https://www.avvenire.it/ lunedì 7 ottobre 2019
L'Onu: non portammo noi Bija in Italia, arrivò su invito del Viminale di Nello Scavo
L'agenzia delle Nazioni Unite, Oim: «Meeting richiesto dal Ministero dell’Interno. Funzionari del Viminale erano dappertutto»
Sul caso Bija non tutte le domande sono senza risposta. Ma ad ogni interrogativo ne emergono altri, facendo salire di livello le responsabilità, le omissioni e i tentativi di insabbiare la presenza del boss, come se al più si fosse trattata di una svista. L’inchiesta di Avvenire, infatti, è arrivata ai piani alti delle Nazioni Unite, e da Ginevra un portavoce dell’Organizzazione ha inviato una lunga nota nella quale vengono attribuite specifiche responsabilità al Viminale che, a seconda di come si voglia vedere la storia, o non disponeva delle informazioni che ormai circolavano da tempo, oppure aveva chiuso un occhio nel momento caldo della trattativa con le tribù libiche, a cui era stato chiesto di contribuire all’interruzione delle partenze di migranti. Ad Abdurahman Milad, detto Bija, «nel caso di questa visita è stato fornito un visto dalle autorità italiane». Una scelta che secondo l’Oim indicava come «il suo passato criminale non era ampiamente noto al momento» dal governo di Roma. Una formula diplomatica per dire, in filigrana, che se all’epoca il 'delegato' non era conosciuto dall’Onu, forse le autorità qualcosa avrebbero dovuto sapere, anche se non «ampiamente». Informazioni a quel tempo non ritenute sufficienti per escluderlo dalla rappresentanza. Ma è davvero andata così? Nessuno nei servizi di intelligence sapeva nulla di Bija? Dare a credere che uno Stato del G7, come l’Italia, non abbia una security in grado di raccogliere informazioni su personaggi in arrivo da Paesi sensibili come la Libia, è quasi comico. Il giovane boss di Zawyah «faceva parte della delegazione ufficiale nominata dal governo della Libia», si legge nella nota dell’Oim, ed era stato ammesso in Italia come «membro del gruppo di lavoro tecnico libico sulle procedure operative di ricerca e salvataggio (Sar)». Allora era stato presentato come «funzionario del Ministero degli interni libico con una funzione designata che era in in linea con gli obiettivi dell’incontro».
La denuncia dell’Oim: l’incontro di Mineo è stato richiesto dal ministero dell’Interno. Bija faceva parte della delegazione governativa di Tripoli
Diverse fonti anonime del governo dell’epoca hanno sostenuto su alcune testate italiane che «la visita di Bija e della delegazione libica nel maggio 2017 fu richiesta e organizzata dall’Organizzazione mondiale delle Migrazioni», l’agenzia presente in Libia insieme all’Alto commissariato per i rifugiati (Acnur) che poterono faticosamente tornare nel Paese grazie a una serie di garanzie ottenute attraverso il nostro governo. La risposta dell’organizzazione è però categorica: «L’incontro è stato richiesto dal Ministero degli Interni italiano. Oim ha facilitato solo gli aspetti logistici». Un’altra delle versioni circolate in questi giorni è che una rappresentanza come quella arrivata da Tripoli e che si ferma per circa una settimana, non fosse guardata a vista né “ascoltata” da personale della sicurezza. Anche su questo punto dall’Oim smentiscono: «Funzionari del Ministero degli Interni italiano erano presenti dappertutto poiché era una visita di studio dei sistemi italiani». Mai nessun riferimento ad altri dipartimenti, come la Farnesina, che pare tenuta fuori dalla linea diretta Roma-Tripoli.
Da Ginevra l’agenzia umanitaria precisa: «Funzionari del Ministero italiano erano presenti dappertutto poiché era una visita di studio dei sistemi italiani»
Le investigazioni hanno permesso di accertare violazioni sistematiche specialmente «a Misurata, a Zawiyah, Tripoli e Bani Walid». In ballo ci sono molti soldi. Gli accordi tra Tripoli, Roma e Bruxelles prevedono che entro il 2023 vengano spesi 285 milioni di euro solo per la cosiddetta Guardia costiera libica. Due anni fa, il 20 marzo del 2017, il premier libico al-Sarraj aveva presentato al governo italiano la lista della spesa. Un preventivo che anche i governi successivi non hanno mai messo in discussione. La richiesta, a suo tempo, era di 10 navi per la ricerca di migranti, 10 motovedette, 4 elicotteri, 24 gommoni, 10 ambulanze, 30 jeep, 15 automobili, 30 telefoni satellitari, mute da sub, binocoli diurni e notturni, bombole per ossigeno ed altro equipaggiamento per un valore non inferiore a 800 milioni di euro. Le consegne sono già cominciate. Ma nessuno ha visto miglioramenti nella condizione dei diritti umani. E Bija è ancora al suo posto.
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