Eventi meteo estremi e cambiamento climatico. Intervista a Filippo Giorgi

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10 Gennaio 2019

 

Eventi meteo estremi, saranno sempre più numerosi

di Nicola Barzagli

 

Quasi tutti finalmente hanno iniziato a prendere atto dei cambiamenti climatici in corso. Quello che ancora si fatica a comprendere, però, è che i problemi sono già iniziati. Uno studio condotto dall’università di Yale sostiene che se circa il 70% delle persone è convinto che il clima stia cambiando, soltanto il 40% ritiene che sia qualcosa che lo coinvolge in prima persona. Molto spesso si pensa che un aumento medio della temperatura sprigionerà le sue conseguenze, per quanto disastrose, soltanto tra qualche generazione. La verità è che gli effetti provocati dai cambiamenti climatici sono già evidenti e ci riguardano da vicino: l’urgenza del problema è anche la chiave per comunicarlo meglio.

 

Qualche settimana fa l’Associazione Meteorologica Americana, come tutti gli anni dal 2011 a oggi, ha pubblicato il suo bollettino annuale cercando di capire in che modo i cambiamenti climatici influiscano sui fenomeni meteorologici di intensità fuori dall’ordinario. Il risultato è sempre lo stesso: gli episodi estremi si verificano sempre più spesso e sono sempre più forti.

Questo non avviene soltanto negli Stati Uniti. Anche in Italia abbiamo iniziato ad assistere sempre più spesso a fenomeni meteo ai quali non eravamo abituati. Abbiamo chiesto un parere sull’argomento a Filippo Giorgi, fisico dell’atmosfera del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste (ICTP) e membro del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC).

 

L’atmosfera più calda e più energetica

“C’è un grosso legame tra eventi meteo estremi e cambiamento climatico” ha confermato Giorgi, “perché un’atmosfera più calda è più energetica e può contenere più vapor d’acqua”. Un normale temporale, in queste condizioni, può trasformarsi in una vera e propria tempesta. Come successo lo scorso ottobre in Veneto e Trentino Alto Adige, il vento può raggiungere i 200 km all’ora provocando danni incalcolabili. Poiché le temperature si alzeranno ancora, è lecito aspettarsi che questi fenomeni saranno sempre più frequenti.

Quando si studiano questi fenomeni meteorologici, tuttavia, “non si possono attribuire eventi specifici al cambiamento climatico”, precisa Giorgi. Ma dal momento che il clima sta cambiando, “quello che ci aspettiamo è che con il riscaldamento globale la frequenza e l’intensità di questi eventi effettivamente possa aumentare”.

Meteo e clima sono due cose ben distinte. Il primo si riferisce alle condizioni atmosferiche osservabili in un luogo e in un momento preciso (il singolo temporale) e lavora su intervalli di tempo molto brevi. Il clima, invece, è una stima di molte variabili condotta su periodi decennali (il numero complessivo di temporali negli ultimi anni). In altre parole, solo dopo molti anni di attente osservazioni del meteo di una determinata regione possiamo stabilire quale sia il suo clima.

Ma se il cambiamento climatico non è responsabile del singolo evento meteorologico, lo è però della media stagionale, ossia di quanti fenomeni straordinari si verificano ogni anno. Non è un caso che in Italia abbiamo iniziato ad assistere a perturbazioni che appartengono ad altre latitudini. Se le temperature nel Mediterraneo aumentano “questi sistemi molto intensi, che hanno una struttura di vortice simile a uragani […] e che hanno causato mareggiate incredibili in Liguria e in Toscana accadranno sicuramente con una frequenza maggiore”.

Secondo un recente studio su Nature Climate Change, i rischi e i pericoli causati dai cambiamenti climatici sul Mar Mediterraneo siano stati largamente sottostimati. Questo poiché ogni effetto è stato considerato singolarmente (anche altre indagini erano arrivate alle stesse conclusioni). Le conseguenze che il riscaldamento globale avrà sull’ambiente non sono isolate ma interconnesse tra loro. Non tener conto solo l’aumento della temperatura.

 

Un sistema complesso di effetti collaterali

Quando parliamo dei rischi del cambiamento climatico, quindi, non ci stiamo riferendo “soltanto a quei due o tre gradi di caldo in media”, continua Giorgi, “il problema sono quelli che io chiamo effetti climatici collaterali”. Tra tutte le possibili conseguenze del global warming ce ne sono quattro più rilevanti e che vale la pena sottolineare.

Il primo effetto collaterale è lo scioglimento dei ghiacciai. “I ghiacciai sono il più grande serbatoio di acqua dolce che abbiamo sulla Terra”. Quindi, non solo diminuisce notevolmente la quantità di acqua dolce che abbiamo a disposizione, ma l’acqua che si scioglie “finisce negli oceani e contribuisce all’innalzamento del livello del mare”, cioè il secondo grande effetto collaterale. Secondo Giorgi, “negli scenari più pessimistici ci si aspetta fino a un metro di innalzamento del livello del mare”.

Il terzo effetto collaterale sono proprio gli eventi meteo estremi di cui abbiamo già parlato descrivendo venti eccezionalmente forti e precipitazioni tropicali. A questi però si devono aggiungere anche eventi di carattere siccitoso come le ondate di caldo. “I nostri modelli ci dicono che i periodi secchi tra un evento e l’altro si allungano. Quindi abbiamo un aumento sia del rischio di alluvioni sia del rischio di siccità“.

Il quarto effetto riguarda il fatto che alcuni luoghi dei luoghi che più risentono del cambiamento climatico saranno anche quelli che continueranno a essere colpiti più duramente. Se ad esempio, “a livello globale ci siamo riscaldati di circa un grado, in Artico [il riscaldamento] è circa il doppio”. Lo stesso avviene sulle Alpi e sulle altre catene montuose innevate, alimentando tutti i vari anelli della reazione a catena in atto.

 

Serve maggiore consapevolezza

In questi scenari apocalittici non dobbiamo però dimenticare che cercare di contenere il cambiamento climatico è ancora possibile. “Il problema si riduce a una riconversione del sistema energetico” che possa migliorare l’efficienza energetica, cioè che elimini gli sprechi e si basi su fonti rinnovabili. La sfida non è da poco, questo va riconosciuto. Eppure, anche se la politica continua a essere immobile e terribilmente in ritardo coi tempi, per Giorgi “comincia ad esserci, soprattutto nei  giovani, una maggiore consapevolezza e un maggiore interesse per questo tema”.

Per quanto riguarda il nostro paese, possiamo dire che la coscienza ambientale sia ancora acerba se confrontata ad altre nazioni. “Purtroppo in Italia l’ambiente è visto come un nemico dello sviluppo”. L’augurio di Giorgi è che anche in Italia questa coscienza possa risvegliarsi sia dal basso, cioè nella popolazione, sia nelle classi politica. E che si possa presto assistere a “una spinta per cercare di mitigare quello che potrebbe, purtroppo, succedere se non si fa niente”.

 

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