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16/02/2019 

 

Francia, Spagna, Albania, Montenegro, Serbia... La rabbia gonfia le piazze d'Europa

 

Piazze diverse, stessa turbolenza contro i Governi. A Parigi la protesta dei gilet gialli si macchia di accenti antisemiti, a Tirana assalita sede del Governo

 

Piazze diverse, stessa rabbia. Francia, Spagna, Albania, Montenegro, Serbia. Una lista che, nel clima di turbolenza che si respira in Europa, si potrebbe allungare ad altre realtà, che ribollono. Piazze diverse, ma l'asticella della tensione contro i Governi si alza ogni giorno di più. Si nutre di accenti antisemiti il quattordicesimo atto della protesta dei gilet gialli a Parigi e nelle città francesi. Svela un Paese frantumato la sfilata degli indipendentisti della Catalogna, che hanno appena travolto l'ennesimo governo in Spagna, quello di Pedro Sanchez. Apre a scenari divisivi la protesta delle opposizioni, con l'assalto alla sede del Governo e la richiesta di nuove elezioni in Albania, con la richiesta di dimissioni di un leader senza tempo in Montenegro.

 

GILET GIALLI E NERI.

 

La partecipazione diminuisce, la violenza no. Cala ancora il numero di gilet gialli a 14° sabato consecutivo di mobilitazione, ma è ancora guerriglia. Scontri a Parigi tra Invalides e Champs-Elysees fino a tarda sera, ma sono tante le città che registrano mobilitazioni, perfino con feriti a Rouen con un automobilista nel panico che forza un posto di blocco e travolge tre manifestanti. Nella Capitale le immagini che circolano rimandano al clima di guerriglia: lacrimogeni e attacchi di black bloc contro gli agenti - impressionante un inseguimento con lancio di sassi da parte di persone vestite di nero contro le auto della polizia - hanno costretto all'evacuazione della spianata de Les Invalides, a poche centinaia di metri dalla Tour Eiffel. Poi lo scontro raggiunge gli Champs-Elysees, con i manifestanti che cercano di forzare il blocco sulla rue Marbeuf. La celebre avenue è rimasta letteralmente blindata da decine e decine di furgoni della polizia, che ha arginato la folla che voleva invaderla e che, nelle settimane scorse, aveva saccheggiato tutto quello che aveva trovato, comprese le boutique e i ristoranti. Lo sdegno è soprattutto per l'aggressione di gilet gialli al filosofo Alain Finkielkraut, riconosciuto per strada vicino a casa sua: "Sporco ebreo" è solo uno degli insulti e delle minacce gridate contro di lui. "Nazistelli nella Francia 2019" ha twittato Bernard-Henri Levy, "la bestia immonda in agguato dietro l'anonimato di una folla" il commento del portavoce del governo, Benjamin Griveaux, "la negazione di cosa siamo" ha chiosato Emmanuel Macron.

 

ORGOGLIO CATALANO.

 

Non c'è violenza, ma c'è una rabbia infinita, che non si spegne nelle strade di Barcellona. Erano circa 200 mila persone in marcia per opporsi al processo ai leader separatisti catalani, che ha preso il via in settimana a Madrid. La stima della partecipazione è stata fornita dalla polizia locale. "L'autodeterminazione non è un reato", recita uno slogan della protesta, guidata dal presidente della regione, Quim Torra, e da quello del Parlament, Roger Torrent. Prima della manifestazione, Torra si è rivolto al governo spagnolo implorandolo di ascoltare i cittadini: "Non si può governare la Spagna senza ascoltare la Catalogna", ha detto. Se ne è accordo Pedro Sanchez, che dopo la bocciatura della finanziaria 2019 da parte del Parlamento proprio sullo sfondo della persistente crisi legata alla Catalogna, ha dovuto convocare le elezioni anticipate per il 28 aprile. Sanchez era arrivato al potere solo otto mesi fa, dopo che il 1° giugno era riuscito a far approvare una mozione di sfiducia contro il governo conservatore allora in carica di Mariano Rajoy; a farlo cadere sul budget, stavolta, sono stati gli stessi partiti indipendentisti catalani PDECat ed ERC che a giugno gli avevano consentito di far passare la sfiducia a Rajoy.

 

ALBANIA, PRIMO ATTO.

 

Per oltre quattro ore, la piazza di fronte al palazzo del governo, sul principale viale di Tirana, è stata il palcoscenico di scontri fra le forze della Guardia Repubblicana e i manifestanti dell'opposizione di centro destra guidata da Lulzim Basha che chiedono le dimissioni del premier socialista Edi Rama e un governo di transizione che prepari le elezioni anticipate. Ripetuti e violenti assalti per sfondare la porta di ingresso della Presidenza del Consiglio sono stati respinti dalle forze dell'ordine con gli idranti e i lacrimogeni. Almeno cinque poliziotti sono stati feriti e numerosi manifestanti hanno accusato problemi respiratori. A far scattare la scintilla è stato il lancio di alcune bombe molotov sulla scalinata del palazzo del governo. Quindi, lo scontro con la polizia che aveva circondato l'edificio senza fare resistenza, e infine l'assalto rabbioso all'entrata principale. Dall'interno dell'edificio, la Guardia repubblicana ha risposto con gli idranti e i lacrimogeni riuscendo a respingere l'avanzata. Da mesi, gli attacchi nei confronti del premier socialista, al suo secondo mandato consecutivo alla guida del governo, sono diventati il cavallo di battaglia dell'opposizione. "Rama è corrotto e colluso con la criminalità organizzata grazie alla quale - è l'accusa rivolta al premier - manomette i voti per garantire il potere. Ogni soluzione politica è esaurita. Il tempo delle parole è ormai finito. Adesso spetterà al popolo prendere nelle sue mani le sorti del Paese". Basha ha riunito in piazza migliaia di sostenitori e giovedì intende riportarli in strada. Malgrado le condanne di Ue e Ocse per le violenze. La tensione e la violenza hanno tenuto Tirana in ostaggio per quattro lunghe ore fino a quando è stata annunciata la decisione di lasciare la piazza, per ora. "Quanto iniziato oggi va portato fino alla fine. La rivolta popolare - ha promesso il leader dell'opposizione Basha - non si fermerà fino a quando non faremo cadere questo marcio sistema".

 

PODGORICA PROTESTA. Diverse migliaia di persone sono scese in piazza in Montenegro per chiedere le dimissioni del presidente Milo Djukanovic, accusato di corruzione. La gente è sfilata per le strade della capitale urlando lo slogan "Milo ladro". Il presidente in sella da decenni nega le accuse. "I cittadini non hanno avuto possibilità di scegliere negli ultimi 30 anni, ora è troppo, basta, è oltre i limiti di ogni umana decenza" afferma uno dei manifestanti: "Avevo 21 anni quando è salito al potere, ora ne ho 51".

 

LA SERBIA IN MARCIA. Migliaia di persone sono scese per le strade della capitale serba Belgrado per protestare contro il governo e il presidente Aleksander Vucic, chiedendogli di consentire la libertà di stampa e di libere elezioni e accusandolo di non rispettare la democrazia. La protesta è l'undicesima che si verifica a Belgrado. Al centro della manifestazione di ieri, un trattato simbolico che l'opposizione, l'Alleanza per la Serbia, vuole firmare con la cittadinanza del paese. In base a questo trattato, il partito di opposizione promette di adempiere a una serie di obblighi democratici per assicurare che la volontà dell'elettorato serbo sia soddisfatta. I manifestanti, oltre a criticare la gestione "antidemocratica" di Vucic e a minacciare il boicottaggio delle prossime elezioni se non sarà garantita una campagna elettorale libera, parlano di "immensa corruzione" che girerebbe intorno al presidente.

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