Francesca Borri

3 luglio 2018

 

Another day in the death of America
di Gary Younge

Faber & Faber 2016

 

Da gennaio, si sono avuti 7mila morti. E 13mila feriti, in 3mila scontri a fuoco. A questo ritmo, alla fine dell'anno i morti saranno 10mila: quanto quelli della guerra in Yemen. Ma difficilmente l'ONU deciderà di intervenire. Perché stiamo parlando degli Stati Uniti. E tutto questo non deriva dal collasso dell'ordine pubblico, ma dalla sua tutela.
Deriva dalla costituzione, che garantisce il diritto di girare armati.


Negli Stati Uniti circolano 89 armi ogni 100 americani.
E quindi stiamo parlando di città come Chicago, in cui ogni anno, da dieci anni, si hanno più morti che tra i marines in servizio in Afghanistan. A Chicago sono tutti così abituati al suono dei proiettili che i cani, ormai, neppure abbaiano più. Dalle pagine Facebook dei ventenni, dalle foto, tutto sembra tranne che gli Stati Uniti. Sembra Gomorra. Sembra il Messico, il Salvador. Dollari e pistole. Come dalle foto di Tyshon Anderson, 18 anni. Uno che oggi ti ritrovi a raccontare la sua morte: ma ieri, avresti potuto ritrovarti a raccontare la morte di una delle sue vittime. Perché era uno che viveva di furti, spaccio. Come tanti. E gli avevano già sparato. E gli avevano sparato una seconda volta appena dimesso dall'ospedale. Era uno che sua madre era tranquilla solo quando era in carcere: perché solo in carcere era al sicuro. Eppure, viene ricordato dagli amici quasi fosse morto in combattimento. Con onore.


Di più: quasi fosse morto sul lavoro. Senza stupore.
Gary Younge, corrispondente dagli Stati Uniti del Guardian, ha scelto di vivere proprio a Chicago. E in una riunione alla scuola del figlio, si discute di orientamento. Di come insegnare ai bambini a tornare a casa da soli. E quindi si discute di sparatorie. Di come insegnare ai bambini a gestire la paura, dovessero finirci in mezzo. Perché qui è così normale, dice, che il problema non sono le sparatorie: è il panico. Il suo libro è un ritratto feroce dell'America di oggi. E lascia senza parole. Perché è il ritratto di un giorno a caso. Il 23 novembre 2013. E dei suoi dieci morti. I suoi dieci morti minorenni: perché in media, in tutto, ogni giorno i morti sono 96. Ma appunto: è tutto così normale che a ogni nuovo morto non viene dedicato che un trafiletto nei quotidiani locali, come le poche righe con cui il Dallas Morning News riporta l'omicidio di Samuel Brightmon, 16 anni, centrato da un proiettile mentre camminava con un amico per strada. Nessun indagato, nessun sospetto. Nessun movente. "Un momento stai alla playstation. Un momento dopo sei morto", dice un amico. "Così", dice. "Senza ragione".

E d'altra parte: è tutto così normale che lo psicologo che segue la sua classe, che viene inviato lì per aiutare i suoi compagni a rielaborare il trauma, sbaglia anche il suo nome. Le famiglie sono lasciate sole non solo dopo. Ma soprattutto, prima. Il ritratto dei vivi è forse ancora più feroce di quello dei morti: perché è il ritratto di un paese in cui i padri non ricordano quanti figli hanno, come il padre di Gustin Hinnant, 18 anni, o in cui si viene seppelliti dopo due settimane, perché è necessario organizzare una colletta per pagare il funerale, come per il funerale di Pedro Cortez, 18 anni. O ancora, un paese in cui la follia omicidia viene innescata da una bolletta telefonica, come per Jaiden Dixon, 9 anni. Ucciso dal padre del primo dei suoi fratelli, che aveva un'arma nonostante avesse anche precedenti penali. Un paese in cui molte, moltissime famiglie vivono in bilico.

Letteralmente. Sul filo della povertà. Senza rete. Senza welfare. E basta un tamponamento in auto, una frattura a un ginocchio, bastano 6 settimane senza lavorare, senza guadagnare, come capita alla madre di Samuel Brightmon, per essere sfrattati, e essere costretti a cambiare casa. Cambiare zona. Vita.


E finire in una di quelle in cui si viene uccisi senza ragione.
Perché poi, quando si parla di Chicago, in realtà non si parla dell'intera Chicago. Ma al fondo, delle aree a sud e ovest. E uno come Gary Younge, legge di tutto questo sui giornali: come se fosse un altra città. Un altro mondo. Un mondo in cui, se sei nero o latino, vieni fermato per un motivo qualsiasi. Condannato con un pretesto qualsiasi: perché come dice un poliziotto, è solo questione di numeri. "Bisogna baciare molti rospi prima di trovare un principe".


Questo libro è un ritratto micidiale dell'America di oggi. Di questa America che si racconta come la terra delle pari opportunità: e in cui, invece, è ancora il colore della tua pelle, spesso, il luogo in cui nasci, a segnare il tuo destino. Questa America che a noi europei è così vicina, così familiare: e che qui, all'improvviso, ci sembra così aliena. 
Fino al giorno in cui un Gary Younge non scriverà un libro sui migranti.

 

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