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4 aprile 2018

 

Catalogna: i Comitès de Defensa de la República pronti a far saltare la politica catalana

di Manuel Coloma Luque 

 

I gruppi sono l’ennesimo attore che entra sulla scena della questione catalana. Li conosciamo meglio con Nicolás Tomás, giornalista catalano di ‘El Nacional.cat’

 

Nel caso le cose in Catalogna non fossero abbastanza complicate, la settimana scorsa è apparso un nuovo attore, nuovo e inaspettato sia per i partiti indipendentisti sia per gli unionisti: i Comitès de Defensa de la República (CDR), ovvero Comitati in difesa della Repubblica. 

 

Chi sono questi gruppi? 

Come ci spiega Nicolás Tomás, redattore politico del giornale catalano El Nacional.cat, “sono nati spontaneamente, non si sa perché, nei giorni precedenti il ??referendum del primo Ottobre, perché c’erano delle persone che ritenevano si dovessero proteggere i seggi elettorali durante i giorni precedenti al referendum, e che le grandi entità sovraniste catalane (Assemblea Nacional Catalana [ANC] e Ómnium Cultural) non facessero nulla a riguardo“. E aggiunge Tomás: “Ecco perché si sono organizzati. Con il tempo, la ‘R’ di Referendum si è trasformata nella ‘R’ della Repubblica“.

 

Secondo Tomás, la loro ragione d’essere oggi è “che credono che le entità sovraniste di massa, ANC e Omnium, siano soggette alla logica istituzionale dei partiti”, Partit Demòcrata Europeu Català PDECat e Esquerra Republicana de Catalunya ERC,  Vale a dire, che “siano più una stampella del Governo catalano che un gruppo di pressione che agisce sul Governo, e per questo sono nati i CDR, per riempire quello spazio“.

 

I CDR, a differenza di ANC e Ómnium, sono abbastanza indipendenti. “Non sono un’organizzazione ufficialmente costituita“, prosegue Tomás. “Omnium ha un Codice Fiscale, l’ANC ha un Codice Fiscale, hanno dei responsabili, hanno una struttura interna, qui invece non ci sono responsabili”. Se vogliamo associarli a un attore conosciuto, sarebbe necessariamente la Candidatura d’Unitat Popular (CUP), partito ‘assembleario’ e anticapitalista, forza minoritaria in Parlamento, che però è la chiave necessaria per raggiungere una maggioranza pro-indipendenza secondo il rapporto di forze che c’è oggi al Parlamento catalano. Sebbene si possa dire che molti dei membri del CDR vengono da questa formazione, non hanno con CUP alcuna relazione organica e la loro somiglianza è solo nel modo di organizzarsi. I CDR mancano di struttura o di capi ‘visibili’, si coordinano attraverso servizi di messaggistica privata, principalmente Telegram. Le loro decisioni sono prese in modo assembleare, in riunioni organizzate a livello locale, in quartieri, tra i quali non esiste una connessione, quindi non hanno una strategia comune, solo lo scopo è comune, ovvero la ‘resistenza pacifica’ per difendere la Repubblica.  Senza organizzazione, senza capi, senza visibilità diventano particolarmente imprevedibili.

 

Qual’è la rilevanza dei CDR? 

Dopo circa sei mesi di scarsa visibilità, hanno trovato l’improvvisa attenzione dei media quando i gruppi si sono riattivati, la scorsa settimana, per portare avanti molti episodi di protesta, la cui interpretazione cambia a seconda dall’angolatura dalla quale si osserva. 
Secondo Tomás, questi episodi, costituiti sostanzialmente da marce lente per strada, blocchi stradali, o sollevamento delle barriere nelle strade con pedaggio, “non sono altro che il disordine pubblico che si può verificare in qualsiasi sciopero generale, ed è resistenza pacifica“. I media nazionali, queste azioni li considerano atti violenti, i partiti unionisti si affrettano a condannarli. Per Tomás “questo è parte della storia che è stata creata. Perché ci sia un reato di ribellione, ci deve essere violenza, e non c’è stata finora. Bisogna creare una storia di violenza perché è quella che serve per sostenere la ribellione. Perciò i CDR vengono presi a pretesto per dimostrare la ribellione. Ma il disordine pubblico che questi gruppi hanno messo in atto, in realtà, può essere essere quello che c’è in qualsiasi manifestazione”. Tomás ci fa un esempio per illustrare queste considerazioni: a Sarrià, un quartiere di Barcellona, dove gruppi neonazisti hanno bruciato un centro sociale, ‘L Ateneu Popular’ la notte del 29 Marzo. Questo fatto è stato ignorato dalla maggior parte dei media spagnoli.

 

È chiaro, secondo gli osservatori catalani, che i CDR vengono usati per scopi politici, come metodo di logoramento per i separatisti. 


Al centro del dibattito, la parola chiave delle ultime settimane in Catalogna è stata ‘violenza’. Alla domanda: ‘c’era l’uso della violenza da parte delle istituzioni catalane nel referendum 1-O?’, si aggunge una seconda domanda: ‘costituiscono atti violenti quelli compiuti dai CDR?’ Ancora una volta, sembra che entrambe le parti si trovino in due realtà parallele. Per una parte, i Comitati sono un esempio di resistenza pacifica. Per l’altra parte, sono un esempio della violenza subita quotidianamente dai cittadini unionisti nella regione.

 

Quale versione corrisponde alla realtà? Sembra che in questo dibattito i CDR siano poco più di un‘passeggero’. L’assenza di un portavoce o di qualcuno che in prima persona spieghi le motivazioni dell’organizzazione o che risponda  alle accuse di volta in volta sollevate, li rende facili a strumentalizzazioni. Si tratta di aspettare e vedere quali sono le loro ulteriori azioni per sapere quale ruolo avranno nella questione catalana.

 

Tra tanti dubbi, ci sono elementi che attirano l’attenzione. In primo luogo, la velocità dell’intervento della procura dell’Audiencia Nacional (secondo tribunale dello Stato, dopo il Tribunal Supremo) nel perseguire un reato di ribellione, reato che ora si ripete sempre più spesso e che non aveva alcun precedente nella storia democratica del Paese. Come spiega Andrés Martínez Olmedo su Ctxt.es riguardo i capi d’accusa che gravano sugli membri dell’ex Governo catalano: «in un Paese con una sfortunata esperienza di collusione tra un gruppo terroristico (il gruppo vasco Euskadi Ta Askatasuna, ETA), violenza di strada, e di alcuni partiti politici, l’assenza di precedenti di ribellione dovrebbe essere un criterio interpretativo in se stesso, perché ci dà un’idea dell’eccezionalità e della serietà dei comportamenti che punisce». A questo punto, si pongono alcune domande: gruppi senza una direzione o una tabella di marcia chiara possono commettere un reato di ribellione? Chi verrà messo in prigione? Come Tomás spiega, “queste persone non formano parte dell’organizzazione,semplicemente ricevono un messaggio su Telegram e vanno a manifestare“. Dovrebbero tutti andare in prigione per ribellione?

 

A questo punto, altro paradosso. Quelli più preoccupati della comparsa dei CDR sono i partiti indipendentisti. Le voci ufficiali secessioniste difendono le azioni sempre che siano pacifiche, ma i partiti si preoccupano molto di sottolineare che la resistenza deve necessariamente essere pacifica. Questo attore, che deve niente a nessuno e che non ha dei capi con i quali trattare, è un nuovo fattore che rischia di diventare un punto debole per gli indipendentisti a tutto vantaggio degli unionisti. Strumento per delegittimare gli indipendentisti davanti all’opinione pubblica internazionale quando il movimento per l’indipendenza comincerà a sfruttare la strategia della ‘internacionalización del conflicto’ nella fase del processo per l’estradizione di Carles Puigdemont e degli ex Ministri al centro del dibattito politico europeo.

 

Infine, questa autonomia dai vertici indipendentisti insieme alla mancanza di leadership e struttura organizzativa, può trasformare i CDR in una idra pronta a sconvolgere e rompere i piani sia di una parte che dell’altra, diventando un ennesimo fattore di reale influenza nella politica catalana, così come potrà essere semplicemente un fuoco di paglia, mentre l’indipendentismo  continuerà essere gestito da PDeCAT ed ERC. Il tempo ce lo dirà. Per ora, hanno indetto uno sciopero generale con lo slogan ‘Repubblica o collasso’ per cercare di porre fine alla stagnazione delle istituzioni spagnole.  Vedremo come va.

 

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