Fonte: Italicum

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22/09/2019

 

Gender: diritti umani o postumani?

di Luigi Tedeschi

 

Il gender, non rappresenta né la dissoluzione della natura umana, né l’avvento di un’era post – umana, ma solo l’esito nichilistico di una modernità al crepuscolo, che nel suo processo dissolutorio, giunge a distruggere anche sé stessa.

 

L’ideologia gender vuole rappresentarsi come un fenomeno che apre una nuova era non umana, del post – umano. Essa presuppone su basi scientifiche (in realtà di dubbio fondamento), una indifferenziazione originaria degli individui. Sarebbero le condizioni storiche e sociali ad aver prodotto la differenziazione tra i sessi maschile e femminile. Per mezzo della biogenetica inoltre, si potrebbero operare mutamenti genetici negli esseri umani tali da incrementare le facoltà intellettive e fisiche degli individui: potrebbero essere generate nuove specie oltre l’umano. Sarebbe poi l’individuo, unificato in un unico genere, a determinare, sulla base delle proprie libere scelte, il suo orientamento sessuale, che non si riduce alle sole due polarità opposte del maschile e femminile. Esistono infatti vari gradi intermedi tra i due sessi, quali omosessualità, la transessualità, intersessualità ecc…

Gender: un prodotto dell’illuminismo globalizzato

L’avvento di tale ideologia deve quindi presupporre una educazione, una cultura e l’istituzione di nuovi rapporti sociali tra gli individui, conformemente alla nuova struttura che assume la società. Una tale trasformazione antropologica, definita post – umana, si definisce impropriamente come il risultato di una ideologia futurista che, sulla base del progresso scientifico, fatta tabula rasa dei presupposti fondamentali della natura umana, e quindi della storia stessa dell’uomo, dovrebbe determinare l’avvento di una nuova umanità post – umana.

In realtà, l’ideologia gender ha radici illuministe e si basa, al pari delle ideologie settecentesche, su una natura originaria dell’uomo che doveva essere giuridicamente e politicamente riconosciuta.

L’ideologia gender si fonda, al pari dell’illuminismo, su un diritto naturale dell’uomo che si antepone alle istituzioni politiche comunitarie che per loro natura hanno una genesi storico – politica. La libertà dell’uomo, secondo l’illuminismo, poteva affermarsi qualora si fossero abrogate tutte quelle istituzioni e quei valori culturali di natura etica, politica, religiosa che si anteponessero all’individuo e conferissero alla vita individuale e collettiva dell’uomo finalità comunitarie. Allo stesso modo, l’ideologia gender, affermando che la distinzione tra i sessi non è un dato imprescindibile dell’essere naturale dell’uomo, ma il risultato di condizionamenti storico – sociali in virtù dei quali si sarebbero ripartiti i ruoli nella società, vuole affermare una ideologica originaria naturalità indifferenziata dell’uomo.

Così come l’illuminismo, il gender postula l’abbattimento e la negazione di istituzioni e culture che nella storia avrebbero determinato la differenziazione dei caratteri e dei ruoli sociali tra uomo e donna. Il gender è dunque il legittimo erede dell’illuminismo e ne costituisce una estrema fase evolutiva, grazie al progresso tecnologico.

Il gender esprime l’ultima frontiera di una linea evolutiva incessante del progresso, inteso, proprio come dall’illuminismo, come l’elemento imprescindibile e motore inarrestabile dell’emancipazione dell’uomo. Il gender non è dunque una ideologia che introduce elementi di rottura con la storia e la cultura dei secoli passati, ma ne rappresenta un coerente e successivo sviluppo.

Diritti umani o post – umani?

Coerentemente con l’ideologia liberale del mondo globalizzato, il gender è riconosciuto dalle istituzioni internazionali come parte integrante dei diritti dell’uomo, in quanto afferma la libertà dell’individuo di autodeterminarsi, di disporre cioè della propria vita indipendentemente dalle caratteristiche genetiche naturali determinate dal sesso.

I diritti umani (e tra essi il gender), si affermano nella misura in cui vengano negati i valori di natura comunitaria di carattere etico, politico, religioso. Essi in realtà hanno un contenuto prescrittivo – negativo: dispongono solo abrogazioni, disconoscimenti, negazioni di valori.

Infatti il loro riconoscimento non sorge da istanze popolari di massa per il riconoscimento di diritti disconosciuti dalle istituzioni, ma su istanza di minoranze marginali della società e vengono imposti alla società intera tramite una legislazione di carattere spesso repressivo nei confronti della libertà di pensiero, oltre che dalla vulgata mass mediatica del pensiero unico imposto dalle classi dominanti.

Tale ideologia costituisce un momento di radicale evoluzione dei diritti dell’uomo, per quanto concerne la loro influenza politica e la loro rilevanza nella legislazione degli stati del mondo globalizzato.

Con i diritti umani si afferma infatti una fonte pregiuridica di legittimazione degli ordinamenti politici. Le istituzioni statuali non hanno infatti oggi più una legittimazione originaria e pertanto, devono essere compatibili con i principi fondamentali dei diritti umani imposti su scala globale. Se dunque i diritti umani originari degli individui si antepongono alla sovranità degli stati, le istituzioni statuali vengono ad essere svuotate dei loro fondamenti etici e della loro legittimità storico – politica. Le costituzioni vengono ad essere subordinate a fonti di diritto ad esse estranee, che anzi si qualificano come principi assoluti ed inderogabili in quanto pregiuridici. Abrogata ogni altra forma di legittimazione, i rapporti tra organismi internazionali, tra gli stati e tra individui, potranno essere regolati solo su base privatistica.

Questo fondamento privatistico, così come conduce ad una progressiva rarefazione della funzione dello stato, quale sovrano regolatore dei rapporti tra gli individui e di essi con lo stato, porterà ad una società strutturata su un informale contrattualismo, che comporta la totale disponibilità dei diritti individuali nei rapporti sociali.

Lo stato di diritto sarà sostituito da un organo regolatore degli arbitri individuali.

In questo contesto si inserisce l’ideologia gender, che instaura una legislazione e una cultura fondata sulla disponibilità della propria vita individuale, che può essere soggetta a tutti i mutamenti di carattere genetico possibili. La vita diviene dunque una proprietà privata esclusiva di cui l’individuo può comunque disporre: può crearla, distruggerla, alienarla, trasformarla, concederla in locazione (uteri in affitto).

L’individuo è quindi deresponsabilizzato dinanzi a sé stesso e agli altri membri della comunità. Tale ideologia è perfettamente compatibile con la forma merce su cui il capitalismo globale ha strutturato la totalità dei rapporti umani. Se il lavoro, l’istruzione, la sanità, così come tutti i rapporti sociali sono oggetto di valutazione economica, in quanto inseriti nella logica mercatista del valore di scambio, la vita stessa viene ad essere prodotta, trasformata, scambiata, consumata perché ricompresa nella forma merce, dal momento che l’individuo è ciò che sceglie di essere alla pari di un bene di consumo.

Nel contesto del capitalismo assoluto, il gender, in quanto cultura della diversità, non è ascrivibile tra i diritti umani come un valore inalienabile della soggettività, ma semmai costituisce una forma di oggettivazione dell’uomo, nella misura in cui l’io oggettivizza sé stesso come materia prima manipolabile e consumabile in base a scelte di natura individuale, come lo sono i bisogni indotti del consumismo.

L’universalismo dei diritti umani viene ad essere smentito, dato che il gender, quale ideologia individualistica della diversità, é lungi dal costituire un elemento unificante del genere umano, ma semmai di disgregazione dell’uomo in tanti io distinti. Pertanto l’universalismo dei diritti umani si tramuta in un estremo relativismo di diritti post – umani, che si configura come una forma di collettivismo individualista composto da esseri separati e distinti da una diversità irriducibile.

Volontà di potenza o volontà di dissoluzione dell’oltreuomo?

Con l’ideologia gender viene a riproporsi il mito prometeico dell’uomo creatore di sé stesso. Viene dunque di nuovo alla luce un pensiero che si fonda sulla volontà autopoietica del’uomo, che negando le proprie origini naturali, vuole creare sé stesso.

E’ evidente che il gender esprime una fase di estremo sviluppo della modernità. Di quella modernità che ebbe il suo inizio con l’illuminismo, ma che si affermò con la “morte di Dio” della filosofia nietzschiana. Venuti meno i motivi e i significati della vita umana che avevano la loro origine in Dio, l’uomo, per sfuggire al suo stato di irriducibile nichilismo, dovrà essere superato mediante l’avvento dell’oltreuomo.

Questa condizione di assoluta negazione della propria genesi in cui l’uomo viene a trovarsi con la “morte di Dio” è perfettamente coerente con l’ideologia gender.

Poiché la filosofia, al pari della religione e della scienza non hanno alcun fondamento veritativo, la conoscenza viene a configurarsi come una necessità di razionalizzazione del mondo, senza che alla logica delle procedure conoscitive faccia riscontro una sostanza veritativa del reale conciliabile con le forme logico – conoscitive.

La conoscenza è dunque per Nietzsche un mezzo di dominio del mondo, espressione della volontà di potenza dell’uomo – oltreuomo. La volontà di potenza non è dunque manifestazione di “irrazionalismo vitalistico”, di esaltazione dell’istinto sulla ragione, espressione di un soggettivismo solipsistico. Essa è, al contrario, un insieme di processi logico – razionali, che non hanno una loro valenza veritativa in sé, ma hanno una loro verifica oggettiva nella misura in cui riescono a dominare il mondo reale.

La logica e la scienza non hanno un proprio riscontro nel reale, ma creano una realtà nella loro razionalizzazione del mondo.

Occorre rilevare comunque che, se la conoscenza è priva di sostanza metafisica e nella realtà non è dato riscontrare alcuna valenza veritativa della conoscenza, che viene a configurarsi come mera interpretazione della realtà, la stessa soggettività umana viene ad essere annientata dal suo stesso “nichilismo creativo” che essa stessa ha generato.

Infatti, demistificato l’uomo da ogni prospettiva metafisica, esso è espressione di sola, nuda, fattuale volontà di potenza, in un mondo ridotto ad uno stato di fatto immanente ed oggetto di dominio e manipolazione.

Alla luce della filosofia nietzschiana, possiamo rinvenire nella volontà di potenza il principio generatore dello sviluppo stesso del capitalismo.

L’uomo, secondo la ideologia gender è creatore di sé stesso, allo stesso modo in cui nel mondo finanziario il capitale si autoriproduce e crea valore attraverso la sua autocreazione illimitata.

E’ infatti il capitalismo che ha coniato il concetto di “capitale umano”, che, secondo Focault, si riferisce alle risorse umane suscettibili di manipolazioni genetiche al fine di accrescerne la produttività e permeabili alla educazione di massa, quali fattori di produzione e consumo. il capitale umano è materia prima atta a creare valore.

In questa dimensione oltre e/o post – umana propria della modernità, l’uomo, oltre che distruggere il patrimonio naturale ha distrutto anche la propria natura umana. L’uomo infatti è arbitro del proprio io? Secondo Costanzo Preve, l’oltreuomo nietzschiano ha il suo esito finale nell’uomo minimo dell’era del capitalismo assoluto descritto da Lasch.

In tale contesto, possiamo definire il gender come ideologia del “nichilismo creativo”, in cui si realizza la totale scomposizione della soggettività. L’io diviene infatti oggetto di manipolazione da parte dei bisogni indotti della cultura mediatica.

L’unitarietà dell’uomo scompare, poiché nell’individuo convivono tanti io malleabili e manipolabili in quanto funzionali alla struttura economico – sociale del capitalismo. Ritorna dunque con il gender quella concezione nietzschiana dell’uomo come fascio di impressioni, sensazioni, istinti vitali: l’uomo si dissolve nella indefinibilità di sé stesso.

Transumanesimo e ideologia gender

Il gender è una ideologia che costituisce una evoluzione coerente del transumanesimo. Tale movimento culturale, che ebbe tra i suoi fondatori J. Huxley negli anni ’50, ha teorizzato una evoluzione dell’uomo post – umana, generata dal progresso tecnologico, finalizzata a sconfiggere le malattie, prolungare la vita umana, incrementare le capacità fisiche e cognitive dell’uomo.

Il transumanesimo assume successivamente negli USA una impronta individualistica e fu definito da Max More come “una classe di filosofie che cercano di guidarci verso una condizione post – umana”. Il progresso illimitato dovrebbe quindi abbattere i limiti naturali dell’uomo, per pervenire ad una condizione in cui verrebbero realizzate tante istanze umanistiche quali la sconfitta della povertà, della malattia, la fine delle guerre, dell’oppressione e l’avvento della giustizia sociale.

Il superamento della condizione umana verrebbe realizzato, secondo il transumanesimo, non attraverso l’evoluzione naturale, come teorizzato dal darwinismo, ma attraverso il progresso tecnologico, che sarebbe il fondamento della nuova condizione post – umana. Dal progresso tecnologico scaturirebbero nuove filosofie, scienze, dottrine politiche ed economiche.

Nel formulare tali teorie, si è però omesso di considerare che il progresso, quale motore dello sviluppo post – umano, non presuppone né una etica umanista, né tanto meno post – umana, che finalizzi le sue conquiste alla emancipazione di una umanità liberata dai mali che da sempre la affliggono. Come non scorgere allora nel transumanesimo una concezione che possa condurre al ritorno delle teorie eugenetiche? Dalla riproduzione dell’uomo su base tecnologica potrebbero scaturire specie non umane che sinistramente evocano la creazione di razze superiori: si può addirittura teorizzare l’avvento di epoche in cui l’uomo sulla terra non sia più la specie dominante.

Il progresso, quale ideologia a base illuministica, per svilupparsi necessita di una condizione di estraneità ai valori etici. Ma soprattutto, il transumanesimo, così come il gender, teorizza la creazione si un uomo artificiale, estraneo alla sua natura biologica. Presuppone una sovrapposizione della tecnologia alla dimensione naturale dell’uomo.

Le radici culturali del transumanesimo, così come del gender, sono rintracciabili nell’umanesimo, nell’illuminismo, nell’oltreuomo nietzschiano, nel futurismo. Tutte le culture che hanno teorizzato l’avvento dell’ “uomo nuovo”. Tale concezione ha però anche radici più recenti.

Si individua nell’ideologia gender infatti la riviviscenza dell’ “uomo nuovo” delle ideologie novecentesche, con i loro utopismi fallimentari, perché finalizzati alla fondazione di futuribili società estranee alla realtà storico – sociale dell’uomo. Di riflesso il capitalismo vuole costruire il suo “uomo nuovo”. Questo nuovo utopismo però ha finalità assai più minacciose: non vuole governare la società attraverso un totalitarismo di natura politica, ma vuole dominare l’umanità manipolando le origini della natura umana stessa, per renderla compatibile alla forma merce globalizzata.

Il ritorno del mito dell’androgino

Così come l’economia di mercato ha introdotto la società multiculturale e presuppone l’estrema pluralità delle scelte nel consumo, anche il gender vuole esaltare la libertà e la pluralità delle scelte individuali sull’essere della nostra vita.

Tuttavia, il falso pluralismo della società capitalista crea in realtà una società omologata nella produzione, nel consumo, nei costumi, nella cultura. Anche il gender determina una società che trasforma la diversità originaria degli esseri umani in uniformità.

Non essendoci differenze sessuali originarie, l’essere umano dovrebbe ritrovare una sua uniformità primigenia. Trattasi di uno sviluppo della reductio ad unum già teorizzata da Compte, quale esito dello sviluppo illimitato del progresso, della omologazione dell’intera umanità.

Ma anche in questo contesto, si possono rinvenire antichi antenati dell’ideologia gender nel mito dell’androgino. L’androgino è una figura presente nella mitologia classica e rappresenta la coincidentia oppositorum, cioè l’unione dei contrari.

Esso è descritto come un essere che presenta caratteristiche fisiche sia maschili che femminili, un essere cioè che rappresenta l’unità divina, l’essere unico originario e perfetto prima della separazione negli uomini. Tale mito è descritto da Platone nel “Simposio”. In tale dialogo, Aristofane fa menzione di questo terzo genere androgino, non figlio del Sole come gli uomini, né figlio della Terra come le donne, ma figlio della Luna, cioè con i caratteri di entrambi. Questi esseri erano autosufficienti, assai forti e vigorosi. Il loro orgoglio era immenso e tentarono la scalata al cielo per abbattere gli dei.

Zeus e gli altri dei li sconfissero ma non vollero ucciderli tutti per non rinunciare ai sacrifici offerti dagli umani. Zeus decise allora di far sopravvivere la specie umana, ma rendendo gli uomini più deboli per limitarne l’arroganza. Così li divise in due parti di cui una più debole.

Da tale separazione sarebbe derivata la differenziazione tra uomini e donne. Il mito dell’androgino esprime dunque nostalgia per una condizione di completezza e perfezione perduta dall’essere umano. La teoria gender postula questa unicità dell’essere umano originaria su basi scientifiche, differenziandosi però dalla mitica androginia in quanto non prevede un terzo genere che assommi in sé le caratteristiche dei due generi, ma una unicità indifferenziata derivata dalla scomparsa stessa dei generi differenziati. L’androgino è una mitologia che raffigura un essere pre – umano, il gender vuole realizzare una condizione post – umana.

In realtà il gender prevede non l’unità del genere ma la scomposizione dell’uomo stesso. In esso si realizza la frattura tra l’io e il suo corpo, in quanto l’io vuole sovrapporsi e alienare il suo corpo dalla sua condizione naturale predeterminata. Il gender dunque effettua una scomposizione dell’uomo al fine di realizzarne la sua ricomposizione creando perciò una nuova antropologia. Con l’ideologia gender l’uomo cessa di essere un valore in sé, così come l’umanità non costituisce il fine di sé stessa, perché la scomposizione tra l’io e il corpo ne distrugge l’unitarietà primaria. Il gender produce un uomo indifferenziato, manipolabile, quindi soggetto a finalità estranee a sé stesso. L’inalienabilità della vita umana prevista dai diritti dell’uomo viene in tal modo ad essere del tutto smentita.

L’eguaglianza non è uniformità

Dall’illuminismo in poi il principio di eguaglianza ha rappresentato il fondamento degli stati moderni. Tale principio ha subito rilevanti evoluzioni: all’eguaglianza formale dello stato liberale ha fatto seguito nel ‘900 il principio dell’eguaglianza sostanziale.

Mutamenti politico – sociali ne hanno modificato il contenuto, ma l’eguaglianza è oggi un principio ormai universalmente riconosciuto. La teoria gender viene alla luce dopo circa un secolo di lotte dei movimenti femministi per il riconoscimento dei diritti delle donne, così come negli ultimi decenni hanno preteso analogo riconoscimento gli omosessuali.

Il gender dunque rappresenterebbe una nuova fase della evoluzione del principio di eguaglianza: la negazione delle differenziazioni tra i sessi sarebbero derivate dai ruoli attribuiti dalla divisione del lavoro nell’ambito sociale. Pertanto, la divisione dei ruoli avrebbe determinato una struttura gerarchica della società, in cui gli uomini avrebbero assunto posizioni dominanti e le donne quelle subalterne. La scomparsa dei generi realizzerebbe dunque la completa eguaglianza tra gli esseri umani.

Occorre rilevare però, che il principio di eguaglianza ha sempre avuto natura emacipatoria, poiché presuppone il riconoscimento di pari dignità di soggetti individuali e collettivi subalterni disagiati, quali la classe operaia, le donne, ecc… rispetto ad altri privilegiati. L’emancipazione comporta l’abolizione dei privilegi perché lesivi del principio di eguaglianza.

Ma l’eguaglianza nei diritti postula la diversità tra gli individui, così come delle aggregazioni sociali e ha il fine di rimuovere le sperequazioni e le discriminazioni economiche, sociali, giuridiche, religiose, esistenti nella società. L’eguaglianza afferma la pari dignità degli uomini, non abroga le differenze naturali originarie, né la differenziazione dei ruoli esistenti tra le varie componenti della società.

Il gender non ha finalità emancipatorie, ma afferma l’uniformità del genere umano. L’eguaglianza può realizzarsi attraverso la parificazione tra soggetti diversi ma tra loro complementari, quindi implica la diversità, mentre l’uniformità determina un egualitarismo imposto che è realizzabile solo attraverso il disconoscimento forzato delle diversità originarie.

Il gender non rappresenta un momento evolutivo del progresso, ma semmai conduce ad una dimensione regressiva dell’essere umano. Esso si configura come una regressione dell’uomo al suo stato embrionale, allo stato della indifferenziazione sessuale.

Quindi, in tale ottica, la natura umana è ridotta allo stadio di materia prima informe, suscettibile di trasformazione. Con il gender si manifesta l’esito ultimo della modernità: quello del progresso che nega sé stesso. Il gender non inaugura l’era del post – umano, ma la regressione al pre – umano.

Discorso sulla natura umana

Con l’emergere dell’ideologia gender, si ripropone la antica problematica filosofica sulla natura umana. Esiste una natura umana? E come è definibile? Nell’esporre tale problematica facciamo riferimento al pensiero di Costanzo Preve.

La natura umana ha due fondamentali componenti: quella fisiologica e quella storica. Vi sono i biologisti, secondo i quali la natura umana consiste nella capacità di adattamento darwiniana ai processi evoluzionistici. Al contrario le correnti sociologiche considerano la natura umana una sorta di tabula rasa resa infinitamente plasmabile dalle situazioni storico – sociali che si susseguono nel tempo. E’ quest’ultima la teoria ereditata dalla ideologia gender, che conduce alla negazione della natura umana.

In essa si riflette la stessa logica del capitalismo, che rende l’uomo adattabile a tutte le condizioni determinate dal mercato e plasmabile ai bisogni indotti dal consumismo.

Il concetto di natura umana però, ha una componente ontologica e una assiologica. L’aspetto ontologico definisce la natura umana relativamente all’essere dell’uomo. L’aspetto assiologico invece definisce la natura simbolica dell’essere dell’uomo, onde affermare la dignità dell’uomo e dell’umanità come un valore in sé.

Preve si richiama ad Aristotele secondo il quale l’uomo è animale sociale, politico, comunitario. In base alla sua socialità originaria, sviluppata nella famiglia, nella tribù, nella polis, l’ideale dell’uomo è quello di realizzare la perfetta comunità di convivenza comunitaria, attraverso una buona legislazione, che rispetti la socialità naturale dell’uomo stesso.

Inoltre per Aristotele l’uomo è animale dotato di linguaggio, razionalità, capacità di calcolo. Infatti, mediante il “calcolo sociale” l’uomo costruisce la struttura della polis, al fine di edificare una comunità unitaria e stabile, conformemente alla sua natura di essere sociale.

Per quanto concerne il fondamento storico della natura umana, Preve fa riferimento al pensiero marxiano, al concetto di ente naturale generico, non specifico, perché la sua genericità consiste nel non essere determinato ad una unica “oggettivazione” sociale.

Infatti l’uomo si oggettivizza in strutture sociali storicamente determinate e derivate da altre strutture storicamente precedenti.

Questo processo storico di oggettivazioni storico – contingenti, è possibile in virtù della fondamentale natura dell’uomo quale ente naturale, generico, sociale.

La natura umana generica conduce alla trasformazione delle strutture sociali storicamente determinate, ma sempre nel contesto coerente di un processo unitario ed universale di emancipazione dell’umanità.

E’ pertanto la natura umana storica, sociale, razionale a conferire un valore ed una finalità in sé all’umanità e ad attribuirle un significato universale.

La radice individualistica del gender e la negazione della natura sociale dell’uomo conduce alla dissoluzione dell’uomo stesso. Il gender rappresenta l’esito finale della modernità in atto propria del capitalismo speculativo, i cui effetti erano già contenuti in potenza nelle sue premesse illuministiche, quali sue cause originarie. Sulla base delle precedenti considerazioni, possiamo definire il gender come fase finale di un’era post – umana già in atto, con l’avvento del capitalismo globalizzato, con l’estensione del marcato e della relativa forma merce su scala planetaria.

Il gender, ideologia peraltro presente nel solo Occidente del pianeta, non rappresenta né la dissoluzione della natura umana, né l’avvento di un’era post – umana, ma solo l’esito nichilistico di una modernità al crepuscolo, che nel suo processo dissolutorio, giunge a distruggere anche sé stessa.

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