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25/09/2019

 

Proteggere Greta dai nazisti

By Fulvio Abbate

 

Nel modo e nelle forme in cui un ampio pezzo di mondo osserva e irride la persona Greta Thunberg si riconosce la subcultura clinico-politica del nazismo riservata a coloro ritenuti affatto pienamente “normali”, “sani”, se non, nella prospettiva dei lager, “subumani”

 

Le lacrime di Greta Thunberg, la biondezza di Ivanka Trump, i corridoi dell’ONU.

I commenti ai gesti, alle parole, alle dichiarazioni della ragazza, alla sua fissità, al suo diario quotidiano delle sue emozioni e della sua battaglia per il clima; i commenti al suo viso, ai suoi gesti, alle sue smorfie, anzi, alle sue stesse trecce.

 

Il modo in cui un pezzo di mondo giornalistico che, esplicitamente, innalza le insegne della destra programmaticamente cinica, per nulla impressionata dai “falsi millenarismi”(sic), al punto da avere messo da subito in atto, nero su bianco, un dispositivo ironicamente derisorio su Greta Thunberg, a guardare bene, a osservare ogni dettaglio con attenzione, appare assolutamente inaccettabile per implicito, greve razzismo, e questo qualunque cosa si pensi sulle capacità e gli strumenti di drammatizzazione politica mostrati dalla sedicenne svedese. E ancora comunque la si pensi sulla complessità della questione ambientale, sul destino climatico. Estremizzando e non rinunciando alle armi e al limite dell’ironia, comunque la si pensi perfino rispetto alla progressione o l’eventuale rallentamento dell’incidenza delle forme tumorali nel nostro quotidiano, se non nel caso assai più semplice e prosaico della presenza del colesterolo nel sangue.

 

In ogni caso, nel modo e nelle forme in cui un ampio pezzo di mondo, con crudeltà da affresco bruegeliano, osserva e soprattutto irride la persona Greta Thunberg sembra di riconoscere la medesima cifra razzista biologica che la subcultura clinico-politica del nazismo riservava a coloro ritenuti affatto pienamente “normali”, “sani”, se non, nella prospettiva dei lager, “subumani”.

Perfino il sarcasmo sulle sue trecce, indicate come simmetriche alle acconciature uniformi, regolamentari, etnicamente tali, delle ragazze della B.D.M., cioè la vitale Gioventù femminile nazista, paradossalmente serve a completare questo quadro di grottesca mostrificazione caricaturale dell’individuo Greta, prim’ancora che del personaggio pubblico, della militante ambientalista, “verde”.

 

Il titolo del quotidiano “Libero”, accompagnato da uno scatto dove la ragazza sembra digrignare i denti, secondo cui “500 scienziati rivelano che Greta non sa nulla”, ben al di là d’ogni vaglio doveroso dello specifico ambientale e climatico, mostra, sempre oltre ogni concreta riflessione oggettiva, meglio, insinua ed è rivelatorio - lo ripeto, ben oltre ciò che tutti noi si possa laicamente pensare di Greta Thunberg, della sua visibilità mediatica e dei suoi reali strumenti di comprensione delle cose, e perfino della sua stessa maschera - di un approccio al suo volto e alla sua stessa prossemica (si tratta della disciplina che indaga i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale) degno del dottor Josef Mengele e di una idea da post-eugenetica adeguata alla propaganda delle attuali destre.

 

Malattia mentale cui si contrappone la chiarezza dei presunti corpi invece necessari alla comunità perché adeguati, sani.

 

Se così non fosse, non avremmo appena altrettanto assistito a una ipotetica, meglio, esplicita, concreta contrapposizione mediatico-spettacolare tra, appunto, Greta T. e Ivanka T., invidiabile erede smart del presidente USA, anche lei presente al simposio sul clima svoltosi all’ONU.

La figlia sontuosamente glam del magnate Donald, cui opporre, in un’altra prospettiva, la modestia dell’altra, le espressioni di Greta, il suo abbigliamento ordinario, sottolineando su tutto, esplicitamente, la presenza in lei della Sindrome di Asperger, come segno, giusto per rimanere nella definizione dei clinici nazisti, di scarto sociale, se non proprio allusione al subumano.

Dall’altra, sempre lì tra gli scranni del Palazzo di Vetro, l’immagine, pura immagine di Ivanka Trump. Ripetiamo: l’allusione alla malattia mentale, al deficit, cui opporre la potente evidenza erotica, la “biondezza”, il taglio dei capelli, le gambe accostate in una posa spettacolarmente adeguata, la camicia griffata azzurra...

 

Desiderabilità versus Noia, Presunzione ideologica, supponenza, smorfia contratta contro naturalezza solo appena sfiorata dalla piastra del coiffeur.

Implicitamente, questi due mondi si ritrovano indicati e contrapposti, quasi ci venisse suggerito se si vuol scegliere il lato lucente dell’opulenza, della felicità, dell’eros o piuttosto si preferisce l’angolo buio dove risiede, povera, inconsapevole “ritardata”(sic), Greta, lei che non frequenta neppure la scuola, lei e il suo cartello, sempre quello, e chissà che non sia, povera piccina, una ventriloqua manipolata da associazioni che, dietro a parole virtuose, vogliono in verità far solo profitti. Anche in questa allusione c’è modo ancora di ravvisare molto della propaganda razzista già della Lega delle Ragazze, così al tempo e al sole ridente del nazismo, Fede e Bellezza in risposta a ogni dubbio sulla realtà concreta del quotidiano, sulla difesa dei beni comuni del pianeta.

 

Per questa ragione, al di là di ogni doveroso senso del limite e dell’ironia, non si può che sedersi dalla parte di Greta, fosse anche, con le parole di Bertolt Brecht, la parte del torto e del ridicolo, dalla parte delle sue lacrime, cui quegli altri, con insistente senso della propaganda, contrappongono la fissità plastica della figlia dell’Imperatore del Mondo, lusso e cinismo, Ivanka, come pensiero unico sull’orizzonte da epilogo degno del “Dottor Stranamore”, così sul nodo della questione climatica.

 

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