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12 febbraio 2020

 

Scontri a Beirut: «questo governo è contro il popolo libanese»

di Pasquale Menditto

 

Martedì 11 febbraio, scontri tra i reparti antisommossa e la folla di manifestanti riunita a Beirut per protestare contro la votazione della fiducia al nuovo esecutivo di Hassan Diab. Una cronaca della giornata

 

Quando ho incontrato Malik, eravamo entrambi seduti sul marciapiede di Piazza dei Martiri, cercando di riprendere fiato lontano dall’odore intenso del gas lacrimogeno. Lui ha sedici anni e vive a Sidone ed è venuto a Beirut insieme al suo gruppo di amici con l’obbiettivo di far sentire ai politici libanesi che il popolo non si è arreso alle decisioni di palazzo. Del resto non è la prima volta che si unisce alle proteste nella capitale per far sentire la sua voce e la sua rabbia. La rivoluzione non è facile, mi spiega, per ora è un cinquanta e cinquanta: i politici li ignorano ma la gente non ha ancora perso la speranza di conquistare un futuro diverso. La mattinata di martedì 11 febbraio è stata segnata dagli scontri tra i reparti antisommossa della polizia libanese e la folla di manifestanti, riunitesi in piazza dei Martiri a Beirut con l’obiettivo di protestare contro la seduta del parlamento, convocata per votare la fiducia al nuovo esecutivo di Hassan Diab. La votazione ha poi avuto luogo nella serata di martedì, con un risultato di 63 parlamentari a favore su 83 presenti, segnando così la nascita del nuovo governo.

 

Nei giorni precedenti le forze dell’ordine hanno provveduto a fortificare con un muro di cemento armato l’imbocco della via che da piazza dei Martiri porta verso il moderno centro cittadino dove è ubicato il palazzo del parlamento, la cui area circostante è presidiata giorno e notte da reparti dell’esercito dall’inizio dallo scorso 17 ottobre. Proprio l’inaccessibilità del Down Town di Beirut ha contribuito a rendere la piazza dei Martiri il luogo simbolo della rivolta del popolo libanese, che dall’inizio delle proteste ha occupato l’area con un accampamento in cui vivono circa un centinaio di persone. Nella serata di lunedì 10 febbraio hanno cominciato a circolare voci sull’arrivo in piazza dei Martiri di persone provenienti da diverse città del Libano, in particolare da Tripoli e da Sidone. Al mattino una grande di folla di manifestanti si è riunita in piazza e ha da subito preso d’assalto il muro di cemento armato, adoperando martelli, corde, e catene nel tentativo di abbattere i piloni che formano la barriera dietro cui si erano radunate le forze di polizia. Quest’ultime hanno immediatamente adoperato gas lacrimogeno e dei cannoni d’acqua contro i manifestanti che cercavano di scalare la muraglia con l’ausilio di transenne, adoperate come delle vere e proprie scale. I manifestanti hanno risposto agli attacchi della polizia, distruggendo le grosse tegole di pietra che rivestano la facciata del Le Gray Hotel, così da procurarsi sassi da lanciare contro la polizia. Verso le undici due piloni di cemento sul lato dell’Hotel erano stati abbattuti con i manifestanti che usavano quel varco per rendere il lancio di sassi più efficace. Hady, un ragazzo originario di Tiro, mi spiega che questa rivolta lo fa sentire per la prima volta parte della storia del sua paese. Il nuovo governo è composto da marionette, manovrate dai vecchi capi dei vecchi partiti politici, nei loro confronti il popolo non ha ormai alcuna fiducia. Questo nuovo governo è stato fatto contro il popolo libanese. Lui vive in piazza da più di tre mesi ormai, è stanco però non ha alcuna intenzione di mollare, perché questa volta sente che la lotta è irrinunciabile, anche perché la crisi economica non farà altro che inasprire le già difficili condizioni di vita dei libanesi. Settarismo e corruzione gli hanno fatto dimenticare cosa significhi essere un cittadino di uno stato democratico. La rivolta, per lui, è l’unico modo che hanno i libanesi per riappropriarsi del loro destino.

 

 

Foto di Pasquale Menditto

 

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