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19/11/2019

 

Perché la riforma del Mes è una potenziale pistola alla tempia dell'Italia

By Claudio Paudice

 

Critiche al progetto avanzate da Banca d'Italia ("enormi rischi") e dall'economista dell'Osservatorio sui Conti Pubblici, Galli. Dopo la Lega anche M5S attacca Conte: "Serve più trasparenza"

 

Qualcosa certamente non quadra se nel bel mezzo di una delicata sessione di bilancio Lega e Movimento 5 Stelle si trovano nuovamente sullo stesso fronte e attaccano congiuntamente il premier Giuseppe Conte. Ad alimentare da qualche giorno il dibattito politico, soprattutto per l’attivismo del Carroccio, è la riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità, anche noto come Fondo Salva-Stati) che in diversi consessi europei, a partire dal Vertice Euro del dicembre 2018, si sta portando avanti con l’obiettivo di ratificare il pacchetto di modifiche entro la fine di quest’anno, al massimo all’inizio del prossimo. Un dibattito che - non è una novità quando c’è di mezzo l’Eurogruppo - si sta svolgendo nella assoluta mancanza di trasparenza e che porterà con ogni probabilità a un “prendere o lasciare” da sottoporre ai Parlamenti Ue. Ieri Palazzo Chigi ha fatto sapere che nessun Paese ha firmato nulla e che “il Parlamento ha un potere di veto sull’approvazione definitiva della revisione Trattato Mes, e avrà modo di pronunciarsi in sede di ratifica, quindi prima di ogni determinazione finale in merito alla sua entrata in vigore”.

La Lega, che ieri aveva alimentato il sospetto che Conte avesse firmato “magari di nascosto o di notte un accordo in Ue per cambiare il Mes”, ha replicato chiedendo con urgenza al premier di riferire in Parlamento. Ora, che il Carroccio non sia soddisfatto dalle precisazioni di Palazzo Chigi non sorprende, mentre apre un ennesimo fronte tra M5S e il presidente del Consiglio la richiesta dei deputati grillini della Commissione Finanze di un vertice di maggioranza: “Il Parlamento aveva dato un preciso mandato al Presidente del Consiglio. La discussione sul Mes deve essere trasparente, il Parlamento non può essere tenuto all’oscuro dei progressi nella trattativa e non è accettabile alcuna riforma peggiorativa. Oggi è chiaro, invece, che la riforma del Mes sta andando proprio nella direzione che il Parlamento voleva scongiurare. Chiediamo al Capo Politico di far convocare un vertice di maggioranza, perché sul Mes noi non siamo d’accordo”.

Cosa è successo? E di cosa tratta la riforma del Mes che secondo molti, tra cui diversi europeisti di primo piano, presenta fattori di rischio elevato per l’Italia? Come consuetudine, l’abbrivio lo danno Berlino e Parigi: a giugno dell’anno scorso, nel celebre vertice di Meseberg, Angela Merkel e Emmanuel Macron dichiararono alcuni principi della riforma del Mes, l’istituzione che funziona da prestatore di ultima istanza in caso di impossibilità di un Paese di accesso al mercato per finanziarsi. Quei principi in buona parte sono stati tradotti nei documenti che andranno a comporre il nuovo Trattato. Per grandi linee, il processo decisionale ha seguito un percorso per tappe entrato nel vivo con l’Eurosummit del 14 dicembre dell’anno scorso in cui sono state approvate le condizioni per la riforma del Mes, e sono stati registrati i passi avanti anche su altri “pilastri” dell’Unione monetaria, l’unione bancaria e lo strumento a supporto della convergenza e della competitività (Bicc). Il 15 giugno scorso, il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Ue Donald Tusk in cui lo ragguaglia sui risultati ottenuti, frutto delle modifiche concordate nell’Eurogruppo di due giorni prima. Qui emergono le questioni che potrebbero rivelarsi per l’Italia una “pistola” alla tempia, per usare una metafora usata da Giampaolo Galli, economista dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli. Anzi è forse utile rileggere alcuni stralci dell’audizione di Galli alla V e XIV Commissione della Camera del 6 novembre scorso, per capire come la riforma su cui si sta lavorando vincoli l’intervento del Mes a una ristrutturazione ex-ante del debito di un Paese che ne chiede l’aiuto, con potenziali effetti devastanti per il tessuto sociale, economico e finanziario di quel Paese legati già solo all’effetto annuncio.

L’ex capoeconomista di Confindustria, pur riconoscendo alcuni meriti e la necessità ineluttabile di un meccanismo di ultima istanza qual è il Mes, si concentra sugli aspetti negativi: “La riforma in itinere sposta decisamente l’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commissione al Mes”. Poi passa alla “pistola”: “Il punto fondamentale è che nella riforma emerge l’idea che un Paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes. Si noti che la novità non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato ma nell’idea che che la ristrutturazione diventi una precondizione pressoché automatica per ottenere i finanziamenti”. Idea che è figlia delle perorazioni portate avanti dall’establishment tedesco e dell’Europa del Nord, in primis il Governatore della Bundesbank Jens Weidmann. 

 Al Mes - organo formato da 160 tecnocrati, collocato al di fuori dell’ordinamento Ue e quindi basato su rapporti di forza intergovernativi - andrebbe quindi riconosciuto in via quasi esclusiva, seppur con la collaborazione di Bce e Commissione, il ruolo di valutare la sostenibilità del debito pubblico di un Paese (Dsa). Continua Galli citando i passaggi della riforma del Mes resi noti di recente: “Al Mes si attribuiscono tutti i poteri che ha oggi la Commissione sulla prevenzione e la gestione delle crisi”, lasciando all’organo tecnico il coltello dalla parte del manico. E poi: “Il Punto 10 del preambolo” introduce “la novità che Commissione e Bce non possano agire senza una decisione del Mes”. Poi c’è l’introduzione delle Cac single limb -  delle clausole d’azione collettiva che dovrebbero facilitare le ristrutturazioni del debito, a potenziale danno di Paesi esposti come l’Italia - e sul rafforzamento dei prestiti precauzionali, concessi a condizioni più stringenti, specificando che  vengono erogati a paesi il cui debito è sostenibile: la linea di credito precauzionale sotto condizione (PCCL) viene concessa a paesi con fondamentali solidi a fronte di una semplice lettera di intenti; una linea di credito precauzionale rafforzata (ECCL) viene concessa a paesi che non soddisfano tutti i requisiti, a fronte della sottoscrizione di una vero e proprio dettagliato Memorandum. “Una innovazione importante è che entrambe le linee di credito vengono concesse solo a paesi che non sono sottoposti a procedura di deficit eccessivo e che da almeno due anni rispettano i criteri del Patto di Stabilità e Crescita”, nota Galli. 

In sintesi, nota l’economista, la precondizionalità della ristrutturazione del debito è la vera “pistola” alla tempia dell’Italia: “Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò l’Italia ha vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche”. 

Le critiche al progetto di riforma del Mes sono arrivate anche dal governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha avvertito sulla necessità di gestirlo “con attenzione” perché comporta potenzialmente “rischi enormi”. Parlando al seminario congiunto OMFIF-Banca d’Italia il 15 novembre scorso, Visco ha avvertito che “i piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default”.

Il riferimento all’effetto annuncio non è casuale, e riporta alla mente la fase acuta della crisi greca, quando passeggiando con i cappotti sbottonati lungo la costa della Normandia sulla spiaggia di Deauville, il 18 ottobre 2010 il presidente francese Sarkozy e la cancelliera Merkel usarono la formula “private sector involvement” per avvisare i mercati che un Paese dell’area euro poteva fallire e, in tal caso, ci avrebbero rimesso anche loro: fu allora che la crisi dei debiti sovrani precipitò verso il baratro.

Al termine dell’Eurogruppo del 7 novembre scorso, il presidente Centeno ha di fatto formalizzato la chiusura di larga parte della riforma del Trattato del Mes: “Sono stati avviati intensi lavori tecnici e alcuni di questi documenti legali sono stati concordati e chiusi. In particolare, le linee guida Mes come modificate per i programmi precauzionali e la metodologia comune sull’analisi della sostenibilità del debito. Anche il memorandum di cooperazione tra la Commissione e il MES è quasi chiuso”. In pratica il pacchetto è pronto per arrivare, fatto e finito, nelle aule dei parlamenti europei. Più dietro invece è il lavoro sul’altro pilastro dell’UEM, l’unione bancaria, che l’Italia voleva viaggiasse insieme alla riforma del Fondo Salva-Stati: importante perché riguarda l’Edis, l’assicurazione comune sui depositi. Anche su questo fronte, l’Italia è in aperto contrasto con la linea tedesca e del Nord Europa che chiedono, prima di una condivisione del rischio, un’altra sforbiciata agli Npl che ancora appesantiscono gli istituti italiani, e soprattutto la cancellazione del risk-free per i titoli di Stato, un colpo al cuore per le banche italiane che hanno in pancia miliardi di Btp. 

Quanto al Mes, il testo definitivo della riforma è quindi quasi pronto per approdare nelle aule parlamentari, alle quali - dopo essere state tenute in larga parte all’oscuro dei negoziati dei fumosi consessi europei - non resterà altro che prendere o lasciare. 

 

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