All’inizio del mese, la Camera «ha bocciato la mozione presentata dal Partito Democratico sulle Iniziative per la celebrazione del centesimo anniversario della vittoria della Prima Guerra Mondiale» scrive con rammarico uno dei firmatari di quella mozione. A quanto pare, alla maggioranza di Montecitorio è parsa troppo tiepida una formulazione che «poneva l’accento sul ruolo distruttivo che produssero i nazionalismi europei nello scoppio della Prima Guerra Mondiale» e le ha preferito la più “virile” mozione presentata dai neofascisti di Fratelli d’Italia, eredi diretti di quel “fascismo nato sull’Isonzo” e per ciò stesso più “deputati” (il gioco di parole è volontario) a rappresentare cotanta “vittoria”.

Mozione che, nota con l’orgoglio dello sconfitto lo stesso comunicato del PD, quasi a tributare il giusto riconoscimento alle superiori “ragioni” dell’avversario, «sottolinea invece il valore della “vittoria indimenticabile che ci permise di completare il percorso risorgimentale, portando i confini della Patria là dove già Dante aveva indicato”», concludendo «una guerra dove “i nostri eroi trasformarono uno Stato giovane in una Nazione”».

 

Incassata la bocciatura, i demo-sturziani non si sono comunque persi d’animo e hanno ripetuto le proprie argomentazioni. L’on. Andrea Romano ha sostenuto che il conflitto fu «scatenato dal fallimento della diplomazia e dallo scontro tra nazionalismi». L’on Flavia Piccoli Nardelli è andata oltre; dopo aver osservato che «la prima guerra mondiale rappresentò uno scontro feroce tra nazionalismi che non avevano saputo trovare nella politica e nella diplomazia la via della conciliazione», non ha mancato di trarre le dovute «conseguenze di quella catastrofe politica e culturale», che «segnarono in profondità la storia europea e mondiale del ventesimo secolo, lasciando una scia di contrapposizioni nazionalistiche, intolleranze etniche e tensioni sociali che avrebbe aperto la strada sia ai totalitarismi nazifascisti sia alla dittatura staliniana». 

 

Eccola lì. E come poteva mancare la “dittatura staliniana”?! E’ un po’ come il prezzemolo: dà sempre quel tocco di colore e pizzico di aroma a qualunque piatto altrimenti scipito e banale, come i ragionamenti da circolo MCL del PD. Si parla del nazismo? Bene, e allora non si scordi la “dittatura comunista” ! Si parla della carneficina nel corso della quale quasi venti milioni di proletari, contadini, operai, in Europa furono costretti a scannarsi per impolpare le tasche dei monopoli tedeschi, francesi, inglesi, (tutti figli dello stesso Rotshild ndr-MC) per allargare gli appetiti territoriali zaristi, italiani, austriaci? Magnifico: che si esalti allora con afflato dannunziano «l’eroismo civile e militare della nazione italiana» che, «nelle trincee di combattimento», seppe «difendere l’integrità territoriale italiana»; ma non per questo ci si scordi che «l’impegno costante e sempre più gravoso di milioni di donne e di uomini sui luoghi di lavoro» avrebbe poi «aperto la strada» anche alla “dittatura staliniana”.

 

Che poi la “dittatura staliniana” abbia a che fare col macello imperialista mondiale quanto i social-degasperiani del PD con la tutela dei lavoratori, è cosa su cui si può sorvolare, l’importante è averlo detto. La dittatura, ogni dittatura, assicurano i demo-bigotti del PD, o è “staliniana” o non è. Non sia mai che si dica che la dittatura borghese, ogni dittatura borghese (si noti l’assenza delle virgolette) possa assumere ora le forme del terrorismo antipopolare fascista, ora quelle della macelleria sociale antioperaia dei demo-burocrati del PD, stipendiati a tempo determinato di banche e monopoli.

 

Non sia mai che si pensi a un PD “erede” – per quanto frutto di un malcelato adulterio – di un’epoca che vide la “Settimana rossa” fare da contrappeso al colonialismo italiano in Libia e alle smanie belliciste degli “irredentisti” anti-austriaci, di un periodo che vide le masse popolari, ridotte alla fame, sfidare l’esercito nel 1917, di un tempo, ancorché breve, in cui anche una parte dei socialisti italiani, interpreti della volontà delle masse di non andare al macello per ingrassare banche, industriali e agrari, si era opposta alla guerra. Non sia mai che qualcuno possa immaginare un PD che, cent’anni fa, avesse potuto assumere un atteggiamento difforme a quello dei partiti dell’allora Seconda Internazionale che, come scrisse Lenin, contrabbandavano «il socialismo con il nazionalismo» e non si erano «contrapposti alla criminale condotta dei governi, ma hanno chiamato la classe operaia a fondere la propria posizione con quella dei governi imperialisti». Non sia mai che si possa fantasticare di un PD che, cent’anni fa, contro la maggioranza dei capi socialisti dell’epoca, non avesse potuto distinguersi per «tradimento e infamia: gli operai sono andati al macello, e i capi? votano a favore, entrano nei ministeri!!!»(Lenin).

 

Dunque, avanti a celebrare il «centesimo anniversario della vittoria». Sorvoliamo pure sul prezzo pagato dalle masse popolari italiane, costrette a sparare sui loro fratelli di classe austriaci, ungheresi, bosniaci, croati arruolati nell’esercito imperial-regio; sorvoliamo pure su quella carneficina, le stragi, le decimazioni, la fame nelle città e nei villaggi, sulle centinaia di migliaia di operai e di contadini, da una parte e dall’altra del fronte, sacrificati nelle undici offensive dell’Isonzo. Ma non scordiamoci, per carità, che da quella «vittoria» risultò (?!) nientemeno che la “dittatura staliniana”! Una “dittatura” scaturita, guarda caso, da quello sviluppo storico iniziato il 7 Novembre 1917 e l’uscita della Russia sovietica dal macello che i demo-guerrafondai del PD invitano a celebrare quale «valore “della vittoria indimenticabile”», pur con “motivazioni” all’apparenza un po’ più moderne di quelle apertamente revansciste sull’allargamento dei «confini della Patria», da Gorizia a Trieste, al Litorale, alla Dalmazia. Una patria così tanto amata, dai fascisti di ieri e di oggi, che i repubblichini non ebbero ritegno, appena venticinque anni dopo, a lasciarla in mano agli aguzzini nazisti del Adriatisches Küstenland.

 

Celebriamo, con tutta l’ampollosità del caso, la «vittoria» nel primo macello davvero mondiale dell’epoca imperialista. Ma, per carità, taciamo su quel “fascismo nato sull’Isonzo” che, per meglio «completare il percorso risorgimentale», portò quello stesso macello nel terrorismo di Graziani e Badoglio in Libia e in Africa orientale, colonizzò e fascistizzò quei territori – Litorale (attuale Venezia Giulia), Tirolo meridionale, che il patto segreto di Londra del 1915 aveva così generosamente promesso al regno d’Italia per spronarne l’entrata in guerra a fianco dell’Intesa – si annesse la provincia di Lubiana, “strappando dal ceppo nazionale un quarto del popolo sloveno” (dalla Relazione della commissione storico-culturale italo-slovena (www.slov.it), citato in “Venezia Giulia. La regione inventata” – Ed. Kappa Vu). Territori che, lungi dall’essere “italianissimi”, pur se in parte risalenti al regno di Augusto, avevano poi fatto parte della casa d’Asburgo sin dal XIV secolo.

 

Celebriamo il 4 novembre; celebriamo la «vittoria». Guardiamoci dal ricordare che la carneficina del 1914-1918 è stata un prodotto imperialistico, dell’epoca dell’imperialismo. Guardiamoci dal ricordare che su nessuno dei due fronti si combatté una “guerra difensiva” e “nazionale”. Dimentichiamoci che le guerre nazionali, anche per l’Italia, si erano concluse da tempo. Ma non scordiamoci, dio ce ne scampi, della “dittatura staliniana”.

 

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