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24 luglio 2020

 

Dall’Impero Romano alla globalizzazione: fine ciclo per la Chiesa cattolica?

di Marco Ghisetti

 

 Per la Chiesa cattolica si sta per concludere un ciclo durato 1.500 anni? Marco Ghisetti parla dei nuovi equilibri per l’istituzione religiosa più antica d’Europa tracciando parallelismi con l’epoca del tramonto dell’Impero Romano.

 

Vi sono delle importanti similitudini tra l’epoca di transizione in cui viviamo ora e l’epoca di transizione dal mondo imperiale romano a quello medioevale che è utile rilevare e sottolineare, in particolare al fine di interpretare e comprendere il ruolo che in questo momento transitorio occupa una delle istituzioni che ha maggiormente caratterizzato l’orizzonte di senso e politico dell’Europa: la Chiesa. 

Gli anni compresi tra il 300 ed il 600 d.C. furono anni di cambiamenti radicali nel mondo euro-mediterraneo, anni in cui avvenne la transizione dal mondo antico romano a quello medioevale europeo. Uno dei più significativi di questi fu il crollo del sistema caritativo dell’evergetismo, che prevedeva che il ricco cittadino benefattore suppliva all’insufficiente assistenzastatale donando parte delle proprie ricchezze alla collettività cittadina. Il sistema dell’evergetismo non va confuso coll’odierna filantropia da miliardari, poiché esso non era fatto per ottenere consenso, aumentare il proprio prestigio sociale o promuovere un’agenda politica, ma era inteso quasi come un vero e proprio dovere sociale. Inoltre, il benefattore non donava parte dei propri averi ai poveri in quanto poveri, ma il suo dono era fatto per aumentare il prestigio della propria città e conseguentemente il benessere dei propri concittadini, i quali erano visti come un’estensione della propria familia.

Ora, tra il 300 e il 600 d.C. il sistema dell’evergetismo crollò e ciò fu dovuto non tanto a ragioni ideologiche quanto economiche e geopolitiche. Infatti, esso era un sistema che richiedeva un impianto statale imperiale altamente funzionante, un’economia florida ed un forte senso civico di appartenenza. Ma quegli anni furono caratterizzati da una serie di “riforme” (già allora i tagli alla spesa pubblica venivano chiamati “riforme”) economiche che comportarono il taglio alle spese militari (con conseguente sfondamento barbarico), il crollo del sistema imperiale assistenziale, il crollo del sistema educativo bilingue, la fine della distribuzione gratuita di pane, il ritiro dalla circolazione delle monete d’argento (ma non di quelle d’oro, d’alto valore, e degli spiccioli di rame), il crollo delle classi medie e l’aumento della forbice sociale tra straricchi e poveracci. 

In questo contesto, la Chiesa cristiana riuscì a piantare le proprie radici ed ad imporsi all’interno dell’assetto sociale latifondiario che si stava delineando. La Chiesa, infatti, non solo si applicò per supplire tramite azioni caritative ai bisogni dei poveri (sia quelli vecchi che quelli nuovi che si erano creati a seguito del crollo delle classi medie), ma affiancò alla propria azione una nuova ideologia, “l’ideologia del povero”. La Chiesa cristiana, in altre parole, creò il Povero (con la “P” maiuscola). I poveri, naturalmente, già esistevano nel mondo antico (anche se probabilmente nel mondo romano il loro numero era relativamente inferiore rispetto a quelli presenti nell’attuale impero anglo-statunitense), ma essi costituivano un numero limitato ed erano sprovvisti di una legittimazione ideologica. L’amore cristiano per i poveri in quanto tali che si delineò in quegli anni era una virtù relativamente nuova, che fu rappresentata come una sfida alla classica immagine pagana di comunità “civica”. Peter Brown scrive infatti che in questi anni ci fu una “rivoluzione sociale che accompagnò […] l’ascesa e l’affermazione della Chiesa cristiana nell’impero romano […] strettamente associata all’ascesa del potere del vescovo cristiano quale sempre più influente nella società [e che il vescovo] dovesse la sua posizione in maniera non trascurabile al suo ruolo di tutore dei poveri”.[1] Non fu infatti un caso se Giuliano l’Apostata, ultimo imperatore romano dichiaratamente pagano, cercò di istituire un sistema pagano di soccorso ai poveri sulla falsariga di quello dei cristiani; cosa che, evidentemente, avvenne in maniera insufficiente. L’amore della Chiesa cristiana per il povero in quanto tale ebbe il risultato di ampliare l’orizzonte simbolico della comunità da un senso prettamente civico ad uno più aperto e cosmopolita; senso, quest’ultimo, che si affermò appunto soltanto con l’ascesa del cristianesimo ed il crollo del sistema economico imperiale nel 300 d.C. 

Questa consacrazione simbolica ed ideologica del Povero, che andava a braccetto coll’aumento del numero dei poveri e della distanza sociale tra ricchi e poveri, annota Costanzo Preve, ebbe la funzione (forse involontaria ma comunque) organica e giustificatoria dei nuovi rapporti di forza. Scrive Preve: “l’ideologia del povero, per cui mai in quei secoli si parlò tanto ossessivamente di poveri, poverini, poveretti, poveracci, ecc. copriva ideologicamente e leniva con flussi di elemosina organizzata questo maestoso paesaggio (verso il peggio).”[2] Successivamente, la fondazione simbolica del Sacro Romano Impero nell’800 d.C., con l’incoronazione dell’imperatore da parte del papa, suggellò il patto tra potere feudale imperiale e legittimazione ideologica papale. Con essa “la Chiesa assume integralmente la funzione di collante culturale e simbolico della società feudale”[3]. Questo collante unirà l’orizzonte di senso in Europa per tutto il Medio Evo. 

La Chiesa cattolica e l’età moderna

Se nel Medio Evo era la Chiesa (o per lo meno la filosofia/religione cristiana) ad informare la struttura della società e la visione del mondo dell’uomo medioevale, dall’avvento del mondo moderno essa ha dovuto “subire, adattarsi, piegare la testa, gestire l’inerzia conservatrice della parte più debole e subalterna della società”.[4] Difatti, con l’avvento della rivoluzione industriale, la funzione giustificatoria ai rapporti di forza e l’orizzonte di senso cominciano ad essere offerti dalla ragion crematistica, che è una sorta di religione secolarizzata capitalistica. Oggi, coll’approfondimento del dominio capitalista mondiale ed il superamento del modo di produzione capitalistico dialettico (borghesia e proletariato) ad un capitalismo di tipo speculativo (finanziario e privo di classi dialettiche), ad offrire la giustificazione ideologica ai rapporti di forza e l’orizzonte di senso è il politicamente corretto, che è una sorta di feroce religione relativista. Essa è relativista poiché per essa tutto è relativo al valore di scambio ed alle preferenze dell’individuo. 

Proprio come la Chiesa non innescò i processi di cambiamento nel mondo antico ma li subì e dovette adattarvisi (nonostante ci si infilò egregiamente e li giustificò), oggi la Chiesa si trova a subire i processi di approfondimento del modo di produzione capitalistico e conseguentemente dei nuovi orizzonti di senso organici che vengono mano a mano offerti, e coi quali la sua tradizionale visione del mondo non può che entrare in conflitto. Se la Chiesa protestante ha reagito firmando la propria eutanasia secolarizzandosi e fondando la propria teologica sul Vecchio Testamento e sull’etica umanistica,[5] laddove invece la Chiesa ortodossa si è potenziata fondendo la propria visione del mondo alle identità storico-nazionali dei popoli in cui ha piantato radici, la Chiesa cattolica è rimasta in una posizione ambigua. 

Cattolicesimo e globalizzazione da Ratzinger a Bergoglio

Da un po’ di tempo vi è, infatti, da parte del clero intellettuale della religione del politicamente corretto, una forte spinta affinché la Chiesa cattolica ed il clero cattolico si “aggiornino” e secolarizzino. La Chiesa cattolica è ritenuta non essere al passo coi tempi, giacché non avrebbe abbandonato quella parte del suo orizzonte di senso rimasto legato al mondo cristiano medioevale. Ed è da questa prospettiva che si può forse correttamente comprendere l’avversione mostrata dal clero intellettuale del politicamente corretto nei confronti del pontificato di Benedetto XVI.

Ratzinger, che scelse il nome del monaco che fondò comunità monastiche atte a salvare il salvabile dai barbari e dal crollo dell’impero romano in attesa di tempi migliori, caratterizzò il proprio magistero pontificio insistendo su un’idea normativa di Uomo di tipo aristotelico-tomista, e che perciò contrapponeva idee quali i valori non negoziabili, la trascendentalità del sacro, le radici identitario-cristiane dell’Europa ecc. alla dittatura del relativismo (e di conseguenza al dilagare del politicamente corretto e del modo di produzione capitalistico). 

Ma Benedetto XVI non solo cercò di contrapporre tale teologia alla dittatura del relativismo che marciava imperante in Europa, intuendo perciò che la teologia cattolica non sarebbe sopravvissuta se essa avesse accettato ed assecondato il processo e le richieste di secolarizzazione. Egli ritenne anche che la religione cattolica non sarebbe sopravvissuta nemmeno se le chiese si fossero trasformate in semplici centri di assistenza. La religione, infatti, esiste fintantoché non si secolarizza, fintantoché ritiene che le dimensioni di Dio e del sacro sono qualitativamente superioririspetto a quelle del profano; insomma, volere una Chiesa secolarizzata è come volere un gelato bollente. 

Con la rinuncia al trono pietrino di Benedetto XVI e l’inizio del pontificato di Bergoglio, che ha scelto simbolicamente il nome del poverello d’Assisi, sembra che la Chiesa cattolica abbia abbandonato la teologia aristotelico-tomista a favore di una “teologia del povero”,[6] che si direbbe specchiare l’ideologia del povero nata al tempo del crollo dell’impero romano, con annessa accettazione della crescente forbice tra ricchi e poveri e dei nuovi rapporti di forza neo-signorili. Per esempio, alcune prospettive teologiche e letture del Vangelo che vengono ora offerte dalle alte istituzioni ecclesiastiche tramite la teologia del povero, secondo cui Gesù, Giuseppe e Maria erano dei migranti, la Libia è un inferno da cui si scappa per approdare in Europa, l’ostia consacrata è un vaccino che ci protegge dal male, oltre che lo spostamento dell’attenzione dall’Uomo(con la maiuscola) aristotelico-tomistico all’uomo (con la minuscola) concerto e sofferente, l’attenzione che si pone dal Dio trascendente all’ambientalismo immanente, ecc. sono molto significative, e non solo simbolicamente. 

Come nel 300-600 d.C., l’attenzione è portata al Povero (migrante, disoccupato, sofferente, solo, precario, ecc.) e la Chiesa ritorna a supplire la funzione di “centro di assistenza” a cui lo Stato, a seguito di “riforme” economiche e del suo tracollo, non è più in grado di supplire, ma ritorna anche ad offrire un contributo ideologico organico alla ristrutturazione economica e sociale in corso, che vede la creazione di nuove classi neo-signorili di ricchissimi apolidi della finanza in opposizione a masse post-nazionali, post-borghesi e post-proletarie di miserabili (le precedenti classi medie nazionali ora pauperizzate). 

Se così fosse, ciò implicherebbe per la Chiesa cattolica il suo arrendersi ai processi socio-economici di transizione e intellettuali di secolarizzazione e relativizzazione, ed essa risulterebbe completamente schiacciata all’interno dall’orizzonte di senso del politicamente corretto divenendo, come al crollo dell’impero romano, organica ai rapporti di forza neo-signorili (allora latifondiari, ora finanziari) che si vanno delineando. In poche parole, per la Chiesa cattolica si chiuderebbe il proprio ciclo, durato millecinquecento anni. 

 

Note

[1] Peter Brown, Povertà e leadership nel tardo impero romano, Laterza, 2003

[2] Costanzo Preve, Storia dell’etica, Petite Plaisance, 2007, pp. 72

[3] Costanzo Preve, Storia dell’etica, Petite Plaisance, 2007, pp. 73

[4] Costanzo Preve, Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul Nuovo Ordine Mondiale, Il Prato, 2016, pp. 211

[5] Annota Preve: “con l’eccezione del feroce protestantesimo fondamentalista-sionista degli USA, che però a rigore non è più una religione protestante, ma una religione idolatrica nazionale come quella assiro-babilonese, in cui Cristo è soltanto più un Baal a stelle e strisce”, Costanzo Preve, Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul Nuovo Ordine Mondiale, Il Prato, 2016, pp. 213

[6] Giacomo Galeazzi, Papa Francesco e la teologia del povero, 2019, https://www.interris.it/religioni/papa-francesco-e-la-teologia-del-povero/

 

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