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04/09/201

 

Gli ammutinati della Brexit

di Alberto Negri

 

Come previsto qualche giorno fa, dopo la decisione di chiudere il parlamento approvata dalla regina, la ciurma si è ammutinata e il premier conservatore Boris Johnson ha perso la maggioranza di un solo seggio che aveva a Westminster. L'abbandono dell'ex sottosegretario Philip Lee, un oppositore della Brexit passato al gruppo dei liberal-democratici, non comporta comunque l’automatica caduta del governo, salvo un voto di sfiducia dell’aula.

 

Ma ormai a noi europei del continente quello che interessa, mentre la sterlina precipita, è capire come un Paese come la Gran Bretagna sia finito in mano a degli ubriaconi che rischiano grosso perchè l’Unione europea ha ben poca intenzione di negoziare nuovi accordi, soprattutto ora con un governo che non ha neppure più la maggioranza e perde legittimità a ogni giro d'orologio.

 

La storia comincia ben prima del referendum sull’uscita dall’Europa. La storia si accelera nel momento in cui un premier britannico inizia a raccontare balle così grosse che in altre epoche sarebbe finito ai ceppi.

 

La Brexit e le promesse di un futuro da Paese “libero” dalle catene dell’Unione nascono in quella disgraziata stagione in cui la Gran Bretagna decide per l’ultima volta nella storia recente di muovere con gli Stati Uniti un guerra d’occupazione in Iraq e la perde, con oltre 180 morti tra i soldati inglesi e centinaia di migliaia tra gli iracheni.

 

Il populismo in preda al quale sono caduti i britannici deve servire da lezione a tutti, anche a noi del continente: più racconti balle, più si accumulano e poi verrà qualcuno che ne racconterà ancora più grosse e gli elettori, disgraziatamente, crederanno che è arrivata la cuccagna.

 

Il premier laburista Tony Blair, ubriacato dal suo narcisismo, mentì sulle armi di distruzione di massa di Saddam e sulla guerra del 2003 in Iraq.

 

E ha continuato a farlo anche dopo, contro ogni evidenza. Nel 2014 esce il Rapporto Chilcot del Parlamento britannico, che analizza le responsabilità di Tony Blair nella guerra. Secondo il Rapporto “l’azione militare non si poteva considerare l’ultima risorsa possibile” e non c'era “alcuna minaccia imminente da parte di Saddam Hussein”. Blair mentì sulle armi di distruzione di massa e le scelte sull’Iraq furono adottate sulla base di “valutazioni false”.

 

Blair è stato un bugiardo spudorato, responsabile con Bush jr. della morte di migliaia di persone, portato come esempio dalla sinistra europea e nominato persino mediatore in Medio Oriente contro ogni buonsenso. L’autore con Bush junior della prima grande e tragica fake news della storia contemporanea.

 

Boris Johnson, ex giornalista, è per inclinazione e mestiere un contaballe patentato ma ha ereditato il governo dalla May, un vero disastro che in molti, solo perché donna e di destra, hanno confuso con la Thatcher che trattava gli inglesi come marinai ubriachi. Johnson deve raccontare fesserie in cui non crede perché i marinai ubriachi hanno deciso di schiantare la nave contro lo scoglio della Brexit.

 

E’ anche un pò un furbetto perché dice di volere un accordo con l’Unione ma non vuole pagare i costi del divorzio. “Se usciamo dalla Ue senza un accordo ha dichiarato _ i 39 miliardi non sarebbero, strettamente parlando, più dovuti”. In realtà si tratta di 33 miliardi di sterline (circa 36,4 miliardi di euro) e secondo gli esperti _ tra i quali non c’è unanimità di vedute _ la questione finirebbe quasi certamente davanti ai giudici e potrebbe durare anni.

 

Johnson è il capitano furbetto ma sempre meno ascoltato di una ciurma di ammutinati di quella che era un tempo la più grande marineria del mondo dove sta serpeggiando il pentimento per quello che hanno fatto e non sanno dove andare. Ma il 31 ottobre si avvicina e intorno a Dover, per il momento, non si vedono scialuppe europee di salvataggio.

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Settembre 5, 2019 

 

Le quattro opzioni estreme di Boris Johnson

di Fabio Lugano

 

Boris Johnson ha perso due votazioni importantissime, la prima sull’ordine dei lavoro, concessa a Corbyn, poi sulla votazione per il rinvio della Brexit al 31 gennaio 2020. Inoltre una mozione per le elezioni anticipate, che dovrebbe ricevere i 2/3 dei voti, è stata respinta con l’astensione dei Labouristi  e non ha raggiunto neppure 300 sui 450 voti richiesti. Il rinvio appare inaccettabile al primo ministro  che ha preso un impegno assoluto ad effettuare una Brexit al 31 ottobre.

 

Quali opzioni rimangono quindi per il Boris, considerando che il Regno Unto non ha una Costituzione comparabile a quella italiana, ma un sistema regolato da consuetudini e da leggi ordinarie?

 

  1. Il Governo può evitare di dare il “Consenso Reale”, “Royal Assent”. Le leggi britanniche devono essere controfirmate dalla Regina, ma è il governo che le presenta per la controfirma. Quindi il governo può, semplicemente, non presentare alla Regina la legge per il rinvio  alla controfirma, privandola di efficacia sino a quando lo stop istituzionale, già deciso, sino al 14 ottobre non la renderà superflua. Si tratta di una scelta possibile perchè il sistema costituzionale è stato create perchè fosse il governo, non l’opposizione, a presentare le leggi, per cui questo caso non era stato previsto dai complessi usi d’oltremanica, però sarebbe una forzatura ed una violenza ai poteri del Parlamento.  Cose simili non si vedevano dall’epoca di Carlo I, prima della Rivoluzione inglese che, come sappiamo, non finì bene per il governo britannico;
  2. Il Governo può disapplicare la legge, semplicemente non presentando nessuna richiesta di rinvio a Bruxelles e sfidando il parlamento a sfiduciarlo e ssostituirlo. Corbyn ha tentato di presentare un governo di transizione, con i remainer tutti dentro, ma la sua offerta è stata respinta e proprio la debolezza delle personalità Labour potrebbe favorire Johnson nello status quo, però l’espulsione dei conservatori ribelli potrebbe fornire una figura, ormai bruciata, come capo del governo temporaneo.
  3. Johnson potrebbe provare a far passare una legge ordinaria per le nuove elezioni, ma il tentativo di ieri di far passare una mozione per le elezioni anticipate ha svelato che il governo, sul tema, non ha la maggioranza. Dovrebbe quindi richiamare gli espulsi, almeno una parte, ma comunque è un’opzione di difficile applicazione. Corbyn non sembra volere le elezioni anticipate, almeno sino a che non avrà ufficialmente vinto in Parlamento.
  4. Johnson potrebbe accettare il rinvio al 31 gennaio, magari confidando che venga respinto da Macron. Il rinvio dovrebbe infatti essere accettato da tutti i paesi europei e Macron è risultato piuttosto seccato, e potrebbe voler mettere alla berlina il Regno Unito. Si tratta però di un’opzione che smentirebbe le affermazioni, anche attuali, di Johnson. 

Corbyn non vuole le elezioni, perchè il sistema uninominale darebbe ancora una forte maggioranza ai Tories. Infatti, anche se in teoria le opposizioni siano molto forti, in pratica Lib-Dem e Labour si elidono di fronte ai Conservatori. Inoltre Farage ha offerto un patto elettorale a Johnson in cambio di una rapida Brexit e, dopo le espulsioni, i Conservatori hanno un po’ di seggi da riallocare. La forza di Jeremy Corbyn è in questo parlamento, non in quello che potrebbe risultare dalle elezioni, ma così  si resta in un pantano istituzionale da cui è difficile uscire, se non con un governo Remainer che però non riesce ad avere una leadership.

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