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17 Luglio 2018

 

Fuori l'Europa, dentro Putin: così Trump ha cambiato il mondo e si è messo nei guai

di Fulvio Scaglione

 

In Usa reazioni inferocite dopo l’incontro Trump-Putin. Ed è comprensibile. Il vertice di Helsinki sancisce un enorme cambiamento, già in atto, per gli equilibri mondiali. Gli Usa non sono più amici di nessuno e corrono da soli. E per l’Europa e gli atlantisti non è un bel momento

 

“Una vergogna”. “Un traditore”. “Un’umiliazione per l’America”. “Un codardo”. “Un mentitore”. Dai e dai, gira e rigira, il conflitto è infine esploso nel cuore dell’Impero. Quelli di cui sopra sono solo alcuni degli epiteti con cui una parte robusta della politica americana e la stragrande maggioranza degli operatori dei media stanno organizzando il linciaggio di Donald Trump.

Quando uno degli anchorman più noti della Tv Usa apre il dibattito tra esperti esprimendo a chiare lettere disgusto per il proprio Presidente, mentre un ex direttore della Cia definisce Trump “imbecille” e “succube di Putin”, si capisce che i vecchi parametri sono saltati e che il nostro mondo è ormai squassato da una guerra intestina dalle conseguenze imprevedibili.

L’irresistibile ascesa della Cina. La resistibile ascesa del terrorismo islamista, finanziato dai nostri migliori alleati. La crisi economica, in Occidente profondissima nelle conseguenze sociali. Gi spostamenti di popolazioni in fuga da guerre, carestie, povertà, disastri climatici. L’effetto boomerang della globalizzazione, che mentre fa uscire cento milioni di persone dalla fame nera in Paesi che “pesano” poco, fa entrare nella povertà cinquanta milioni di piccoli borghesi di Paesi che invece “pesano” molto. Su tutto questo Barack Obama aveva issato un fondale di cartapesta che faceva pure la sua figura, tra il glamour del primo Presidente nero e le buone maniere della Hollywood progressista del buon Weinstein, generoso finanziatore del Partito democratico prima di farsi travolgere dai suoi vizi. Poi si facevano le solite porcherie, le armi a questo e quello, uno scudo stellare qui e uno là, un po’ di Fratelli Musulmani e qualche bomba sulla Libia, ma insomma si andava avanti.

 

Quel fondale Trump l’ha attraversato come un rinoceronte. Ciò che bolliva in pentola stava tutto nello slogan della sua campagna elettorale: “America first!”. La nazione come risposta al caos vero o apparente, l’io contro il noi e il noi contro tutti. Quest’ideuzza, che prima di lui si agitava nelle periferie dell’Impero, ora è arrivata al centro e provoca i travasi di bile politica di cui si diceva.


Perché poi, a vederla con gli occhi di Trump, a Helsinki non è successo nulla. Mentre a vederla con gli occhi degli atlantisti vecchio stampo, a Helsinki si è rischiata la fine del mondo. Ed ecco perché. Donald Trump è un nazionalista che fa il Presidente degli Stati Uniti, ovvero dell’unica superpotenza al mondo. Lui dice: perché devo sprecare un sacco di soldi per star dietro ai trattati commerciali, badare alle alleanze militari, dar retta alla Ue e poi farmi pure scassare l’anima dalla Merkel, da Macron, dalla May, da questo e da quello, quando posso fare più o meno quello che voglio? Quando ho la ricchezza, la forza e il sapere per imporre agli altri le mie decisioni?


Per questo è successo proprio ciò che gli atlantisti in doppio petto paventavano, cioè che Trump ha strapazzato gli europei a Bruxelles e aperto la porta a Putin a Helsinki. La Russia è forte e bene armata ma ha la Nato ai confini e l’Ucraina è, politicamente parlando e da qualche mese anche militarmente, un protettorato americano. In più, l’economia russa non è una rivale per quella americana. In sostanza, un grosso rompimento di scatole ma poco più. 

 

L’Europa, al contrario, è un nano politico e militare. Però genera il 20% degli scambi commerciali del mondo, ha un attivo, negli scambi economici con gli Usa, di circa 150 miliardi di dollari l’anno ed è più protezionista degli Usa visto che (lo spiega l’Organizzazione mondiale del commercio) il dazio medio applicato dai Paesi Ue era, fino alle misure prese da Trump su acciaio e alluminio, del 5,3% contro il 3,5% degli Usa, il 4,2% del Giappone, il 4,1% del Canada e il 2,7% dell’Australia. Se voi foste quello di “America first!”, con chi ve la prendereste? Con il povero rognoso e grintoso (la Russia) o con il ricco senza palle (l’Europa)?


Il nazionalismo è questo, no? Prima gli interessi del mio Paese e poi, ma solo poi, quelli degli altri Paesi. Per quelli convinti che senza la Nato siamo persi, che se non compriamo gli F35 ci fanno pac pac sul sederino e se non ci sdraiamo davanti ai loro progetti gli americani non ci danno più l’amicizia su Facebook, abbiamo una notizia: è già successo.
Questa America non è più nostra amica, perché non è amica di nessuno ma solo di se stessa. Un po’ come tutti, del resto. Fa su scala mondiale quello che i cari Merkel, Macron e compagnia fanno in Europa. Lo fa molto, molto più in grande. Se questo mondo nuovo non ci piace, abbiamo una speranza: che il complesso industrial-militare Usa, spaventato dal possibile calo di fatturato in un mondo con più guerre commerciali e meno guerre vere, si decida a togliere di mezzo Trump. Difficile, con l’economia americana che vola, ma non impossibile.

 

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