Originale: https://www.yanisvaroufakis.eu/

http://znetitaly.altervista.org/

25 marzo 2020

 

Ieri sera mi ha telefonato Julian Assange. Ecco di cosa abbiamo parlato

di Yanis Varoufakis

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

Ieri sera, immediatamente dopo il nostro primo evento televisivo di DiEM25, ha squillato il telefono. Era Julian Assange. Dal carcere. Non era la prima volta che mi onorava profondamente usando per chiamare me le poche telefonate che il carcere gli consente. Come in ogni altra occasione simile, quando inaspettatamente riconosco la sua voce sono sommerso da un torrente di emozioni. Colpa, principalmente, al pensiero che nel momento in cui sarà staccata la linea lui rimarrà la, nel luogo eccessivamente buio cui è stato confinato per una decisione presa molto tempo fa di aiutare il resto di noi a capire ciò che il potere costituito è andato facendo in nostro nome senza nostra consapevolezza o consenso.

Julian voleva parlare degli effetti del Covid-19 sul mondo in cui viviamo e, naturalmente, sul suo caso. Ha osservato che il manifesto elettorale di Jeremy Corbin, che il sistema aveva fustigato perché troppo radicale, oggi sembra irragionevolmente moderato. Abbiamo riso dell’audacia di quelli che dicevano al popolo britannico che era irresponsabile spendere pochi miliardi per offrire un finanziamento appropriato al Servizio Sanitario Nazionale (NHS) e all’assistenza sociale per tutti, trasformare la banda larga in un servizio pubblico e portare le ferrovie sotto la proprietà pubblica per farle opera correttamente, le stesse persone che, ora che l’alta finanza e il capitalismo più in generale sono in guai seri, sembrano aver scoperto l’albero degli zecchini annunciano trilioni da pompare nell’economia. Julian non sapeva (come avrebbe potuto, quando le autorità carcerarie gli negano l’accesso ai giornali, a internet, persino a BBC Radio 4?) che Boris Johnson aveva, in precedenza ieri, annunciato la nazionalizzazione temporanea delle ferrovie, vedendo che i corsari non possono mai offrire un servizio decente nel mezzo di un’emergenza nazionale.

Dopo pochi minuti durante i quali ci siamo consentiti di crogiolarci nella Waterloo dei neoliberisti per mano di un qualche RNA cui il sistema semplicemente non saprebbe far fronte senza abbandonare tutte le sue certezze, abbiamo discusso di che cosa significhi per il futuro. Julian ha detto, molto correttamente, che questa nuova fase della crisi sta, al minimo, rendendoci chiaro che tutto è accettabile, tutto è ora possibile.  Al che io ho aggiunto che tutto spazia dagli sviluppi migliori a quelli peggiori. Che l’epidemia contribuisca a realizzare una società buona o una estremamente malvagia dipenderà, ovviamente, da noi, dal fatto che i progressisti riescano a unire le forze. Perché se non lo facciamo, proprio come non l’abbiamo fatto nel 2008, i banchieri, i maneggioni, gli oligarchi e i neofascisti dimostreranno, ancora una volta, di essere quelli che sanno come non lasciar andare sprecata una buona crisi.

Ce la faremo? Julian ha avuto un commento ottimista al riguardo: al minimo, organizzazioni transnazionali come WikiLeaks e DiEM25 hanno perfezionato gli strumenti digitali per dibattiti e campagne in rete ben prima del presentarsi del Covid-19. In qualche misura siamo preparati meglio di altri.

Poi abbiamo parlato del suo caso. Le sue condizioni carcerarie si stanno deteriorando. Ora che le visite sono state interrotte, il suo isolamento sta peggiorando. I suoi avvocati stanno per presentare al tribunale una petizione per la libertà su cauzione. Se la salute di un prigioniero nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh è a rischio di infezione da Covid-19, quella è la salute di Julian. Il tribunale gli concederà la libertà su cauzione? Improbabile. La nuova crisi cambierà le probabilità della sua estradizione? Abbiamo concordato che la risposta a quest’ultima domanda è: probabilmente, ma non molto, ora che il complesso della sicurezza nazionale negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno di che preoccuparsi di cose che non esistevano poche settimane fa.

La nostra conversazione è durata dieci minuti e un secondo. Poi la guardia carceraria ha interrotto la comunicazione. Il solo uomo che conosce i pericoli e le sofferenze dell’isolamento meglio di tutti noi era emerso per dare a me, a noi, una lezione di dieci minuti su come non perdere l’uso della ragione mentre in isolamento.

Non fraintendermi, caro lettore: Julian sta lottando per mantenere integre le sue facoltà, per non perdere la testa. Per ore ogni giorno in confinamento lui combatte il buio e la disperazione. Quando suona lucido, persino divertente, al telefono è perché ha lavorato venti ore in previsione del momento in cui dovrà comunicare la sua versione della vicenda, i suoi pensieri, al mondo esterno. Nessuno dovrebbe vivere in quel modo.

E dunque è così che, ora che siamo tutti in un certo stato di isolamento, il calvario di Julian – così come le sue idee – deve offrirci una pausa per scoprire in noi stessi, e indurci a farlo, il potere e la solidarietà necessari per assicurare che questa crisi non vada sprecata, che gli stolidi e corrotti poteri stabiliti non finiscano, ancora una volta, per trarne vantaggio.

 


da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/last-night-julian-assange-called-me-here-is-what-we-talked-about/

 

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