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marzo 4, 2018

 

Gli Stati Uniti hanno un futuro?

di Gilbert Doctorow,

traduzione di Alessandro Lattanzio

 

Il lungo discorso del presidente vladimir putin all’assemblea federale, in sessione congiunta di entrambe le camere russe, oltre a un gran numero di organizzazioni culturali, economiche e altre, costituiva la piattaforma per le imminenti elezioni presidenziali del 18 marzo, invece di partecipare ai dibattiti televisivi sui canali televisivi federali in cui altri sette candidati sono impegnati in questi giorni. ma come nel caso di molte delle più importanti presentazioni di vladimir putin, il discorso era rivolto a un pubblico molto più ampio dell’elettorato russo. molti dei circa 700 giornalisti invitati a partecipare erano corrispondenti stranieri. in effetti, si potrebbe ragionevolmente sostenere che il discorso fosse diretto all’estero, precisamente negli stati uniti. l’ultima parte dell’indirizzo, dedicato alla difesa e che presentava per la prima volta diversi importanti nuovi e tecnicamente ineguagliabili sistemi d’arma nucleari offensivi, rivendicava la piena parità nucleare russa cogli stati uniti, ribaltando il ritiro del paese dallo status di superpotenza risalente al crollo dell’unione sovietica nel 1992. alcuni commentatori russi, con scoppio di orgoglio nazionale, affermarono che il potere dell’unione sovietica era ristabilito e che i torti degli anni ’90 finalmente annullati. a suo modo, questo discorso è stato altrettanto importante, forse più importante del discorso di putin alla conferenza di sicurezza di monaco nel febbraio 2007, in cui discusse a lungo le lamentele della russia verso l’egemonia mondiale degli stati uniti insediata negli anni ’90 e il totale disprezzo o rifiuto degli interessi nazionali della russia. quel discorso fu un punto di svolta nelle relazioni usa-russia che portava al profondo confronto di oggi. il discorso di ieri suggeriva non l’inizio di una nuova corsa agli armamenti, ma la sua conclusione, con l’assoluta vittoria russa e sconfitta degli usa.

l’indirizzo di putin era un evento “shock and awe”. lascio ad altri, più competenti di me nella tecnologia militare, commentare le capacità specifiche dei vari sistemi svelati ieri. sia che si tratti di distanza ravvicinata o raggio illimitato, di lanciati da terra o dall’aria, di missili balistici o da crociera, che volino nell’atmosfera o navighino silenziosamente e ad alta velocità nelle profondità degli oceani, questi sistemi sono indicati invincibili per qualsiasi difesa nota o futura, su cui gli stati uniti hanno investito pesantemente da quando lasciarono unilateralmente il trattato abm e avviarono la rotta che doveva rovesciare la parità strategica. dal 2002, la politica degli stati uniti mirava a permettere il primo colpo eliminando gli icbm russi e rendendo inutili le forze nucleari residue della russia da poter lanciare. i nuovi missili russi altamente manovrabili e ad altissima velocità (mach 10 e mach 20) e il drone nucleare sottomarino rendono illusorio ogni scenario basato su una risposta non devastante alla patria statunitense dopo un attacco alla russia. di conseguenza, i nuovi sistemi rendono anche inutili e trasformano in bersaglio facile l’intera flotta statunitense con le sue formazioni di portaerei. la risposta dei media statunitensi e occidentali al discorso di putin è stata varia. il financial times ha fatto del suo meglio per un resoconto neutro e, a metà dell’articolo, aveva un paragrafo con due dei più autorevoli politici russi con competenze specifiche nei rapporti con l’occidente: konstantin kosachev e aleksej pushkov, ex-presidenti della commissione esteri della della duma. tuttavia, i loro reporter e supervisori editoriali erano spiazzati, incapaci di una visione coerente su ciò che il cremlino fa. da un lato le dichiarazioni di putin sulle armi nucleari “inarrestabili” della russia sono ridotte a “pretese”, suggerendo un certo scetticismo; dall’altra parte, la conseguenza è “alimentare la preoccupazione per una nuova corsa agli armamenti cogli stati uniti”. non riescono a capire che la corsa è finita. il washington post è stato piuttosto veloce nel postare un lungo articolo nell’edizione online di ieri. una parte insolitamente grande consisteva in citazioni del discorso di putin. la linea editoriale dice tutto nel titolo dato: “putin sostiene che la russia sviluppa armi nucleari in grado di evitare le difese missilistiche.” vorrei mettere l’accento su “affermazioni” ed “sviluppa”. i reporter e la direzione dei giornali sembrano non capire: uno di questi sistemi è già schierato nel distretto militare meridionale della russia e altri entrano in produzione in serie. questi sistemi non sono una lista dei desideri, sono fatti concreti. il new york times è stato al solito lento nel pubblicare articoli su un fatto che l’ha colto totalmente impreparato. nell’arco di un paio d’ore, ha messo due articoli occupandosi della sezione difesa del discorso di vladimir putin. in entrambi, ma più in particolare nell’articolo dei co-autori neil macfarquhar e david e. sanger, si sottolinea il “bluff”. è presumibilmente scontato che putin abbia solo pronunciato un discorso elettorale per suscitare “le passioni patriottiche dei russi” e consolidare così la prossima vittoria elettorale. gli autori si fidano del fatto che “l’inganno è nel cuore dell’attuale dottrina militare russa”, cosicché “sorgono domande se queste armi esistessero”. tali speculazioni, specialmente del new york times, ci dicono una cosa: che i nostri media ignorano intenzionalmente i semplici fatti su vladimir putin. primo, che ha sempre fatto ciò che ha detto. secondo, che è per natura molto cauto e metodico. la parola “attentamente” è un elemento costante nel suo vocabolario. in questo contesto, la nozione “bluff” in una questione che metterebbe a rischio la sicurezza nazionale russa e potrebbe costare decine di milioni di vite russe, se venisse scoperto, è di un’assurdità assoluta. mi piacerebbe credere che i capi di stato maggiore a washington non saranno così vertiginosi o superficiali nel giudicare ciò che hanno ascoltato dal signor putin. se è così, raccomanderanno urgentemente al loro presidente di avviare negoziati molto ampi coi russi sul controllo degli armamenti. e torneranno nei loro uffici a rivedere completamente le raccomandazioni su materiale e installazioni militari che gli stati uniti finanziano per il 2019 e oltre. il nostro bilancio attuale, inclusi i trilioni di dollari stanziati per il potenziamento di testate nucleari e la produzione di armi a bassa potenza, è uno spreco di denaro dei contribuenti. tuttavia, ancora più importante, le implicazioni dell’indirizzo di vladimir putin sono che l’intelligence statunitense ha dormito per 14 anni, se non di più. è uno scandalo nazionale perdere una corsa agli armamenti che nemmeno si conosceva. teste dovrebbero cadere, e il processo dovrebbe iniziare con audizioni adeguate a capitol hill. per ragioni che saranno chiare da quanto segue, tra i primi testimoni chiamati a testimoniare dovrebbero esserci l’ex-vicepresidente dick cheney e l’ex-segretario alla difesa Donald Rumsfeld.

In passato una tale rivelazione sull’ampio divario sulla sicurezza con il principale concorrente geopolitico e militare del paese avrebbe portato a recriminazioni politiche e accuse. ciò che è successo ieri è molto peggio del “divario missilistico” della fine degli anni ’50 che portò john kennedy alla casa bianca in una campagna per ridare vigore alla cultura politica statunitense e svegliarsi dai sonnolenti anni di eisenhower compiaciuti sulle questioni su sicurezza e molto altro. inoltre, la presentazione delle nuove armi russe che cambiano l’equilibrio energetico mondiale è solo uno della serie di notevoli risultati russi negli ultimi quattro anni che ha colto di sorpresa la leadership statunitense. la spiegazione è stata finora la presunta imprevedibilità di vladimir putin, anche se assolutamente tutto ciò che ha fatto sarebbe stato prevedibile da chi prestava attenzione. un primo esempio fu la presa russa sulla crimea nel febbraio-marzo 2014 senza un colpo o un singolo morto laddove 20000 soldati russi erano nell’enclave di sebastopoli affittata, affrontando 20000 militari ucraini nella penisola. i media occidentali parlarono d'”invasione” russa, nient’altro che truppe russe che uscivano dalle caserme. i russi non usarono niente di più esotico della guerra psicologica, “psy-ops” vecchio stile, come viene chiamata negli stati uniti, eseguita alla perfezione da professionisti, il tutto risalente ai tempi di von clausewitz. poi il pentagono fu colto di sorpresa nel settembre 2015 quando putin all’assemblea generale delle nazioni unite annunciò l’invio di aerei militari russi in siria per le operazioni contro lo siil e sostenere assad che iniziarono il giorno successivo. perché non sospettammo nulla? forse perché la russia era troppo povera per portare a termine una missione così impegnativa all’estero con obiettivi precisi e scadenze precise? nello stesso teatro di guerra, i russi hanno nuovamente “sorpreso” gli statunitensi istituendo un centro d’intelligence militare congiunto a baghdad con iraq e iran. e ulteriormente “sorpresero” la nato con le missioni di bombardamento sul teatro siriano sorvolando lo spazio aereo iraniano ed iracheno dopo avergli negato i diritti di sorvolo dei balcani. con migliaia di militari e diplomatici in iraq, come mai gli stati uniti non seppero nulla degli accordi russi con la leadership irachena? il mio punto è che la confusione su come interpretare l’annuncio di putin della nuova capacità di difesa della russia è un fallimento sistemico dell’intelligence degli usa. la prossima domanda ovvia è perché? dov’è la cia? dove sono i capi dell’intelligence quando non indagano su trump? la risposta non è semplice, di sicuro. né è un fallimento recente. c’è una buona dose di accecante compiacimento nei confronti della russia come “stato fallito” che riguarda l’intera dirigenza politica degli stati uniti sin dagli anni ’90, quando la russia era in un angolo. semplicemente non si poteva immaginare che il cremlino si ergesse sfidando con le sue missioni in crimea, siria, sviluppando gli armamenti high-tech più sofisticati del mondo. e non è solo cecità sulla russia. è un fallimento totale non capire che il potere statale ovunque non dipende solo da pil e tendenze demografiche, ma anche da grinta, determinazione patriottica ed intelligenza di migliaia di ricercatori, ingegneri e addetti alla produzione. tale povertà concettuale infetta alcuni dei nostri più brillanti scienziati politici della realpolitik nella comunità accademica, che in linea di principio dovrebbero essere disposti a comprendere il mondo così com’è, non come vorremmo che fosse. in qualche modo sembra che abbiamo dimenticato la lezione di davide e golia. in qualche modo abbiamo dimenticato i 4 o 5 milioni di israeliani che si oppongono militarmente a 100 milioni di arabi. era inimmaginabile per noi che la russia fosse il davide del nostro golia. ma ci sono ragioni più obiettive per il totale fallimento dell’intelligence statunitense nel cogliere portata e gravità della sfida russa all’egemonia globale degli stati uniti. nello specifico, dobbiamo considerare l’indebolimento delle nostre capacità d’intelligence russe nei giorni, mesi, anni successivi all’11 settembre.

ci sono quelli che diranno, con ragione, che il declino delle capacità d’intelligence degli stati uniti sulla russia iniziò già con la seconda amministrazione reagan, quando la guerra fredda si concluse e l’esperienza dei cold warriors non sembrava più rilevante. sicuramente gli esperti sulla russia poterono ridursi per logoramento. eppure, quando l’11 settembre colpì, molti di coloro che occupavano i vertici della cia vi erano entrati in qualità di esperti di russia. fu la mancanza di competenze della cia in lingue e conoscenza del medio oriente che si osservò dopo l’attacco di al-qaida alle torri gemelle a guidare la ridefinizione delle priorità dell’intelligence. chiaramente tale deficienza e la necessaria nuova definizione delle competenze non potevano essere di buon auspicio per la carriera dei detentori dell’ufficio sovietico. ma un fattore ancora maggiore nel netto declino delle competenze sulla russia nelle agenzie d’intelligence statunitensi fu il passaggio dalla dipendenza da dipendenti del servizio civile all’utilizzo di fornitori di servizi esterni, cioè l’esternalizzazione del lavoro d’intelligence. questo era totalmente in linea con le tendenze del vicepresidente dick cheney, che introdusse l’outsourcing in modo generalizzato per affrontare le nuove sfide della guerra al terrorismo. lo stesso fenomeno colpì le forze armate statunitensi, specialmente dal 2003 con l’invasione dell’iraq. i compiti operativi di sicurezza delle forze armate statunitensi furono esternalizzati a società mercenarie come blackwater. e le normali procedure di approvvigionamento di materiale furono cortocircuitate dal vicepresidente per soddisfare rapidamente le urgenti richieste sul campo: da qui l’acquisizione di flotte di mezzi di trasporto truppe corazzati non tradizionali ma assai necessari, e simili. diversi articoli su consortium news e altrove negli ultimi mesi hanno richiamato l’attenzione sul fenomeno dell’esternalizzazione dell’intelligence. tuttavia, cosa succedeva, perché e in che modo era già chiaramente noto un decennio prima e non prometteva nulla di buono. in un certo senso, la comunanza di tali cambiamenti nel provvedere intelligence, equipaggiamento e forze fu dovuta a mentalità svelta e all’intervento politico diretto in processi distinti nella pubblica amministrazione con le sue procedure burocratiche. l’intervento politico significa in ultima analisi politicizzare metodi e risultati. l’intelligence esterna è più propensa a soddisfare le richieste del supervisore piuttosto che avere integrità intellettuale e propria ampia prospettiva. per comprendere meglio il fenomeno, rimando il lettore a un articolo eccezionale e ben documentato risalente al marzo 2007, pubblicato dall’european intelligence security center (esisc) intitolato “outsourcing intelligence: l’esempio degli stati uniti“. l’autore, raphael ramos, ricercatore associato all’esisc, ci dice che all’epoca il 70% del budget della comunità dell’intelligence statunitense fu speso in contratti con società private. all’epoca si diceva che l’outsourcing fosse la maggiore delle agenzie collegate al dipartimento della difesa. la cia quindi affermò di avere un terzo del personale proveniente da società private. oltre alle mutevoli priorità dell’intelligence estera, risultanti dalla fine della guerra fredda e dall’inizio della guerra al terrore, un altro fattore nella struttura mutevole dell’intelligence statunitense fu dettato dalla tecnologia, in rifermento alle moderne tecnologie di telecomunicazione, con molte start-up che appaiono nei campi specializzati delle signals intelligence ed imagery intelligence. l’nsa si avvalse di questi nuovi fornitori di servizi divenendo pioniere dell’intelligence nell’outsourcing. altre agenzie del pentagono che seguirono lo stesso corso furono il national reconnaissance office, responsabile dei sistemi d’intelligence spaziali, e l’agenzia nazionale d’intelligence geospaziale, incaricata di produrre informazioni geografiche dai satelliti. si aggiunga une prassi in continua evoluzione per lo sviluppo d’internet, privilegiando l’intelligence open source, osint, che prospera nel privato perché non richiede speciali autorizzazioni alla sicurezza. questo presto arrivò tra il 35% e il 90% degli acquisti per l’intelligence. come su notato, l’outsourcing ha permesso alla comunità d’intelligence di modernizzarsi, acquisire competenze rapidamente e cercare di soddisfare nuove urgenti necessità. tuttavia, a giudicare dai risultati verso la russia di putin, sembra che l’esternalizzazione non sia produttiva. il paese era cieco mentre assumeva posizioni stravaganti e insopportabili facendo il prepotente mondiale come se godesse del dominio a spettro totale e la russia non esistesse.

 


Gilbert Doctorow, analista politico indipendente di bruxelles, osservatore internazionale per le elezioni presidenziali del 18 marzo in russia. il suo ultimo libro, Gli stati uniti hanno un futuro? è stato pubblicato nell’ottobre 2017.

 

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