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3 Luglio 2018 

 

Il grande ricatto: così la Libia (e Salvini) rischiano di trasformare l'Italia in una gabbia per migranti

di Francesco Cancellato

 

Altri 114 morti al largo delle coste libiche. La pressione migratoria aumenta, e le tragedie pure. E, con l'irrigidimento dell’Italia e dell’Europa, le condizioni tendono a peggiorare. L’Italia rischia di diventare il paese-gabbia del Mediterraneo

 

Non vogliamo fare le cassandre e non vogliamo rovinarvi il caffè tutte le mattine con notizie che non vi piace leggere: ma ieri, ci informa l’Unhcr,sono morte in mare altre 114 persone, nel tentativo di raggiungere l’Italia. 114 di cinquantamila che, secondo fonti libiche, sono pronte a salpare per l’Italia nei prossimi mesi. Il motivo di questa nuova pressione migratoria è piuttosto intuibile. La pressione, e le tragedie, derivano, paradossalmente, della drastica diminuzione degli sbarchi di questi ultimi mesi: se chiudi in gabbia decine di migliaia di persone impedendo loro di concludere il loro viaggio, se le stipi in centri di detenzione disumani in cui viene violato ogni diritto umano, se gli offri la sola alternativa di morire da schiavi, è abbastanza logico che queste persone, prima o poi, proveranno a imbarcarsi per l’Europa, a costo di rischiare la vita.

 

Questo i trafficanti lo sanno, e le fazioni in lotta nella Libia dilaniata dalla guerra civile, pure. E ci giocano, in modo sporco, approfittando delle nostre paure e di chi le usa a fini elettorali. Nell’ultimo anno sono stati coperti di soldi per bloccare le partenze, e hanno svolto diligentemente il loro lavoro. Oggi, a governo cambiato, stanno semplicemente rinegoziando le condizioni contrattuali, al rialzo. Il Governo libico chiede “motovedette, gommoni, vetture, autobus, apparecchiature, ambulanze”, cioè soldi, per far fronte all’istituzione di una propria zona di ricerca e salvataggio in mare. I capo tribù chiedono “il rispetto degli accordi”, cioè altri soldi, per presidiare il loro territorio. Se non li avranno, liberi tutti. Hanno cinquantamila anime pronte all’uso per ricattarci, e le useranno tutte, se necessario. Questo vuol dire appaltare a un Paese in guerra civile, senza alcun barlume di stato di diritto, la difesa dei nostri confini. 

 

Non finisce qua, però: perché l’ineffabile Salvini - bravissimo a raccattare voti dalle paure delle persone, molto meno a gestire problemi complessi - è riuscito in un solo mese a complicare le cose. La guerra alle navi delle organizzazioni non governative ha innescato una reazione a catena per cui oggi nemmeno i mercantili e i pescherecci sono più disponibili a soccorrere i barconi e i gommoni alla deriva, col rischio di perdere giorni di navigazione - e centinaia di migliaia di euro al giorno - in attesa che qualcuno se ne faccia carico. Allo stesso modo,l’inasprimento delle tensioni con gli altri Paesi europei sul tema della gestione continentale dell’emergenza migrazioni ha mandato definitivamente in soffitta ogni possibilità di riforma del trattato di Dublino e ha irrigidito ulteriormente le posizioni di chiusura di Paesi come Francia e Germania, con quest’ultima che ha ulteriormente inasprito la propria netta contrarietà ai cosiddetti movimenti secondari.

Il grande rischio lo conosciamo bene: se Francia, Austria e Germania chiudono a tripla mandata le loro frontiere, e la Libia decide di riaprire le proprie, il Paese gabbia diventiamo noi. E lo diventiamo perché, per mero calcolo elettorale, non abbiamo capito che il cuore della nostra politica doveva essere riformare Dublino e difendere Schengen, a ogni costo, anche schierando i carri armati al Brennero e a Ventimiglia. 

?E sarà un problema serio perché non abbiamo saputo interpretare il nostro ruolo di Paese di frontiera, e chiedere all’Europa quel che la Libia ha ottenuto da noi: un mare di soldi per gestire le richieste d’asilo in tempi celeri, per organizzare gli eventuali rimpatri, per implementare politiche di inclusione economica e sociale per i rifugiati. Gli apprendisti stregoni fanno sempre una brutta fine. Lo sappiamo da quando siamo bambini, non lo impariamo mai.

 

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