Video: Minneapolis man George Floyd dies while handcuffed in police custody (UnCut Full Video)


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27  maggio 2020

 

La morte di George Floyd riaccende il dibattito sul razzismo

di Alessio Marchionna

 

Il 25 maggio George Floyd, un nero di 46 anni, è morto a Minneapolis, in Minnesota, dopo che un poliziotto gli ha tenuto il ginocchio premuto sul collo per alcuni minuti. Nel video dell’incidente si sente Floyd dire “non riesco a respirare”. 

Sono le stesse parole usate nel 2014 da Eric Garner, un afroamericano di New York che morì soffocato mentre veniva arrestato. Quattro agenti coinvolti nell’arresto di Floyd sono stati licenziati, e sono state organizzate grandi proteste davanti al quartier generale della polizia. 

Ecco come sono andate le cose, secondo la ricostruzione fatta a partire dalle testimonianze dei presenti e dai rapporti della polizia. 

La ricostruzione
La vicenda sarebbe cominciata quando il proprietario di un negozioha chiamato la polizia per denunciare un uomo che aveva usato una banconota da venti dollari falsa. Gli agenti arrivati sul posto avrebbero trovato il sospettato nella sua macchina, e secondo loro era “sotto l’effetto” di droghe o alcol. I poliziotti sostengono che l’uomo (in seguito identificato come George Floyd) si è rifiutato di uscire dalla macchina. A quel punto lo hanno ammanettato, accorgendosi che Floyd era in condizioni di salute precarie. 

Floyd è stato poi immobilizzato a terra, a pancia in giù e con il volto girato verso destra. Uno dei poliziotti gli ha premuto il ginocchio sul collo per diversi minuti. La sequenza è stata ripresa in un video da una persona che ha assistito alla scena e che l’ha poi diffuso. Dura circa dieci minuti e contiene immagini molto forti

Oltre alle immagini, è stato l’audio a destare molto clamore. Si sente Floyd dire “non riesco a respirare” e “non uccidetemi”. Si sentono anche alcuni passanti dire “liberategli il collo” e “sta sanguinando dal naso”. Floyd poi smette di muoversi mentre viene sistemato su una barella e caricato su un’ambulanza. 

A quel punto, come succede sempre dopo ogni caso di violenza della polizia nei confronti dei neri, sono cominciate le proteste degli attivisti – che chiamano in causa non solo le violenza in sé ma anche le condizioni di abbandono e povertà dei quartieri a maggioranza afroamericana – e l’attenzione si è spostata sulla polizia. 

Le reazioni e i precedenti
A differenza di quello che è successo in altri casi simili, le autorità hanno ha preso subito le distanze dagli agenti coinvolti nel caso. Il sindaco Jacob Frey, 38 anni, eletto con il Partito democratico, ha detto che quattro poliziotti sono stati licenziati e ha aggiunto: “Quello che abbiamo visto è sbagliato a ogni livello, essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe essere una sentenza di morte”. Frey ha aggiunto che “la tecnica usata dall’agente viola le regole della polizia”. 

Il dipartimento di polizia ha consegnato agli inquirenti che indagheranno sul caso i filmati registrati dalla telecamere che gli agenti portano sulle loro divise. Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota che a quanto pare potrebbe essere scelta da Joe Biden come candidata alla vicepresidenza per le elezioni presidenziali di novembre, ha chiesto “un’indagine esterna e indipendente”. 

Nel pomeriggio del 26 maggio ci sono state proteste davanti agli uffici del dipartimento di polizia. Gli agenti hanno cercato di disperdere i manifestanti usando dei lacrimogeni. 

La morte di Floyd ha ricordato subito quella di Eric Garner. Ma torna in mente anche il caso di Philando Castile, un nero di 32 anni che a luglio del 2016 fu ucciso vicino a Minneapolis da un agente mentre era in macchina con la fidanzata e la figlia. Il poliziotto gli aveva chiesto di accostare perché aveva una luce posteriore rotta. Dopo essere stato fermato, Castile disse alla polizia di avere una pistola regolarmente registrata nel cruscotto e, mentre allungava la mano per prendere la patente, uno degli agenti gli aveva sparato. La vicenda era stata filmata con il cellulare dalla compagna di Castile. Come nel caso di Garner, gli agenti coinvolti non sono stati ritenuti colpevole. In quello di Garner l’agente che ne ha causato la morte non è stato nemmeno incriminato, mentre il poliziotto che ha sparato Castile è stato assolto. 

Il destino di Black Lives Matter
La vicenda di Floyd potrebbe riportare sotto i riflettori il movimento Black Lives Matter, nato nel 2013 dopo l’omicidio di 
Trayvon Martin. Come ha spiegato l’Economist in un articolo di qualche giorno fa, il movimento è stato al centro del dibattito politico durante la presidenza Obama, soprattutto dopo i disordini di Ferguson del 2014. Ma negli ultimi anni, sotto la presidenza di Donald Trump, i suoi attivisti hanno trovato sempre meno spazio, anche se il razzismo contro i neri non è stato superato e gli omicidi della polizia sono ancora frequenti. 

Il settimanale ha intervistato Melina Abdullah, cofondatrice della sezione di Los Angeles di Black Lives Matter, secondo cui l’interesse dell’opinione pubblica su questi temi si è ridotto notevolmente negli ultimi tempi. “Abdullah ricorda che per due anni è intervenuta ogni giorno sulle emittenti televisive nazionali per parlare dei diritti degli afroamericani e di Black Lives Matter. I produttori, però, hanno smesso di contattarla subito dopo l’elezione di Donald Trump. Nel frattempo alcuni simpatizzanti sono stati coinvolti da altre cause, come la campagna presidenziale di Bernie Sanders”. Non ha aiutato il fatto che il movimento ha sempre rifiutato di avere una gerarchia e che il grosso delle iniziative sono sempre state organizzate online. 

Detto questo, Black Lives Matter svolge ancora un ruolo importante dove ce n’è più bisogno, cioè a livello locale, dove ha cercato di trasformare le proteste in campagne politiche per migliorare la condizione di vita dei neri. Inoltre non bisogna dimenticare che in molte città la pressioni del movimento hanno portato le autorità comunali e i dipartimenti di polizia ad adottare alcune misure per ridurre la violenza nei confronti delle minoranze.

 

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