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24 luglio 2020

 

Storie di ribelli, anarchici e lombrosiani

di Claudio Piersanti

 

Utopia. Pensiero utopistico. Sogno. Isola-che-non-c’è. In quanti libri si tratteggia e si cerca di dare un corpo concreto a questo antico ideale umano, in forma di favola o di saggio. Pensiero utopistico quasi per antonomasia è sicuramente l’anarchismo, nelle sue mille sfumature. Credo sia sbagliato, non solo perché ormai giunti al XXI secolo nessuno vede all’orizzonte società di uguali, ma perché altre utopie si sono camuffate ma storicamente sono restate tali. Il comunismo, per esempio. Che non solo non si è mai realizzato se non in grottesche deformazioni tiranniche, ma si è addirittura, vestendosi con gli abiti spregiudicati dell’idealismo tedesco, autodefinito scientifico. Come dire: il comunismo non è soltanto un ideale romantico o un sublime pensiero ma è una scienza della conquista del potere, basata su un soggetto storico preciso (derivato dal Napoleone di Hegel) che sarebbe la classe operaia, pilastro di Soviet e altre invenzioni che ben presto uno dei grandi protagonisti della rivoluzione d’ottobre, Lev Trotzsky, avrebbe definito “burocratiche”, continuando a dichiarare il mostro staliniano che l’avrebbe ucciso spietatamente Stato operaio degenerato burocraticamente. In realtà la rivoluzione d’ottobre aveva precocemente iniziato il suo ciclo autodistruttivo a Kronstadt, dove l’Armata Rossa guidata proprio da Trotzsky aveva sparato sui rivoltosi anarchici. Trotzsky fu il leader più illuminato dell’intellighenzia rivoluzionaria e avvertì lo strazio dell’episodio, senza trarne le dovute conseguenze. Stesso destino gli anarchici subiranno (insieme ai trotzkisti) in Spagna nella risolutiva guerra civile del ’36-39. In realtà il patto Ribbentrop-Molotov è stato qualcosa di più di un accordo tattico, e le sue conseguenze furono orrende. Gli anarchici lo sapevano e la frattura con la terza internazionale staliniana spiega le loro disgrazie. La Catalogna non è la Russia, è soltanto una piccola regione sul Mediterraneo, ma lì gli anarchici avevano un seguito di massa (con tanto di sindacati, sindaci e amministratori) che i comunisti spagnoli, infima minoranza, non avevano mai avuto.

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I comunisti staliniani, guidati da Palmiro Togliatti, uccisero certamente più anarchici che fascisti. Già, l’anarchismo non è una raccolta di macchiette patetiche o al contrario sanguinarie, ma un movimento più antico del comunismo scientifico, e un libro appena uscito, Addio Lugano bella, scritto dallo storico della scienza Massimo Bucciantini, mi offre l’occasione di documentare questa profondità storica smarrita nei luoghi comuni. Il titolo suonerà accattivante per molti miei coetanei, che quella ballata la sanno a memoria e magari in qualche occasione speciale la cantano ancora. L’autore delle parole, che in una ballata sono quasi tutto, è Pietro Gori, nato da genitori toscani in Sicilia nel 1865 e morto a Portoferraio nel 1911. Dopo Errico Malatesta (che era del ’53) è sicuramente l’anarchico italiano più noto, almeno agli storici. Ottimo studente di liceo a Livorno (liceo classico) arriva a Pisa per iscriversi alla Normale ma nel frattempo è cambiato, e più che la facoltà di Giurisprudenza frequenta locande e bar malfamati (almeno politicamente) della città. Perché il 68 non è stato un evento così unico come si tende a credere. Le rivolte studentesche erano numerose anche nel XIX secolo. Divertente l’evocazione delle contestazioni all’ormai consacrato Carducci da parte degli studenti ribelli. I fermenti mazziniani e gli ardori garibaldini sono passati, la realtà che hanno davanti agli occhi è una delusione cocente per chi si aspettava cambiamenti radicali e profondi. I circoli anarchici aperti nella città di Pisa in quel momento sono ben quattro, ma in fondo anche il frequentatissimo caffè dell’Ussero, dove agli studenti in rivolta si mescolavano operai politicizzati e nostalgici della Comune di Parigi, ospita riunioni più o meno alcoliche dello stesso movimento.

 

Bucciantini non cerca di romanzare quel che non sa, ma riesce a ricostruire con grande esattezza il clima culturale in cui matura lo spirito libertario di un ragazzo di quei tempi. Gli sono d’aiuto i numerosi rapporti di polizia, che del giovane sovversivo colgono tutte le potenzialità sin dall’inizio. In un rapporto del 1891: “È di ingegno svegliato, di carattere audace e merita speciale sorveglianza.” Ma già nel 1889 era stato schedato così: “Studente universitario (giurisprudenza), statura 1.80. Snello, capelli occhi neri, pallido, un poco vaiolato. Ha una certa influenza nel partito. Sarebbe pericoloso in una sommossa popolare.” Il ragazzo ha numerosi interessi: si esibisce con qualche risultato come attore ma è anche poeta e drammaturgo, e subito dopo la laurea (ottenuta con un modestissimo voto) diventerà famoso per le sue arringhe in tribunale, sempre in difesa di ribelli e giornalisti rivoluzionari. Con lo pseudonimo Rigo pubblica versi e interventi politici in vari giornali a diffusione locale: soprattutto con il Corriere dell’Elba, e con Sempre avanti, settimanale anarchico livornese. I contenuti degli interventi vertono sulla marginalità del popolo nella scrittura della storia, lanciando invettive contro imperatori, pontefici e condottieri, i “grandi carnefici del genere umano”. Sia che si cimenti nella poesia e nel teatro sia che si esibisca in pubblico con articoli e comizi infuocati e spesso applauditi, Gori è sempre un militante anarchico, un sovversivo. Uno dei nomi più diffusi tra le figlie degli anarchici era Solidea: ecco, questo è un militante, qualcuno posseduto da un’unica idea. L’utopia è una nebulosa abbagliante, che non lascia vedere di sé altro che una figura ammantata. Uguaglianza, libertà, autogestione, libertà per le donne, divorzio, abolizione delle proprietà private e di ogni struttura di comando verticale. 

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Gli anarchici non hanno un unico referente sociale, si rivolgono a tutti gli sbandati, i disoccupati, i lavoratori agricoli, e naturalmente gli operai, che però non sono il centro e l’avanguardia degli altri. Pochi decenni più tardi un Gobetti sarà più operaista di loro. Gli anarchici si rivolgono agli sfruttati e agli emarginati, non hanno una strategia precisa. E naturalmente al loro interno si dividono in diverse correnti di pensiero, come dovunque, dai dinamitardi ai rivoluzionari alla luce del sole. Pietro Gori, ma anche Errico Malatesta, sono considerati gli Anarchici Pensanti. Discutono (e litigano) con socialisti, repubblicani e liberali, a volte si iscrivono alla Massoneria (con la quale vivranno fasi alterne, spesso conflittuali), ma sono sempre sotto il vigile controllo delle Questure, che con le loro numerosissime spie seguono e annotano ogni loro movimento. Curioso che il nemico comune sia Crispi, ex mazziniano e uomo del Risorgimento diventato monarchico e feroce avversario di ogni forma di socialismo. Fu lui a ordinare all’esercito di aprire il fuoco contro i Fasci Siciliani, causando la morte di decine di oppositori e l’inasprirsi dei conflitti in tutto il paese. Anche per questo gli anarchici cercarono di ucciderlo. Se da una parte accetta il diritto di sciopero dall’altra usa l’arma della repressione anche preventiva contro tutti gli oppositori e i nemici del Re. I giornali non graditi, naturalmente compresi quelli a cui collabora Pietro Gori, vengono chiusi e spinti alla clandestinità, e chi ci scriveva veniva spesso spedito nelle patrie galere. Di queste sarà assiduo frequentatore anche il nostro Gori. 

 

Cosa resta di questo fremente fin de siècle? Il grande dibattito che si raccoglie (andando su scala più ampia, inevitabilmente) attorno alla prima internazionale, cioè nel mondo nervoso della ricerca del cambiamento, della rottura con il passato medioevale (l’Italia, o almeno gran parte di essa) e con la spietatezza del presente e della rivoluzione industriale, oggi ci affascina e ci risulta quasi incomprensibile. Nel presente non c’è alcuna eco di questa comune origine. Eppure qualche riflessione la meriterebbe: stiamo vivendo il tramonto del mondo occidentale, dell’idea stessa, allora agognata, di democrazia (e della politica in generale). Qualcuno la chiama post-democrazia, che però significa quel che viene dopo. Ma dopo non viene niente, o semplicemente non comprendiamo quel che sta succedendo. La Rivoluzione ci fa sorridere: è impossibile. Le Riforme (ne parlerò tra poco tornando alla vicenda di Gori) sono ancor più impossibili. Tutto è impossibile. La scomparsa dell’ideale, della Solidea, sembra aver cancellato la speranza, compresa la speranza di una neo-democrazia. Invece questa è la vita di un anarchico alla fine del XIX secolo. Va in prigione, non ha una vita sentimentale propria (o la nasconde perfettamente), vive quando può con l’adorata madre e con la sorella, che non lo lascerà fino alla morte. Non ha soldi. Del resto è spesso avvocato di gente che di soldi non ne ha mai avuti. La prigione, gli arresti, l’esilio. Ma le sue fotografie, anche quelle segnaletiche, ci trasmettono un viso ampio e sereno, curato. Gli abiti che indossa sono ben scelti e ben indossati. Perché la figura pubblica di Gori è solare, audace, in parte la figura di un dandy in posa da attore, in parte poeta romantico dotato forse di troppe parole non prive di retorica dell’epoca, quindi un po’ di moda.

 

Questo fascino particolare la polizia lo chiamava proselitismo, e in effetti questa era la sua Solidea. Il suo istinto politico lo portava a cercare il contatto con gli strati più bassi della società, ad attirarli verso un mondo migliore senza tutte le storture del presente, ma con pochi dettagli strategici. Un mondo marcio, militarista, ferocemente classista, deve per forza collassare, deve per forza essere distrutto. Quasi un secolo più tardi il grido delle rivolte giovanili sarà “Vogliamo tutto”: sintesi perfetta del pensiero di Gori e degli anarchici ottocenteschi. Questo atteggiamento oltranzista spiega, almeno in parte, la sua avventurosa traduzione del Manifesto di Karl Marx, che riceverà un rimbrotto da Engels in persona. Una traduzione fatta dal francese in modo approssimativo e con tagli inspiegabili (quello del celebre incipit, per esempio). Sapeva di non fare un gran lavoro ma gli sembrava importante trasmettere subito, mentre sentiva attorno a sé crescere l’insoddisfazione e il conflitto sociale, un testo così importante. Inutile negare l’enorme distanza teoretica che salta subito all’occhio: il Manifesto del partito comunista di Marx e Engels, pur conservando la stessa visione di classe del pensiero anarchico, mette le basi a un pensiero che sembra avere maggiore intensità culturale e una più precisa consapevolezza filosofica. I concreti obiettivi dei socialisti riformisti, letti con il senno del poi, erano giusti e ben più comprensibili del ribellismo radicale: giornata lavorativa di otto ore, fine della schiavitù nelle campagne, scolarizzazione, libertà di stampa. Dopo la feroce ondata repressiva attuata da Crispi esplode la rabbia anarchica, che si traduce in attentati (spesso insensati) e regicidi, tentati o riusciti.

 

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Ho già segnalato le differenze all’interno delle formazioni anarchiche, tra dinamitardi isolati e anarchici pensanti, ma gli anarchici non sono mai stati un movimento pacifista, neanche Sacco e Vanzetti lo saranno. La storia con il senno del poi è abbastanza patetica: naturalmente Labriola aveva ragione quando polemizzava con Gori, i socialisti riformisti avevano progetti più sensati, Nenni ci appare preferibile a Togliatti, Rosa Luxemburg a Lenin e così via. Ma immergersi davvero nella storia significa tener presente che stiamo parlando di un’epoca lontana: la rivoluzione russa doveva ancora avvenire. I vari tentativi rivoluzionari ottocenteschi erano stati repressi nel sangue. Come sempre, se vogliamo essere obiettivi, la verità a posteriori è una marmellata di frutti diversi.

 

Gli attentati anarchici spianeranno la strada a leggi liberticide che neppure i riformisti riusciranno ad attenuare. Il deputato socialista Enrico Ferri dirà in parlamento (giustamente Bucciantini ne cita un ampio brano) nel luglio 1894: “L’anarchismo è pianta istintiva e cresce là dove la coscienza dei lavoratori mentre si dibatte sotto lo spasimo della miseria non ha però ancora avuto l’educazione civile e la disciplina politica delle nuove idee socialiste. Questa è la verità che voi abilmente potete negare per ragioni di polemica, contro di noi, per avere l’occasione di fare leggi repressive non solo contro l’anarchia ma anche contro il socialismo.”  Ora, lasciando da parte le vicissitudini del Ferri che in futuro sarà fascistissimo fino alla morte, non possiamo dimenticare che lo stesso era stato allievo e seguace di Lombroso, che nella storia di Gori e degli anarchici ha un ruolo specifico. Nella sua ridicola brodaglia positivista Lombroso (famoso e venerato non soltanto in Italia) trovano infatti posto gli anarchici. Negli appunti di Crispi, che ha ascoltato con attenzione l’intervento del Ferri, il Lombroso occupa un posto di rilievo, perché offre addirittura un substrato biologico alla sua avversione per i ribelli: “Barbarie nuova. Odio contro l’umanità. Attentati contro l’ordine sociale. (…) Contagio. Come se fosse un flagello.”  E ancora: “Oggi abbiamo contro la società un nemico nuovo, che insidia la famiglia, la proprietà, l’onore, la religione, insidia tutto ciò che vi è di sacro, e non sa quel che si voglia. Io capisco il repubblicano, capisco il socialista, non capisco l’anarchico. Esso è fuori dalla legge comune, e qualunque disposizione sarà da voi decretata contro lui sarà sempre legittima.”

 

Vero che Lombroso (socialista) nella sua assurda monografia sugli anarchici è costretto a fare dei distinguo, tra sanguinari e militanti politici, ma sono tipici distinguo cialtroneschi: il fatto stesso di tentare un’antropologia del sovversivo (basandosi addirittura sulle foto di decine di ribelli della Comune di Parigi) è inaccettabile. Più tardi, riferendosi all’anarchico Luigi Luccheni, che aveva ucciso a Ginevra l’imperatrice Elisabetta d’Austria, scriverà: “Gli anarchici sono uomini primitivi che confondono il delitto coll’azione e trovano che l’essere delinquenti sia quasi un merito.” Certo, gli anarchici hanno mascella quadrata e occipitali sporgenti! I più violenti sono anche epilettici o figli di epilettici! Quando la scienza si trasforma in religione può creare mostri inguardabili. Ha ragione però Crispi a preoccuparsene: in quel momento storico il fantasma che si aggira per l’Europa è l’anarchia. Diffusa o guardata con simpatia in tutto il continente. Le spie di Crispi inviano rapporti inquietanti da tutta Europa, soprattutto dalla Francia. I loro testi si affannano di ricostruire anche un quadro culturale (i mandanti degli attentati) giungendo a fare nomi di scrittori strutturalmente sovversivi: Ibsen, Gogol’, l’odiato Tolstoj. “Gli anarchici veramente pericolosi non sono i Ravachol, i Vaillant, gli Henry, i Lega, i Caserio (l’anarchico che uccise il presidente Carnot, NDR) delinquenti a metà pazzi, che possono fare qualche vittima ma che scompaiono rapidamente; sono gli anarchici permanenti, cioè gli agitatori delle Società operaie e delle Borse del lavoro.”

 

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v80), quality = 75 A Londra i funerali dell’anarchico Bourdin, saltato in aria con la bomba che voleva piazzare a Greenwich Park, attirarono una folla talmente grande che la polizia non riuscì a contenerla. Nonostante diversi attentati assurdi, in bar e luoghi pubblici (stigmatizzati da Gori e da Malatesta) la Solidea continuava ad attirare diseredati ma anche artisti, scrittori e poeti. L’eco della Comune di Parigi (che aveva visto anche il giovanissimo Rimbaud tra le sue fila, oltre al notevole Jules Vallès, anarchico e massone, protagonista e narratore ufficiale della rivolta) era ancora fortissima, i tanti esuli francesi dispersi in tutta Europa continuavano ad attirare nuovi adepti, soprattutto tra i giovani. Le cause in cui Pietro Gori si impegnò come (ottimo) avvocato sono innumerevoli; i processi che lo videro come imputato ancora di più. Trasferito a Milano Pietro Gori diventa sempre più popolare, quindi è sempre più sorvegliato dalla polizia, che con le sue spie accumula decine di faldoni su di lui. Con il passare degli anni il suo tono assume un carattere quasi mistico: in un’arringa si spinge a evocare la figura di Gesù come primo paladino della libertà. Le leggi speciali cancellarono anche i ridottissimi spazi legali a cui i ribelli potevano appellarsi, a volte ottenendo clamorose assoluzioni. Il suo ruolo di avvocato dei diseredati fu senza dubbio fondamentale nella sua storia politica: le folle lo riconoscevano come uno di loro, non come un chiacchierone politico o (come si direbbe oggi) un radical chic. Scrive Gramsci di lui nei Quaderni: “C’è nel Gori tutto un modo di pensare e di esprimersi che sa di sacrestia e di eroismo di cartone.” Vero, Gori non riuscì ad assumere il ruolo di grande teorico, e non fu neppure un letterato eccelso, ma la sua coerenza e la sua passione di agitatore ancora ci affascinano. Le leggi speciali spingeranno lui e molti altri sulla via dell’esilio, in Ticino, con la sorella Bice sempre accanto, dove finirà in prigione con altri anarchici indesiderati. Proprio in una cella di Lugano scriverà Addio Lugano bella.

 

Poi fuggirà in America, dove continuerà il suo lavoro di propagandista con decine di affollate conferenze. La grande avventura anarchica si protrarrà nel tempo, giungendo come ho detto al suo culmine (e al suo declino) con la guerra civile spagnola. Sono passati molti anni da allora, ci sono state guerre e rivoluzioni, milioni di morti, e la realtà ha steso il suo velo impietoso. Alla fine chi aveva vinto ha perso, chi ha perso ha avuto ragione. Il comunismo scientifico ha causato disastri, dittature e sofferenze inaudite, ed è praticamente scomparso. Paradossalmente l’unico stato comunista, la Cina, è diventato protagonista della più spietata realtà economico-finanziaria del nostro presente: la globalizzazione (anche dei virus). Di scientifico, nel comunismo reale, resta soltanto il suo fallimento. Mentre chi canta, commuovendosi un po’, Addio Lugano bella, in fondo non deve vergognarsi di niente. 

 

Addio Lugano bella, di Massimo Bucciantini. Einaudi editore.

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