Originale: Informed Comment

http://znetitaly.altervista.org

13 gennaio  2018

 

In che modo in Iran le rivolte del pane sono diventate rivolte contro il sistema 

di Shahram Akbarzadeh

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

L’Iran ha iniziato il 2018 con dimostrazioni di protesta e polizia antisommossa in molte città di tutto il paese. Le proteste pubbliche contro il regime hanno colto di sorpresa molti osservatori, proprio come aveva fatto la Primavera Araba nel 2011. Le manifestazioni di rabbia pubblica, non sono, però nuove in Iran. Durante tutto il 2017, l’Iran ha assistito a una serie di proteste focalizzate sulle rimostranze di tipo economico: disoccupazione, mancanza di opportunità, nepotismo e corruzione. Il Presidente Rouhani non è riuscito a tenere fede al suo mandato di ripresa economica, in parte a causa delle persistenti sanzioni imposte dagli Stati Uniti e in parte a causa della natura dell’economia  delle rendite che conta sulla vendita del petrolio e del gas  e dei margini degli scambi commerciali  senza produrre nuovo valore. Il fatto che gli Iraniani avessero lagnanze di tipo economico, non giungeva nuovo a nessuno. Quella che è arrivata come un fulmine a ciel sereno, è stata la violenza delle proteste, la loro diffusione in tutto il paese e la loro marcata inclinazione politica. Quella che è cominciata come una protesta contro l’impennata dei prezzi del pollame, si è subito trasformata in una protesta contro il sistema della Velayat Faqih*  dove il Leader Supremo non eletto detiene il potere assoluto.

 

Le proteste del gennaio 2018 sono considerate come ‘rivolte per il pane’. Il fatto che la maggior parte delle dimostrazioni si siano svolte nella periferia e non nella capitale, indica la misura delle loro rimostranze. Sottolineano anche che il fattore paura che ha tenuto lontane le persone dallo scontro aperto con il regime, è stato smussato. Un numero sempre maggiore di persone è apparso pronto a prendersi dei rischi per la propria sicurezza. E’ una situazione infiammabile con sfide significative per la longevità del regime. Il regime ha, però, scelto di aspettare la fine delle proteste e di astenersi dall’uso della forza schiacciante. In passato, il regime non ha avuto esitazioni a scatenare le truppe paramilitari Basij contro i dimostranti. Il Movimento Verde del 2009 è stato soppresso dai fanatici Basij sulle motociclette, nelle strade di Teheran. Questa volta, però, i Basij sono passati in secondo piano. Questa astensione ha contribuito a dare ai dimostranti un senso di rischio accettabile. Allo stesso tempo, ha contribuito a evitare di peggiorare le tensioni ed è servito al regime mentre aspettava che l’energia popolare si affievolisse.

 

Alcuni argomenti sono risaltati nelle proteste del gennaio 2018 e avranno implicazioni di vasta portata in futuro. Prima di tutto, le proteste si sono trasformate molto rapidamente in rivolte contro il sistema. I resoconti delle agitazioni hanno osservato che i dimostranti scandivano slogan contro il regime (Abbasso il dittatore!) e che facevano a pezzi le immagini del Leader Supremo, l’Ayatollah Khamenei. La vasta diffusione dei sentimenti anti-regime era notevole. Mentre il Movimento Verde del 2009 era effettivamente un’estensione della fazione riformista che mirava a reagire agli  eccessi dei conservatori, le proteste del gennaio 2018 non hanno fatto distinzioni tra i riformisti e i conservatori e hanno rifiutato l’intero sistema del governo clericale. Questo fa pensare a un cambiamento qualitativo e una sfida significativa al futuro del regime. Questa sfida rimarrà reale fino a quando il regime al governo non riuscirà a mantenere le promesse di una ripresa economica molto necessaria.

 

Secondo, è stata una protesta senza leader. Le proteste si sono sviluppate rapidamente in tutto il paese, soprattutto in città piccole e nelle municipalità senza alcuna dirigenza. La natura spontanea delle proteste indicava un profondo senso di frustrazione per i fallimenti economici del regime, anche se il mandato elettorale di Rouhani doveva sistemare l’economia. Non c’è stata nessuna istituzione (come i sindacati o le ONG) a sostenere le proteste e a offrire un orientamento. L’atteggiamento antagonistico del regime verso i sindacati dei lavoratori e la società civile ha privato i dimostranti della struttura e della loro dimora naturale per promuovere le idee e sostenere il movimento. Questo significava che la protesta mancava di una visione positiva per il futuro e di meccanismi per mantenere l’energia.

 

Terzo, l’importanza dei media sociali. In assenza di una leadership e di una struttura dell’opposizione, la natura spontanea delle proteste era rafforzata con il vasto uso delle piattaforme dei media sociali. La popolazione iraniana è una delle più “collegate” in Medio Oriente, comunicando istantaneamente sulle applicazioni condivise dei media (come Telegram), tramite i loro cellulari. Questo significava che le notizie delle dimostrazioni e gli slogan potevano diffondersi rapidamente. I media sociali come strumento di protesta erano già stati evidenti nel Movimento Verde Iraniano del 2009, e anche nella Primavera Araba del 2011. Questo è il motivo per cui il regime si è mosso rapidamente per sospendere l’accesso a Internet e a contenere le notizie di agitazioni. Con i media sociali spenti, molti dimostranti nelle piccole città e nelle municipalità erano tagliati fuori dalle notizie delle proteste in altri luoghi, mentre i media gestiti dal regime riferivano di manifestazioni pro-regime nelle città più importanti. E’ stata un’esperienza demoralizzante.

Ora le proteste si sono spente, e le agenzie di sicurezza iraniane sono impegnate nella lunga ricerca degli istigatori. Il motivo delle proteste, però, rimangono ed è soltanto una questione di tempo prima che esploda un’altra serie di proteste. Questo pone una minaccia esistenziale al regime islamico, ma non presenta una migliore alternativa per la popolazione. In assenza di una visione per il futuro, sostenuta da una leadership unificante, è difficile immaginare come un’altra rivolta contro il sistema potrebbe portate l’Iran a un futuro migliore.

 

Nota

https://it.wikipedia.org/wiki/Velayat-e_faqih

 


Shahram Akbarzadeh è Professore di Politica del Medio Oriente e dell’Asia Centrale alla Deakin University. Twitter: @S_Akbarzadeh


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/how-irans-bread-riots-turned-anti-systemic

 

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