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Martedì, 04 Settembre 2018

 

Il colpo di Stato delle élite: monopoli privati, neoliberismo e Massoneria neoaristocratica

di Patrizia Scanu

Segretario generale del Movimento Roosevelt

 

Se l'obiettivo era il ripristino del potere di classe delle élite,

il neoliberismo era senz'altro la risposta giusta

(David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Milano 2005, p. 106)

Riflettendo nel mio precedente articolo, (che trovate qui sotto) sulla compatibilità fra neoliberismo e democrazia, mettevo in relazione le privatizzazioni delle imprese di Stato, fra le quali le autostrade, avvenute negli anni '90, con il neoliberismo, che ha come parole-chiave quelle di libertà d'impresa, Stato minimo, privatizzazioni, liberalizzazioni, 

deregulation.

 

Mi soffermo ora, per chiarire meglio la mia posizione, sui fatti e sulle informazioni che la sostengono. La comprensione del quadro complessivo degli eventi permette infatti di rendersi conto del forte nesso esistente fra massoneria neoaristocratica e neoliberismo da una parte e fra neoliberismo e monopoli privati dall'altra. Tale nesso non è immediatamente visibile. A prima vista, si direbbe che la libertà del mercato predicata dalla teoria neoliberista sia in contraddizione con i monopoli privati e che in Italia, Paese del capitalismo di relazione, sia difficile configurare un'applicazione del neoliberismo alle politiche economiche. Niente sembrerebbe più lontano delle concessioni di beni pubblici come le autostrade regalate agli amici della Casta dall'idea della concorrenza e del libero mercato.

 

Bisogna perciò cominciare da quanto scrive Gioele Magaldi, Presidente del Movimento Roosevelt, nel suo best-seller Massoni: società a responsabilità illimitata, editore Chiarelettere. Magaldi sostiene, sulla base di una gran mole di documenti provenienti dagli archivi riservati delle cosiddette Ur-Lodges, che esistono due livelli della Massoneria, uno pubblico e nazionale (le comunioni massoniche ordinarie, come – in Italia – il Grande Oriente d'Italia e la Gran Loggia d'Italia, che sono associazioni regolarmente registrate e dichiaratamente fedeli alla Costituzione) e uno coperto e sovranazionale, le Ur-Lodges, un network di super-logge che rappresentano l'élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) iniziate per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali e provenienti da ogni angolo del pianeta, la cui esistenza è sconosciuta ai più. Di queste super-logge, i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission o il Bilderberg Group, sono solo l'espressione più visibile e aperta.

 

Benché la Massoneria sia stata l'artefice della modernità, della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani, fra le Ur-Lodges – che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale – si distinguono quelle conservatrici (per esempio Edmund Burke, Joseph De Maistre, Compass Star-Rose, Pan Europa, Three Eyes, White Eagle, Hathor Pentalpha) e quelle progressiste (come Thomas Paine, Montesquieu, Chistopher Columbus, Ioannes, Hiram Rhodes Revels, Ghedullah), che hanno visioni e obiettivi divergenti e spesso opposti. Mentre le Ur-Lodges progressiste continuano la tradizione democratica e libertaria della massoneria tradizionale, quelle conservatrici lavorano ad una restaurazione neoristocratica e oligarchica, il cui scopo è 


“invertire il corso della storia, trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti. Aumentare a dismisura il proprio potere materiale mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni. Assurgere essi stessi, nell'incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell'era globalizzata” (G. Magaldi, op. cit., pp. 31-32).

 

Questo è lo sfondo. Nel suo libro, Magaldi (massone progressista) spiega come la storia mondiale dagli anni '60 in poi veda un progressivo affermarsi dei progetti neoaristocratici, a partire dall'uccisione di J. F. Kennedy. La guerra fra diverse Ur-Lodges vede azioni e reazioni da entrambe le parti. La riscossa neoaristocratica, dopo gli anni del boom economico e l'affermazione dei diritti dei cittadini in molti Paesi del mondo, viene attentamente e pazientemente programmata negli anni '70. Ricordo brevemente alcuni fatti salienti ai fini di questa riflessione:

1) Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges Three Eyes ed Edmund Burke; dal 1978 anche alla White Eagle. Fu grazie all'impulso di queste Ur-Lodges che Von Hayek e Friedman ottennero, nel 1974 e nel 1976 rispettivamente, il premio Nobel per l'Economia (che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi). Il progetto era far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia. Nemico apparente era il socialismo, obiettivo vero era il keynesismo, teoria ampiamente accettata e artefice del boom economico (John Maynard Keynes era un massone progressista). Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l'intervento regolatore dello Stato in economia e la diffusione del Welfare. Fu l'ideologia neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu programmata a tavolino dalle super-logge reazionarie.

2) Erano massoni neoaristocratici i leader politici che applicarono le ricette neoliberiste in economia nei loro Paesi: Augusto Pinochet in Cile (il colpo di Stato del 1973 fu promosso dalle Ur-Lodges Three Eyes, di cui era membro Henry Kissinger, fra le menti dell'operazione Condor, e Geburah), Margaret Thatcher (Edmund Burke) nel Regno Unito, Deng Xiao Ping (Three Eyes) in Cina, Ronald Reagan (voluto, come la Thatcher, dalla nuova Ur-Lodge White Eagle, di cui facevano parte due presidenti della Federal Reserve, Paul Volcker e Alan Greenspan, artefici delle politiche monetarie neoliberiste), come appartenevano alla White Eagle William Casey ed Antony Fisher, i fondatori del Centre for Economic Policy Studies, che era un think tank neoliberista. Fra i consiglieri economici di Reagan vi erano numerosi economisti neoliberisti provenienti dalla paramassonica Mont Pelerin Society, fondata da Von Hayek.

3) Fu un'iniziativa neoaristocratica la pubblicazione del volume The Crisis of Democracy, avvenuta nel 1975 a cura di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki (massoni reazionari tutti e tre, affiliati alla Edmund Burke e alla Three Eyes). Il volume concluse un lungo periodo di attività e di elaborazione di strategie da parte di numerose Ur-Lodges neoaristocratiche, iniziato negli anni 1967-68 con la fondazione della potente Ur-Lodge Three Eyes e fu in un certo senso il manifesto pubblico e propagandistico con il quale si voleva attirare il consenso dei massoni moderati. Elaborato per iniziativa della paramassonica Trilateral Commission, il saggio lamentava l'eccesso di democrazia presente nei Paesi avanzati, criticava i diritti, l'uguaglianza e la partecipazione dei cittadini, sosteneva l'importanza dell'apatia delle masse verso la politica, da raggiungere mediante il consumismo e il disgusto verso la corruzione, e proponeva la ricetta per riportare il governo saldamente nelle mani di un'élite, trasformando la democrazia in oligarchia. Questo era il progetto: svuotare di contenuto la democrazia; la diffusione del neoliberismo lo strumento.

4) Erano massoni affiliati anche alla White Eagle, Ur-Lodge supersegreta, nata nel 1978 per portare Margaret Thatcher al governo nel Regno Unito e Ronald Reagan negli USA, gli italiani Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta, che, nel 1981, furono gli artefici del primo clamoroso passo verso la liquidazione dell'Italia come potenza economica, attraverso la mai abbastanza vituperata separazione fra Banca d'Italia e Tesoro, che privò il nostro Paese della sovranità monetaria, rendendoci schiavi delle banche private e che avviò la perversa spirale del debito, come spiega l'economista Nino Galloni, Vicepresidente del Movimento Roosevelt:

Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».


Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

5) Per arrivare infine alle privatizzazioni degli anni '90, esse furono operate prevalentemente (ma non esclusivamente) da politici di centro-sinistra, tutti massoni neoaristocratici:

 

Le famigerate e scandalose dismissioni e privatizzazioni all'italiana – supervisionate dalla regia del massone neoaristocratico Mario Draghi (classe 1947, affiliato alle Ur-Lodges Pan-Europa, Edmund Burke e in seguito anche alla Three Eyes, alla Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorume alla White Eagle) in qualità di Direttore Generale del Ministero del Tesoro dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001 e per conto terzi – furono realizzate sotto i governi di Giuliano Amato (28 giugno 1992-28 aprile 1993), Carlo Azeglio Ciampi (28 aprile 1993-10 maggio 1994), Silvio Berlusconi (10 maggio 1994-17 gennaio 1995), Lamberto Dini (17 gennaio 1995-17 maggio 1996), Romano Prodi (17 maggio 1996-21 ottobre 1998), Massimo D'Alema (21 ottobre 1998-25 aprile 2000), Giuliano Amato (25 aprile 2000-11 giugno 2001). 


L'immarcescibile e granitico Mario Draghi diresse le operazioni ininterrottamente per un decennio, mentre a Palazzo Chigi si avvicendavano ministri e premier del tutto compiacenti (da destra, centro e sinistra) al piano di doloso smembramento e immotivata (sul piano dell'interesse pubblico) svendita a potentati privati di beni e aziende di proprietà del popolo sovrano. (G. Magaldi, op. cit., p. 395)

Tutto comincia nel 1992. Vogliamo ricordare che cosa fu privatizzato? Lo illustra questo articolo:

 

È l’anno in cui in soli 7 giorni cambiano il sistema monetario italiano che viene sottratto dal controllo del Governo e messo nelle mani della finanza speculativa. Per farlo vengono privatizzati gli istituti di credito e gli enti pubblici compresi quelli azionisti della Banca D’Italia, è l’anno in cui viene impedito al Ministero del Tesoro di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (costo del denaro alla sua emissione) che viene quindi ceduto a privati. È l’anno della firma del Trattato di Maastricht e l’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità. A sostituirlo come Presidente del Consiglio in Italia e a continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato ci penserà Massimo D’Alema che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno.

Se invece di “cartello finanziario internazionale” leggiamo, con Magaldi, “Massoneria aristocratica sovranazionale”, capiamo di colpo il nesso chiarissimo fra privatizzazioni, neoliberismo, cessione di sovranità monetaria (prima con la separazione fra Tesoro e Banca centrale e poi con il sistema dell'euro) e politica (con il Trattato di Maastricht, capolavoro neoliberista), deindustrializzazione, crisi della democrazia e del Welfare e Ur-Lodges neoaristocratiche. Soprattutto, appare chiaro che l'Europa dei tecnocrati e dell'euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall'Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall'immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potere un'élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee. Il neoliberismo era un'ideologia costruita appositamente per questo fine, cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, della crisi, dei vincoli europei, del rapporto deficit-PIL, dell'austerity e infine dello spread. 

Essa fu diffusa capillarmente finanziando università, centri di ricerche, think tank, per soppiantare il capitalismo dal volto umano e dei diritti sociali che era stato delineato da Keynes e che vedeva come scopo delle politiche economiche la piena occupazione e il sostegno alla domanda interna. Mentre esalta a parole il libero mercato e lo Stato minimo, l'ideologia neoliberista lavora per costruire monopoli, rendite di posizione, consorterie di privati che si arricchiscono a spese della collettività e assurdi vincoli all'espansione economica, come il pareggio di bilancio. La caratterizza la continua confusione di pubblico e privato, con le sliding doors fra cariche istituzionali e incarichi privati e con i complessi conflitti di interesse. Ogni Paese applica la ricetta a modo suo, ma con lo stesso risultato. Disuguaglianze, povertà, disoccupazione, compressione dei diritti e insicurezza non sono effetti collaterali del neoliberismo applicato alle politiche degli Stati; esse sono esattamente il fine di tali politiche. Per conseguirlo, occorre comunque la complicità dei governanti locali, che restano quindi i veri responsabili di questo scempio criminale.


6) Il progetto continuò anno dopo anno, con lo smantellamento pezzo a pezzo del Welfare State, delle tutele del lavoro, del settore pubblico, della scuola, della classe media, per culminare con il governo Monti nel 2011 e con quel terribile tradimento bipartisan del popolo italiano (votato dal PD di Bersani e dal Centro-Destra di Berlusconi, sotto lo sguardo vigile di Giorgio Napolitano, massone neoaristocratico affiliato alla Three Eyes), che fu l'introduzione dell'equilibrio di bilancio (supremo dogma neoliberista) nella Costituzione, che ci condanna per sempre al dissanguamento economico, almeno finché non verrà rimosso. Fu allora che Monti  (anche lui, dice Magaldi, massone affiliato alla Ur-Lodge Babel Tower) si disse soddisfatto per aver distrutto la domanda interna (ecco qui la famosa intervista alla CNN)  e Draghi osservò che tutto stava andando per il meglio: 

L’Europa scivola verso la recessione, e Mario Draghi è contento: vede «buoni segnali», beato lui. È impazzito? Tutt’altro: si limita a constatare che l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procede a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l’Europa del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il “Fiscal Compact”, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile». L’unica soluzione parrebbe dunque la privatizzazione dei beni comuni: quelli che gli italiani hanno tentato di difendere coi referendum del giugno scorso.


Il declassamento dello Stato, secondo l’uomo che la Germania ha voluto alla guida della Bce, darebbe più «equità» al sistema, aprendo spazi meno precari ai giovani attualmente privi di garanzie: per Draghi, la causa della disoccupazione non è la crisi mondiale della crescita, ma l’eccesso di tranquillità di chi invece il posto fisso ce l’ha (e se lo tiene stretto). Tutto da rifare: «Il modello sociale europeo è oggi superato», dice il super-banchiere di Francoforte. In una intervista al “Wall Street Journal”, l’ex dirigente strategico della Goldman Sachs getta alle ortiche oltre mezzo secolo di pax europea, cresciuta al riparo del miglior sistema mondiale di welfare. La pace è finita, è come se annunciasse Draghi: d’ora in poi, ciascuno dovrà lottare duramente per sopravvivere, perché gli Stati – in via di smantellamento, neutralizzati con l’adozione della moneta unica da prendere in prestito a caro prezzo dalla Bce – non potranno più garantire protezioni sociali: attraverso il “Fiscal Compact”, i bilanci saranno prima validati a Bruxelles e, dal 2013 in poi, nessuno Stato potrà più investire un euro per i propri cittadini, al di là della copertura del gettito fiscale.

Occorre dunque andare a fondo e guardare dietro la superficie per comprendere chi ci ha derubati della nostra ricchezza, ha tradito la Costituzione e ha svenduto la nostra vita e il nostro Paese per arricchire un'élitespietata e immeritevole. Sarà la storia a giudicare questo sciagurata operazione di rapina ai danni di tutti noi, perpetrata sotto il nostro naso e sotto tutte le bandiere politiche, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d'altro. Ora è il momento di aprire gli occhi. La tragedia di Genova è un terribile monito per tutti noi. O ci riprendiamo diritti, democrazia e sovranità, oppure saremo schiavi per sempre.

 

Le incredibili concentrazioni di ricchezza e di potere che esistono adesso ai livelli più alti del capitalismo non si vedevano dagli anni Venti. Il flusso dei tributi verso i maggiori centri finanziari del mondo è stato stupefacente. Quello che però è ancora più stupefacente è l'abitudine a trattare tutto questo come un semplice – e magari in qualche caso deprecabile – effetto collaterale della neoliberalizzazione. La sola idea che questo aspetto possa invece costituire proprio l'elemento sostanziale a cui puntava la neoliberalizzazione fin dall'inizio – la sola idea che esista questa possibilità – appare inaccettabile. La teoria neoliberista ha dato prova di molto talento presentandosi con una maschera di benevolenza, con parole altisonanti come libertà, indipendenza, scelte e diritti, nascondendo le amare realtà della restaurazione del puro e semplice potere di classe, a livello locale oltre che transnazionale, ma in particolare nei principali centri finanziari del capitalismo globale (D. Harvey, op. cit. p. 138; corsivo mio).

 

P.S. Leggendo il libro di Magaldi, si possono trovare i nomi di tutti i politici italiani e stranieri coinvolti nella distruzione della democrazia in Europa. Così può esserci più chiaro quali responsabilità abbiano i rappresentanti del popolo di destra, di centro e di sinistra che abbiamo votato, ignari e in buona fede, per tanti anni. Per chi lo abbia letto e sia curioso di sapere se sia arrivata all'autore qualche querela da parte dei personaggi citati, la risposta è no, come il silenzio è stata la risposta all'intervento in Senato della parlamentare M5S Laura Bottici del 12 gennaio 2015, con il quale la senatrice chiedeva conto a Giorgio Napolitano della sua affiliazione alla Massoneria internazionale. Il che vorrà ben dire qualcosa...

 


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Mercoledì, 15 Agosto 2018

 

Il neoliberismo è compatibile con la democrazia?

di Patrizia Scanu

Segretario generale del Movimento Roosevelt

 

A poche ore dalla tragedia del crollo del viadotto Morandi a Genova, la prima riflessione di molti cittadini italiani sta andando alla questione tutt'altro che secondaria della privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici. I numerosi crolli di viadotti, strade, scuole, infrastrutture del Paese, da sempre giustificata con i vincoli di bilancio, con il debito pubblico, con le richieste di austerity da parte dell'Europa, ci sta mostrando due fatti evidenti: che se non si spende in infrastrutture e manutenzione si mette in pericolo la vita delle persone, il turismo e l'economia di intere zone; e poi che la semplice privatizzazione di infrastrutture lucrose come le autostrade non porta con sé i meravigliosi benefici promessi dalla propaganda neoliberista degli anni '80 e '90, con la sua retorica del “privato è bello”, della maggiore efficienza del privato rispetto al pubblico, dei vantaggi per gli utenti. 


La verità è che con le privatizzazioni si sono spesso creati monopoli, posizioni di rendita di tipo feudale e ingiustificati guadagni per poche famiglie ricche e strettamente legate con i vertici della politica nazionale e internazionale, a danno dei cittadini, che pagano pedaggi assurdamente costosi, a fronte di un servizio tutt'altro che ineccepibile. In Italia i principali gruppi privati concessionari delle autostrade sono il Gruppo Gavio (che è il quarto operatore al mondo nella gestione di autostrade a pedaggio con un network di circa 4.156 km di rete e che in Italia, attraverso la società SIAS, gestisce circa 1.423 km di rete, fra i quali l'autostrada Genova-Ventimiglia), e il gruppo Atlantia, di proprietà dei Benetton. Un articolo de Il Fatto quotidiano di qualche mese fa, a firma di Fabio Pavesi, metteva in evidenza gli enormi profitti del gruppo Atlantia (le autostrade italiane fino al 1999 furono di proprietà pubblica, del gruppo IRI, con il nome di Società Autostrade, diventata poi nel 2003 Autostrade per l’Italia S.p.A, 100% di proprietà del gruppo Atlantia, che gestisce autostrade a pedaggio anche in altri Paesi). Per essere precisi, 1,9 miliardi di utile operativo solo nel 2017 e solo per Autostrade per l’Italia S.p.A e un utile netto di 972 milioni in crescita del 19% sul 2016. Quale vantaggio ne viene ai cittadini italiani? Ovviamente nessuno. La autostrade a pedaggio sono una gallina dalle uova d'oro ad esclusivo appannaggio di potenti gruppi industriali, in assenza di qualsivoglia criterio di efficienza (come periodicamente si legge nelle riflessioni degli economisti più attenti, per esempio in questo articolo de Il Sole 24 ore). Molti ormai cominciano a rimpiangere i tempi dell'IRI, quando era lo Stato a gestire l'immenso patrimonio delle grandi infrastrutture del Paese. E molti si chiedono per quale ragione si dovrebbe continuare così.

Riflettendo in questi giorni sulle profetiche analisi del sociologo ungherese Karl Polanyi, scritte nel 1944 e pubblicate nel volume La grande trasformazione, mi chiedo se il neoliberismo, con i suoi miti di libertà d'impresa, competizione, privatizzazione, deregolamentazione, sia compatibile con la democrazia in generale e con la Costituzione italiana in particolare. La domanda non è originale e la risposta in certa misura è scontata, per chi frequenta la ricca letteratura al riguardo, ma non credo sia inutile ripercorrere le ragioni per le quali la risposta non può che essere negativa. Da queste ragioni deve derivare infatti un giudizio storico e politico nettissimo sulla classe dirigente che ci ha governato dagli anni '80 in poi e la motivazione chiara a ribellarci ad uno stato di cose non più tollerabile.

 

Il neoliberismo ha fatto fortuna, anche nelle masse, equivocando sulla parola “libertà”. Chi non è sensibile alle infinite promesse di una parola tanto pregnante? Chi non vorrebbe essere libero? Il problema è però è duplice: quale libertà? E la libertà di chi? La visione liberale dello Stato si fonda sulla difesa delle libertà civili e politiche: libertà di coscienza, di riunione, di associazione, di espressione eccetera. Esistono, però, osserva Polanyi, anche le libertà negative: la libertà di sfruttare i propri simili, di sottrarre all'utilizzo comune scoperte tecnico-scientifiche per proteggere interessi privati, di trarre profitti da calamità collettive, di inquinare l'ambiente. Nell'economia capitalista, queste due forme di libertà sono i due lati della stessa medaglia.

 

Si potrebbe ipotizzare, continua Polanyi, una società futura nella quale le libertà “positive”, accompagnate da una regolamentazione adeguata, possano essere estese a tutti i cittadini. “Regolamentare” vuol dire porre limiti ai privilegi di una minoranza, proteggere i più deboli dal potere soverchiante di chi detiene la proprietà, correggere gli squilibri economici e sociali, controllare e sanzionare i comportamenti dannosi alla collettività, permettere a tutti i cittadini, anche a quelli svantaggiati, di esercitare le libertà “positive”. Questa società futura sarebbe libera e giusta insieme.

 

Ma ad impedire questo esito (la diffusione della libertà) è proprio l'”ostacolo morale” dell'utopismo liberale (quello che chiamiamo “neoliberismo”), di cui lui riconosceva il massimo esponente nell'economista Von Hayek. La visione neoliberista è utopica perché predica l'assenza del controllo e dell'intervento dello Stato in ambito economico e sociale, proprio mentre invoca l'esercizio della forza e anche della violenza dello Stato a difesa della proprietà. Detto in parole povere, per il neoliberismo lo Stato è al servizio della proprietà individuale e della libera impresa, cioè di quei pochi che non hanno bisogno di incrementare il proprio reddito, il proprio tempo libero e la propria sicurezza e agisce a svantaggio delle libertà di tutti gli altri. La libertà neoliberista è solo prerogativa dei ricchi (anche se a parole è disponibile a tutti) e non può essere estesa a tutti, perché questo minaccerebbe la proprietà. Chi è povero lo è per colpa sua ed è solo un perdente nella competizione per la ricchezza. La libertà è in sostanza la libertà di arricchirsi senza vincoli né regole. 

 

Il neoliberismo (l'utopismo liberale), concludeva Polanyi, è intrinsecamente e incorreggibilmente antidemocratico e autoritario, perché piega lo Stato a difendere gli interessi di una minoranza a danno della maggioranza. Non per nulla il primo esperimento di Stato neoliberista fu il Cile di Augusto Pinochet, dove “libertà” significava azzeramento dei sindacati e dei diritti delle comunità, privatizzazioni selvagge, liberalizzazioni finanziarie e repressione delle libertà civili. Qui il neoliberismo si sposa con il fascismo.  

 

Ma c'è anche un modo meno cruento per effettuare un colpo di Stato: corrodere un giorno dopo l'altro, per decenni, i diritti e i redditi dei cittadini, asservirli al potere finanziario, vincolarli a norme-capestro che li rendano schiavi di interessi estranei, modificare la Costituzione a danno della sovranità popolare, indebolire i lavoratori e i sindacati, assecondare gli interessi dei più forti, non intervenire a ridurre le disuguaglianze, privatizzare i beni pubblici, ridurre la spesa sociale, distrarre continuamente l'attenzione pubblica con falsi problemi e individuare sempre nuovi bersagli per la rabbia popolare, colpevolizzare i cittadini per la loro condizione e controllare i mass-media, in modo che veicolino continuamente la visione che più fa comodo ai manovratori (quella che Marcello Foa ha chiamato “il frame”, la cornice), martellare per anni e decenni i cittadini con un linguaggio economicista pieno di concetti come imprenditorialità, libertà d'impresa, debiti e crediti, competizione eccetera - insomma costruendo un'ideologia che giustifichi e renda accettabile la progressiva riduzione in schiavitù di interi popoli, tenendone a bada l'inevitabile scontento con il senso di colpa, la paura e la menzogna. Questo è ciò che è successo da noi in questi ultimi decenni. Questo è l'imperdonabile tradimento della Costituzione e dei suoi valori realizzato da una classe politica avida e asservita a gruppi di potere nazionali e sovranazionali che l'hanno telecomandata a danno nostro. Il neoliberismo non è solo di una teoria economica, ma di un modello complessivo di società, sorretto da un poderoso e contraddittorio apparato ideologico, incompatibile con la democrazia, come sono incompatibili con la democrazia i monopoli privati di beni collettivi.

 

Il viadotto di Genova è un simbolo di ciò che deve finire in Italia e nel mondo se vogliamo avere un futuro democratico. La globalizzazione neoliberista, che esalta il libero mercato, mentre mira a costituire monopoli e posizioni di forza, sta mettendo in ginocchio interi popoli. Povertà e disuguaglianza aumentano di giorno in giorno a livello globale. Non è più accettabile mantenere in piedi privilegi feudali, massacrando sogni e speranze di miliardi di persone. Il filosofo John Rawls sosteneva che una disuguaglianza è accettabile solo se migliora anche le condizioni di chi ha di meno. La ricchezza non è un male, ma lo è l'ingiusta distribuzione di essa. La libertà senza giustizia sociale è solo un guscio vuoto e uno specchio per le allodole. Questo dice in sostanza la nostra Costituzione. 

Se la vogliamo difendere, dobbiamo consegnare al passato il neoliberismo, memori della sofferenza e dei disastri che ha provocato. Non vedo altra via d'uscita dal tunnel nel quale ci troviamo. Deve essere lo Stato a regolare l'economia e il fine dell'economia deve essere il benessere dei cittadini. Il mercato non è in grado di autoregolarsi affatto e laddove i governi sono collusi con i potentati economici stanno tradendo la sovranità popolare. Non dimentichiamoci la frase pronunciata dal miliardario Warren Buffett (il terzo uomo più ricco al mondo) a proposito della diminuzione delle tasse per i ricchi: “La lotta di classe esiste e l'abbiamo vinta noi”. Tanto per ricordarci di che cosa c'è in gioco: non la lotta contro la ricchezza, ma la lotta contro una visione predatoria della ricchezza e contro la menzogna che ci rende schiavi da troppo tempo di un'élite che ha consapevolmente e pazientemente costruito il mondo squilibrato nel quale ci troviamo – di cui troviamo il ritratto nel libro di Gioele Magaldi, Massoni: società a responsabilità illimitata, editore Chiarelettere.

 

 

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