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18 maggio 2020

 

Ombre cinesi su Israele

di Lorenzo Vita 

Via della Seta passa anche per Israele. E per gli strateghi americani è un problema talmente serio che lo stesso segretario di Stato, Mike Pompeo, si è dovuto recare in visita a Gerusalemme per ribadire alle controparti dello Stato ebraico il netto rifiuto di Washington alla penetrazione di Pechino.

Una visita particolarmente intensa visto che si è parlato di Cina, di piano di annessione della Cisgiordania, di nuovo governo di coalizione e di strategie regionali, ma che si è conclusa anche con un evidente scontro politico tra i due giganti del mondo – Pechino e Washington – che adesso vedono in Israele una delle trincee della loro nuova Guerra fredda. Una trincea che è destinata a essere anche una delle più pericolose e complesse data anche la faglia strategica su cui sorge Israele, avamposto dell’Occidente nel mondo mediorientale e che da qualche tempo ha deciso di aprirsi anche alle sirene orientali. Nonostante la preoccupazione e i continui avvertimenti delle amministrazioni americane.

In questo contesto di tensione, rafforzato con l’arrivo di Pompeo e con una serie di articoli e comunicati usciti da una parte all’altra della barricata su prospettive e rischi della partnership tra Israele e Cina, è piombata l’improvvisa morte di Du Wei, ambasciatore cinese da poco insediatosi a Tel Aviv. Una morte per cause naturali che però non poteva non gettare più di un’ombra di sospetto e di mistero vista la tempistiche del decesso, praticamente a poche ore dal giuramento del nuovo governo e dalla visita del potente segretario di Stato americano ed ex direttore della Cia.

Le indagini della polizia israeliana hanno accertato in maniera definitiva le cause “naturali” della morte. Il diplomatico, 57 anni, trovato senza vita nel letto della sua Herzliya, sarebbe stato colpito da un infarto. Una conclusione a cui è giunto anche il governo di Pechino, che dopo una prima possibilità di inviare una squadra investigativa a Tel Aviv per indagare sulla morte dell’ambasciatore, ha scelto di non mandare nessuno confermando i risultati delle indagini della polizia israeliana.

La possibilità dell’invio di una squadra investigativa cinesi non è stata soltanto frutto delle indiscrezioni di stampa (in particolare del South China Morning Post e di Haaretz): lo stesso portavoce del ministero degli Esteri, Lior Haiat, aveva dichiarato all’agenzia di stampa Dpa che la Cina aveva deciso di inviare un team di esperti. Ma in serata è arrivata la retromarcia del governo cinese, che ha invece confermato quanto appreso dalla polizia israeliana ribadendo che la morte di Du Wei sarebbe avvenuto per un malore. Come già anticipato dall’organo internazionale del Partito, il Global Times.

Una retromarcia particolarmente interessante. Da una parte è chiaro che difficilmente Israele avrebbe avallato un’investigazione straniera sul proprio territorio; dall’altro lato, inviare un team di esperti non fidandosi delle affermazioni degli investigatori israeliani avrebbe di fatto svelato tutti i sospetti di parte cinese oltre che creare un pericoloso precedente nei rapporti tra i due Paesi. In ogni caso, l’annuncio e la successiva smentita hanno fatto comprendere che più di qualcuno, nelle stanze del Partito a Pechino, ha pensato che la morte di Du Wei non sia stata un caso.

Difficile (se non impossibile) fare ipotesi. Le speculazioni in questo caso sono potenzialmente infinite ed è sempre pericoloso pensare alla risposta più facile. È chiaro che una morte del genere, improvvisa e così importante, e il solo fatto che la polizia israeliana abbia indagato su una morte già all’apparenza naturale, siano questioni foriere di dubbi e sospetti. Ma la scelta di Pechino di non inviare il team così come la netta presa di posizione delle autorità dello Stato ebraico inducono a credere che dalle parti di Tel Aviv e di Pechino si voglia mettere un freno al giallo.

Freno che però non può essere messo al tema cruciale dello scontro su Israele tra Cina e Stati Uniti e su cui ora si gioca parte della sopravvivenza internazionale del governo Netanyahu-Gantz. E non a caso tre giorni fa era stata proprio l’ambasciata cinese a Tel Aviv a protestare per le parole di Pompeo sulla minaccia legata alla penetrazione asiatica nel Paese ebraico. Israele interessa alla Cina ed è allo stesso tempo considerato fondamentale per gli Stati Uniti. Benjamin Netanyahu, pur legato a doppio filo all’attuale amministrazione americana, non ha mai disdegnato gli interessi cinesi, specialmente con un’Unione europea molto poco incline ad accettare le scelte dei governi guidati dal Likud e con gli Stati Uniti che, sotto l’era Obama, avevano firmato quell’accordo con l’Iran che Bibi aveva sempre condannato. Scelta che ha provocato una frattura non ancora del tutto sanata tra i due alleati.

La Cina, grazie anche alle posizioni di Netanyahu, si è mossa per cercare di colmare i primi vuoti lasciato dagli Stati Uniti. E sono anni che i servizi segreti israeliani, storicamente saldati con l’America, avvertono le autorità sugli investimenti di Pechino. Lo hanno fatto per le vendite di aziende israeliane a grandi marchi cinesi, ma lo hanno fatto soprattutto per l’interesse del gigante asiatico nel porto di Haifa e nel più grande impianto di desalinizzazione del mondo, Israele starebbe rivalutando l’offerta di una società legata alla Cina, la Hutchison, per la costruzione di un impianto di dissalazione, il Sorek 2, nel kibbutz Palmachim, poco lontano da Tel Aviv.

Sul porto di Haifa i problemi sono legati soprattutto ai rischi del doppio uso civile e militare dei possibili investimenti cinesi. Motivo per cui gli Stati Uniti da tempo chiedono ai partner europei di evitare (con scarso successo) il coinvolgimento di Pechino nelle grandi infrastrutture portuali. Il rischio, per l’intelligence e militari americani e israeliani, è che la Cina possa sfruttare queste opere civili per mettere più di un piede nelle strutture strategiche legate direttamente alla sfera di influenza americana.

Diverso il tema del Sorek 2, che è di natura prettamente politica ed economica: il negoziato con la Hutchinson, azienda di Hong Kong, non è mai piaciuto agli Stati Uniti, tanto che le pressioni nei confronti del governo israeliano sono state tantissime . E non a caso in concomitanza con la visita di Pompeo e l’avvio del nuovo governo, da Israele è arrivata la notizia di un “ripensamento”. Un segnale di dubbi politici prima ancora che economici seguito, a stretto giro di posta, dalla tragica morte di Du Wei.

 

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