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10 febbraio 2020

 

Libano: tra consultazioni governative e sciopero generale

 

Dopo quasi quattro mesi dall’inizio delle proteste, il nuovo governo guidato dal Primo Ministro Hassan Diab è pronto a chiedere il voto di fiducia, previsto tra martedì 11 e mercoledì 12 febbraio. Il neonato esecutivo, costituito da 20 ministri e caratterizzato dall’alleanza dei due partiti sciiti dominanti – Hezbollah e Amal – con il Free Patriotic Movement di Gebran Bassil (storico partito cristiano maronita fondato dall’attuale Capo dello Stato Michel Aoun) è stato da subito rigettato dai manifestanti che si dicono pronti a bloccare le sedute parlamentari attese nei prossimi giorni.

 

Dopo circa tre mesi di manifestazioni e blocchi stradali che hanno attraversato il paese dei cedri da nord a sud, a metà gennaio si è registrata un’escalation di violenza nel corso di alcuni sit-in organizzati davanti al palazzo del governo in quella che è stata definita “The Week of Anger” (“La settimana della rabbia”) nel corso della quale sono state sanzionate anche diverse banche, simboli eloquenti della crisi economico-finanziaria in cui vessa il paese (non a caso, infatti, uno degli slogan più ripetuti è proprio “al-sha3b yurid ysqat nizam al-masraf”, “il popolo vuole la caduta del governo delle banche”). Nonostante le intimidazioni e la repressione registrata da parte dei reparti delle forze di sicurezza nazionale, i cittadini libanesi sembrano determinati a continuare le proteste fino a quando le loro richieste non saranno ascoltate e inserite nel programma di governo, che per adesso guarda ben oltre a quelli che sono i bisogni primari della popolazione. I cori e gli slogan contro il settarismo, il sistema delle banche e la corruzione non hanno infatti trovato riscontro nell’esecutivo attuale, prima di tutto per quel che riguarda la riproduzione del modello settario nella divisione delle quote parlamentari e, successivamente, nella mancata nomina di un governo tecnico e al di fuori delle dinamiche corrotte ormai note ai più anche al di fuori del Libano.

 

Una delle sfide principali in questo momento riguarda l’approvazione del nuovo budget per l’anno 2020 e l’elaborazione di un Rescue Plan finalizzato a far uscire il paese dalla peggiore crisi economico-finanziaria degli ultimi decenni, progetti che sono stati discussi nelle scorse settimane e già pesantemente criticati dai manifestanti antigovernativi che ne denunciano la lontananza dalle priorità e dai bisogni attuali della popolazione. Dall’altro lato, l’approvazione e implementazione di alcune riforme fondamentali riguardanti il sistema educativo, sanitario ed energetico (elettricità in primis) sono state discusse negli scorsi giorni con il direttore regionale della Banca Mondiale Saroj Kumar Jha ma rischiano di rimanere un miraggio lontano strettamente connesso allo stanziamento di fondi esteri.

La città di Tripoli continua a rappresentare il cuore delle proteste di questi mesi: la scorsa settimana, per la prima volta, diversi autobus di manifestanti sono partiti da Beirut e da altre zone del paese per raggiungere la seconda città più grande del Libano in occasione di una marcia antigovernativa e mostrare ancora una volta l’unità della popolazione nel chiedere un effettivo cambiamento politico. Il centro di Beirut rimane militarizzato dalle Forze di Sicurezza che nelle scorse settimane hanno ulteriormente circondato l’area antistante il Parlamento con jersey e veri e propri muri di cemento accerchiando, di fatto, l’intera piazza e precludendo il passaggio di macchine e pedoni. Moltissime tende sono ancora presenti tra piazza dei Martiri e piazza Ryad el Soleh e, quotidianamente, diverse centinaia di manifestanti vi si ritrovano per portare avanti delle “battiture” rumorose lungo le recinzioni di metallo e scandire slogan contro l’occupazione militare dello spazio pubblico.

 

Uno sciopero generale è stato chiamato per la giornata di martedì 11 febbraio, primo giorno di consultazioni governative e diversi appelli circolano in rete chiamando a raccolta studenti e lavoratori per bloccare, fin dal mattino presto, ogni via d’accesso ai palazzi governativi. Allo stesso modo, il presidente Aoun ha riunito venerdì il Conseil supérieur de défense per discutere le misure di sicurezza da adottare in vista delle contestazioni della settimana. Se il neo-governo di Hassan Diab dovesse ottenere la fiducia – cosa altamente probabile data la maggioranza data dai voti di Hezbollah, Amal e Free Patriotic Movement, gli stessi che ne hanno favorito la nomina – il suo governo, a detta dei manifestanti, «sarà ancora peggio di quello di Saad Hariri» poiché ulteriormente aggravato dalla crisi economica e dalla repressione del dissenso popolare.

 

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