Fonte: oltre la linea

06/03/2018

 

Populismo: tra ribellione e costruzione

di Roberto Siconolfi

 

Oggi tutto l’establishment si muove a gonfie vele in opposizione al nascente movimento populista. Populismo, questo termine dispregiativo invocato per ogni manovra, politica o teorica, che esula dalle direttive UE e dal pensiero unico. Un varco che si apre all’interno di un sistema sempre più compiuto e totalitario e che afferma con veemenza le rinnovate esigenze dei popoli europei.

 

Nella prefazione al saggio “Populismo – la fine della destra e della sinistra” di Alain de Benoist, il prof Zarelli afferma che esso è anche una mentalità e uno stato d’animo. E come non potrebbe, da un punto di vista cosciente e razionale possiamo affermare che esso è “la voce dell’anima dei popoli europei”. Un processo che ricalca il risveglio del femminino sacro delle concezioni metafisiche originarie. Un’anima che si rivolta contro i soprusi di una società di ottusi burocrati, di un sistema di debitori e creditori (vedi Eurozona), di tecnocrati che hanno svilito con la forza della psicologia di massa le migliori qualità identitarie e culturali dei popoli d’Europa.

 

Ma chi è che ha paura dei populisti e perché? Analizzando le categorie possiamo definire un gruppo di oligarchie ristrette formate da: economia finanziaria; mainstream (una categoria vasta che include sia il mondo dei media che della cultura di massa); centri eteronomi di potere (Bilderberg, Trilateral, Aspen Institute, NATO ecc.). E’ da qui che si tessono le fila oltre che del dominio politico, anche dell’attacco a tutto il movimento populista complessivo.


Scendendo più in giù nel campo dell’analisi, troviamo tutte quelle cricche affaristico-politiche che distribuiscono incarichi, affidano appalti, organizzano lobby, forniscono raccomandazioni e patti taciti. E’ il mondo delle pubbliche amministrazioni, dell’Università e della scuola, dei sindacati, delle cooperative onlus, di tutte quelle sacche di apparente conflittualità, ma che sono a tutti gli effetti guardia bianca del sistema (ONG, centri di accoglienza, centri sociali, ARCI, femminismo, movimenti LGBT e di altri pseudo diritti).

Che tutto questo mondo abbia da sempre avuto nella “nuova socialdemocrazia” il suo baricentro politico-ideologico è cosa ovvia. Ma che esso sia funzionale, più della destra conservatrice alle politiche mondialiste e guerrafondaie, questa è la vera novità dell’era nella quale viviamo.

 

La “nuova socialdemocrazia totalitaria” completa a tutti gli effetti il dominio della destra economica, finanziaria e neo-liberista. Quest’azione politica ha avuto nel centro-sinistra italiano, e nei suoi uomini di punta (Prodi, D’Alema, Napolitano, Renzi), i suoi migliori arcieri puntati diritti al cuore del popolo italiano – e anche al suo portafogli. E ricordiamo la celebre asserzione degli Agnelli per cui “in Italia per fare una politica di destra ci vuole un governo di sinistra”.

 

Possiamo individuare anche dei motivi intrinsechi e non prettamente legati al piano materiale del “perché?” tutto questo campo di forze, un giorno sì e l’altro pure, muove lamenti per: le critiche all’Euro; i comizi di Casapound; la Siria di Assad o il Venezuela chavista; l’insoddisfazione verso le politiche migratorie; il no al referendum costituzionale; la Brexit; la vittoria di Trump e quant’altro esista che vada al di fuori degli schemi.

Il sistema neo totalitario si muove dal punto di vista repressivo nel piano mentale, psicologico. E’ lì che si gioca la nuova grande battaglia per la liberazione e il risveglio della coscienza individuale e collettiva dei popoli d’Europa. Gli elementi sopraelencati hanno deciso di ritagliarsi il loro angolo di felicità, così dicono, nelle tante nicchie offerte dalla struttura di potere. Di conseguenza i loro rancori e rabbie, che dovranno pur sfogare, ma che viscidamente essi dicono di non avere, sono rivolti contro chi, capito il tranello si muove per emanciparsi da ciò. E’ come se si fosse instaurato un clima di “Sindrome di Stoccolma collettiva”, dove i tiranneggiati amano a tal punto il tiranno da disprezzare chi invece si libera, ovvero scappa dal campo di prigionia.

 

Ma può essere solo il sano moto di ribellione a generare il positivo? Ogni rivoluzione ha bisogno di un atto di distruzione e uno di creazione. Ed è evidente che per fare ciò c’è bisogno di sollecitare le aristocrazie, le minoranze organizzate alla George Sorel, affinché siano esse stesse a guidare il processo. E’ inutile rinchiudersi dietro una sterile visione ribellistica tout court, che pensa di poter fare a meno della riorganizzazione di un “nuovo potere”. Così come è inutile limitarsi nella sterile polemica anti élite, che non è in grado di vedere il fatto che “queste élite” sono lo specchio di un caos e disordine che coinvolgono l’individuo a livello personale.

 

Il fatto è che bisogna generarne di nuove, in grado di guidare dalla testa il movimento complessivo. Bisogna ideare “nuove sintesi teoriche” che siano in grado di fondere ad un livello superiore il recupero di una rinnovata identità collettiva, con le esigenze economico-sociali delle masse popolari.


Recuperare dei “principi ai quali conformare il modello sociale tutto e la comunità”. Oggi che a dominare, proprio in Occidente, sono gli aspetti dei bassi istinti, del denaro – accumulato e sempre meno guadagnato – e del nichilismo, è necessario più che mai trasformare questo aspetto nel suo contrario. In una sorta di processo alchemico societario che rivolga il negativo, nel suo punto massimo di giunzione, nel positivo.

 

Riscoprire e sviluppare gli elementi spirituali sui quali fondare “una nuova Europa”. Elementi sui quali si forgino le “nuove élite” sopraccennate, e che possano guidare il processo trasformativo in chiave collettiva. Allo stesso modo è possibile costruire un nuovo paradigma teorico-politico che metta al servizio di questo processo le nuove scoperte della scienza. E pensiamo alla fisica quantistica, ad esempio, che riporta il ruolo della materia nella posizione più corretta, cioè dominata dall’idea.

 

Si, questa è una crisi, e nell’accezione greca del termine, e quindi opportunità di cambiamento. Una grande era, attraversata dalle sue sciagure peculiari alle fasi storiche di decadenza. Ma un grande cambiamento, soprattutto se inserito in processi storici secolari, non può fare a meno di coinvolgere l’Uomo nella sua totalità, del resto avrebbe poco senso immaginare un futuro diverso senza ciò.

 

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