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16 aprile 2018

 

Breve viaggio in Francia, dove all'università non si fa più lezione

 

Da diverse settimane la Francia è scossa da un movimento sociale di forte magnitudo che resiste e contrattacca contro l'accellerazione neo-liberale del governo Macron. Una serie di riforme stanno infatti investendo diversi settori, in primis quello dei ferrovieri e dell'università, in un costante sforzo di taglio dei costi e razionalizzazione. Mobilitazioni che s'intersecano ma che cercano ancora una loro convergenza per aumentare di forza. Siamo andati a vedere cosa succede nelle università occupate in Francia con l'intento di restituire qualche sensazione del movimento in corso.

 

Prologo

Parigi 7 aprile. Arrivati a Tolbiac si viene accolti da uno striscione attaccato in fondo all’anfiteatro di cemento che funge da ingresso a questo palazzo di 22 piani, barricato e bloccato da oltre due settimane: “Il movimento sta prendendo è… la teoria del caos” (G.Haddad)”. Haddad come Georges Haddad rettore dell’università Parigi 1. Davanti a quello striscione con la citazione delle dichiarazioni a mezzo stampa del rettore, gli studenti hanno annunciato l’occupazione a oltranza per il ritiro della Loi ORE, la nuova legge voluta da Emmanuel Macron per selezionare gli ingressi all’università.

 

 “Abbiamo iniziato due settimane fa ed eravamo soli” ci dice Asraf quando gli chiediamo dell’occupazione “ora ci sono sei o forse sette università bloccate. Non la senti? C’è un’aria frizzante a Parigi, sta succedendo qualcosa. Ma non so dirti ancora cosa”. Vista la forza del movimento, con assemblee partecipate da oltre mille studenti che hanno votato il blocco della didattica, e la posizione di molti professori contrari anch’essi alla riforma, il rettore ha concesso la sospensione delle lezioni per il semestre e un voto politico per gli esoneri. Ci sono ora lezioni alternative che si susseguono nelle tre enormi aule del pianterreno mentre il resto dell’edificio, le cui scale sono bloccate con griglie, banchi e sedie, rimane silenzioso e immobile. Un gruppetto di fascio-monarchici (sic!) ha fatto il giorno prima un’azione dimostrativa contro il blocco, sulla falsariga di quanto successo a Montpellier poche settimane fa dove una milizia di estrema destra ha picchiato e poi sgomberato gli studenti che stavano occupando un’aula della facoltà di giurisprudenza, “una volta sono i fascisti, una volta è la polizia, non c’è differenza, tutti fanno il lavoro per il governo che vuole che tutto ritorni alla calma”.

 

 

Nanterre

Di calma in città, invece, sembra essercene poca, alla mattina della domenica arriva la notizia che è stato occupato nella notte anche un edificio dell’Università di Nanterre. Prendiamo la metro per raggiungerli e ci imbattiamo in una cinquantina di cheminots, i ferrovieri che stanno facendo sciopero a singhiozzo contro la privatizzazione della società di trasporti e la riforma del loro statuto lavorativo. Prendono la metro per una stazione, cantano slogan, scendono, bloccano le porte per qualche minuto, quando arriva la corsa successiva fanno sporgere le bandiere del sindacato sui binari, costringendo la metropolitana parigina a rallentare un poco. “La linea 4 subirà dei ritardi in ragione di perturbazioni sulla tratta” scandisce la voce dagli altoparlanti.
A Nanterre un gruppo di studenti è barricato sul tetto dopo che la polizia è entrata nell’edificio. È da qui che è cominciato il ’68. Proprio in questa università nella periferia nord di Parigi, costruita su un vecchio terreno militare, qualche giorno prima, ma cinquant’anni prima, il 22 marzo, c’era stata la prima occupazione per chiedere la liberazione di alcuni studenti arrestati durante una contestazione contro la guerra in Vietnam. Dalla zona nord il movimento scese a valle verso il Quartiere latino, invadendo la città. Una memoria ripulita, asettizzata, estetizzata e riconfezionata in comodi contenitori di conferenze da due ore l’una con cui l’università celebra il cinquantenario del maggio rampante. “Maggio 68. Qui e ancora” si chiama il convegno. Qualcuno, a quanto pare, sembra aver preso le istituzioni accademiche in parola.

 

A sostenere gli occupanti ci sono un centinaio di altri studenti sotto una pioggia battente che scandiscono slogan e salutano i loro compagni seduti sul tetto. Il direttore ha dichiarato una sorta di serrata per cercare di far tornare gli studenti a casa. Dopo un’infruttuosa trattativa, i gendarmi in tenuta antisommossa se ne vanno via, lasciando agli studenti mano libera. Stupore, energia, entusiasmo. “Abbiamo vinto, abbiamo occupato!” grida un ragazzo correndo euforico su ogni angolo del tetto a controllare la dipartita dei CRS. Cosa facciamo, chi siamo, dove andiamo? La nascita di un movimento, di un’occupazione è sempre un big-bang, materia densissima si concentra per espandersi, cerca spazio. Parte l’assemblea in cui si ricongiungono gli occupanti barricati e i solidali rimasti a terra. “Siamo qui come studenti, alcuni di noi fanno parte di collettivi e sindacati ma qui da ora in poi non conta. Solo uniti vinciamo” dice un ragazzo all’inizio della discussione. Prende poi la parola una professoressa che legge una dichiarazione del corpo insegnante che si è riunito in assemblea quella mattina, condannando fermamente l’intervento della polizia autorizzato dal rettore. “Dobbiamo fare dei turni di guardia, stare attenti che non ritornino” dice un dottorando. Neanche il tempo di finire la frase che tre plotoni di agenti in assetto antisommossa sbarcano quasi in mezzo all’aula. Gli studenti si alzano, la porta è bloccata, si inizia a spingere per uscire. L’immagine è surreale. Per dieci lunghi minuti volano cazzotti e scudate, la polizia carica nel corridoio, gli studenti vengono divisi in due gruppi. Usciranno soltanto dopo un’ora, individualmente. Sette di loro sono ammanettati e portati in commissariato. “Sarà un boomerang vedrai” ci dice uno studente torinese che si trova a Nanterre da un paio d’anni.

 

Il giorno dopo un’assemblea di oltre 800 studenti si riunisce per chiedere le dimissioni del rettore. Si vota per il blocco della didattica fino alla successiva assemblea e per chiedere il rilascio degli arrestati, ancora rinchiusi nel vicino commissariato verso cui si muoverà un corteo a fine assemblea. Siamo tanti, siamo forti dicono dalla tribuna, se il governo interviene è perché ha paura. Uno studente : “Il movimento sta crescendo, ieri eravamo cento oggi ottocento, domani? Anche se siamo in un campus lontano da Parigi dobbiamo realizzare ciò che succede in giro, ci sono assemblee in tutte le università, oggi ha occupato persino Paris 3, che nessuno sa neanche dov’è Paris 3!”

 

 

Paris 3

“Guarda, te lo dico sinceramente, qui durante la Loi travail sembravamo predicatori nel deserto” Philippe ha occhiali tondi e tratti fini, 26 anni, l’abbiamo incrociato alla porta della (non) famosa Paris 3. Il giorno prima c’è stata un’assemblea di circa mille persone, serratissima. Si è votato per il blocco che è passato per circa 100 voti di differenza. Il blocco, sembra questo un elemento centrale. Prima si impone, poi si vota. Forzando una ri-politicizzazione rapidissima dello spazio universitario. Anche gli studenti contrari e apatici non hanno potuto, per una volta, non fare nulla. Proprio per difendere quella normalità e quell’ordine a cui sono attaccati sono dovuti intervenire, confrontarsi e scontrarsi. “In questi anni proprio perché eravamo così soli abbiamo imparato a parlare anche allo studente medio, ci siamo fatti le ossa” dice Philippe. “Sono momenti forti, è un processo doloroso” aggiunge Julie, 19 anni “sono anche amicizie che si rompono. Avevo un gruppo di amici che sapevo fossero un pò destrorsi. Dopo quest’assemblea non ci parliamo più e forse non lo rifaremo”. La traiettoria della vita politica di Julie sembra ricalcare il percorso politico di una generazione intera – o piuttosto di una sua piccola minoranza di massa – che si è formata sulle barricate di questi anni. Sono quelli che mettevano i cassonetti davanti al proprio liceo due anni fa e che ora ripetono quei gesti davanti alle università, con un certo sapere della lotta che si è sedimentato e che viene riattivato in questo nuovo movimento. “Ma non è la stessa cosa” dice Philippe “la sconfitta del movimento contro la Loi travail è stata una delusione enorme. Non c’è quella gioia che avevamo due anni fa, c’è più consapevolezza è l’energia della disperazione che ci muove. Non sappiamo se vinciamo, ma dobbiamo chiudere i conti aperti col governo”. Nel frattempo, in basso, ci si organizza per la notte, arrivano i sacchi a pelo e si mette a posto la cucina improvvisata. Julie torna con gli occhi affaticati alla porta, a spiegare a chi arriva le ragioni della protesta e della forma che ha preso a Paris 3. E a controllare le entrate dall’arrivo di fascisti o polizia: “L’altro giorno ho letto una frase di Napoleone: si può essere sconfitti ma non si può mai essere sorpresi. Non male vero?” ride Philippe.

 

 

Seine Saint Denis

La riforma dell’accesso all’università accentuerà ancora di più i tratti classisti e razzisti del sistema formativo francese. Ce lo spiega Laura, una giovane professoressa del dipartimento di comunicazioni e media dell’università di Paris 8, Seine Saint Denis. Fino ad ora, quando non c’erano abbastanza posti in alcuni corsi universitari, si estraeva a sorte chi poteva entrare. La legge ORE prevede invece un complicato sistema che pondera i voti ottenuti all'esame di maturità e la corrispondenza a dei pre-requisiti stabiliti dai dipartimenti universitari a richiesta del ministero . Lo studente deve scrivere anche una lettera motivante il suo impegno e gli insegnanti del liceo devono esprimersi su quante chances ha di passare l’anno. Visto che ciò crea non poco lavoro supplementare per gli insegnanti il ministero prevede di usare un algoritmo che calcolerà direttamente chi è scelto. La legge è passata ma ci sono ancora piccoli sporadici sabotaggi. Alcuni professori dei licei hanno annunciato che daranno a tutti gli allievi l’idoneità, ci sono dipartimenti che si rifiutano di stilare i pre-requisiti che i liceali dovrebbero riempire e altri gruppi di professori universitari hanno dichiarato all’amministrazione degli atenei che non useranno la nuova piattaforma.

 

"La selezione sociale è fortissima fin dalle medie. Fin da prima forse. Ma questa legge rinforzerà radicalmente il sistema di privilegi escludendo definitivamente i ragazzi socialmente meno privilegiati ma che riuscivano ancora a cavarsela" continua Laura “Si tratta di un sistema che accentua enormemente le divisioni di classe e di razza. Se sei in un liceo in un quartiere popolare di solito hai voti più bassi, inoltre non hai accesso alle `opzioni` di preparazione per filiere specifiche (diritto, economia etc.) che sono disponibili soltanto nei licei prestigiosi e magari non puoi premetterti le attività extracurriculari che vengono conteggiate nelle graduatorie. Ovviamente è soprattutto la popolazione nera e araba che si trova in banlieue che viene penalizzata”. Classe e razza, due elementi che sembrano strutturare la vita di questa università all’estrema periferia nord di Parigi, nel famoso dipartimento del 93. E che hanno fatto nascere questioni e tensioni inedite tra i militanti che si sono fermati nel ciclo di lotte precedenti come Laura. “Io mi sono avvicinata alla politica nel movimento contro il CPE, il contratto di primo impiego, del 2006. A quell’epoca ero studentessa e qui a Saint Denis nessuno si muoveva. In generale i miei compagni erano talmente contenti di essere arrivati all’università che verso le mobilitazioni avevano solo fastidio”. In queste settimane, invece, ci sono state due assemblee da oltre 800 persone che hanno votato per il blocco della didattica. Segno che qualcosa cambia. Se certi liceali si sono politicizzati nel movimento contro la Loi travail, altri lo hanno fatto denunciando le violenze ripetute e mirate della polizia nei quartieri popolari. Così, dalla morte di Zied e Bouna a quella di Adama Traore, uccisi dalle forze dell’ordine, una nuova generazione sembra emergere anche dall'altra parte della "periph" Si riusciranno a rompere le tradizionali barriere tra centro e periferia?

 

 

Epilogo: ritorno a Tolbiac

“Convergenza delle lotte? E cosa vorrebbe dire? Tutti al centro di Parigi? Parliamo piuttosto di alleanze, che è meglio”. La voce scettica e potente che risuona a Tolbiac è di Asaa Traore, la sorella di Adama Traore, ucciso dalla polizia nel luglio del 2016. Da quel momento sta lottando per chiedere verità e giustizia sulla morte del fratello come tante donne che hanno perso un familiare per mano della polizia. L’hanno invitata a parlare a Tolbiac e marca una distanza, Asaa, tra due mondi che hanno imparato ad incontrarsi e rispettarsi: quello delle associazioni delle vittime della violenza della forze dell’ordine nelle banlieue e quello dei movimenti giovanili che in questi anni si sono dovuti confrontare con una polizia violentissima decisa a far passare le riforme costi quel che costi. È un incontro forte per gli studenti, che muove, che commuove. Che ci parla di una metropoli vorace, che seziona e separa scientificamente le soggettività, che ci parla di una diffidenza nella differenza. La lotta unisce sì ma una convergenza?

 

Il giorno dopo a Tolbiac arriva la notizia di uno sgombero imminente. L’isteria giornalistica su qualche episodio ai margini dell’occupazione sembra preparare la trappola. Prima la misteriosa aggressione a un dipendente dell’università – che gli studenti condanneranno in un comunicato il giorno seguente – e poi la provocazione di un deputato del partito di Macron, che si è presentato davanti all’occupazione per riportare gli studenti alla ragione ed è ripartito coperto di farina. Un’assemblea concitata prepara la resistenza: nella serata si fa un appello urgente a raggiungere al più presto la comune di Tolbiac, non si molla di un centimetro. C’è la voglia di difendere un esperimento collettivo. Dopo l’intervento di un ragazzo col volto coperto ce n’è uno che infiamma la sala. Un delegato de sindacato CGT, responsabile per il settore ferroviario di Parigi, dice: “Datemi due ore, due sole ore di resistenza e faccio arrivare i ragazzi dai picchetti della stazione. Loro mi avevano detto anche `Sgombero a Tolbiac? Portiamo i bulldozer`, ma i bulldozer no, mi pare eccessiva”. Scroscio di applausi e cori sui bulldozer s’impadroniscono dell’aula per qualche minuto. Se non sono convergenze almeno si è imparato a respirare insieme. Et ça fait du bien.

 

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