Fonte: Il Corriere delle regioni

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20/06/2016

 

Dobbiamo oltrepassare il fiume del Nulla per ritrovare il senso della vita vera

di Francesco Lamendola

 

Il fiume del Nulla è il nichilismo oggi imperante nella cultura, il quale, nella vita pratica, si traduce in un relativismo radicale. Ognuno deve sentirsi libero di fare quel che gli pare, perché tutte le verità si equivalgono: non c’è alcuna verità oggettiva, superiore, ma solo sette miliardi di micro-verità, una per ciascun essere umano, anzi, a rigore, una per ciascun minuto di vita di ciascun essere umano (si veda la cosiddetta filosofia gender, in base alla quale ciascuno è libero di sentirsi maschile o femminile a seconda dell’umore del momento). E questa robaccia, questa spazzatura intellettuale, viene proclamata da mille e mille pulpiti – ahimè, anche della Chiesa cattolica, da parte di molti preti e vescovi, non tutti per fortuna – con il risultato che, a forza di essere ripetuta, ha acquistato l’autorità di una Verità definitiva. Singolare paradosso e palese contraddizione in termini: quella stessa cultura edonista che esalta il relativismo e il soggettivismo, pretende però che il Relativismo e il Soggettivismo assurgano al ruolo di Nuova Legge Universale, dunque di nuova Verità: la Verità della non-verità.

 

La “società liquida” in cui viviamo, così ben descritta da Zygmunt Bauman, ha reso liquidi anche il pensiero, l’etica, l’arte, tutto: il nuovo slogan rivoluzionario è: Abbasso le certezze; chiunque ardisca parlare di certezze, deve essere considerato alla stregua di un reazionario, di un nemico del progresso, di un agente provocatore, e punito in maniera esemplare. Infatti: anche il Parlamento italiano, adesso, ha approvato la legge contro il negazionismo, che prevede il carcere per chi nega l’Olocausto (o magari nega alcune modalità e alcune cifre di esso). E questo mentre chiunque può insultare pubblicamente Dio, specialmente quello cristiano, irridere la Verità, sbeffeggiare la morale, ridicolizzare i genitori, la famiglia, la patria e ogni altra più augusta tradizione. Seguirà a breve la legge contro “l’omofobia”, che potrebbe considerare reato anche solo il dichiarare che i matrimoni omosessuali sono qualcosa di profondamente sbagliato, o, magari, anche solo domandare a un bambino che mestiere facciano il papà e la mamma: perché ciò potrebbe suonare come irrispettoso verso le famiglie “arcobaleno”, formate da due papà o da due mamme. Insomma: nessuno può fare le sue deduzioni sulle performance, non solo artistiche, ma anche ideologiche, di un Elton John, felicemente sposato con un marito (vietato chiedere: e lui cos’è: la moglie?), perché sarebbe una forma di omofobia; però gli omosessuali militanti, ad esempio durante i raduni del Gay Pride, hanno tutto il diritto di sbeffeggiare, insozzare  e profanare ciò che di più sacro hanno la maggior parte degli esseri umani: l’amore coniugale fra uomo e donna, il senso della famiglia (quella vera), la castità, il pudore, la riservatezza come stile di vita e come messaggio educativo per i giovani. C’è libertà di espressione, ma solo a senso unico: per le minoranze aggressive, sostenute da parlamentari compiacenti e demagoghi, sempre a caccia di una facile popolarità; e anche, duole dirlo, da preti indegni e infedeli, e persino da un certo numero di vescovi, preoccupati più di piacere al mondo che di piacere a Dio, che è la Verità.

 

In tutta questa liquidità, colpisce la disinvoltura con cui le persone, e gli intellettuali prima di tutti, traghettano allegramente da una posizione all’altra, a seconda di come soffia il vento. E vada per quei filosofi o per quegli scrittori o per quegli artisti che hanno fatto del relativismo, del soggettivismo e del nichilismo la loro bandiera; ma che dire per quei teologi, per quei sacerdoti, e anche per quegli uomini politici, i quali si richiamano a un principio di verità non negoziabile, non modificabile, non edulcorabile, perché fondato su una concezione assoluta del reale? Prendiamo il caso dei teologi: si confronti un qualsiasi trattato di teologia anteriore al Concilio Vaticano II, ed uno posteriore. Si avrà l’impressione che non si tratti della stessa religione, dello stesso cristianesimo, dello stesso cattolicesimo: che ne sia nato un secondo, ben diverso dal precedente, e che ha dichiarato lecite e perfino buone molte delle cose che, prima, erano condannate come cattive, molte idee che erano considerate azzardate o imprudenti, molte scelte di vita che erano qualificate come sbagliate, immorali, perniciose. Chi aveva ragione, dunque: i teologi della “vecchia scuola”, o i nuovi? Ebbene, davanti a questi dati di fatto evidenti, e alquanto sconcertanti, molti teologi, scrittori, giornalisti d’ispirazione cristiana, molti membri del clero e pressoché tutti gli insegnanti di religione cattolica, pretendono di persuaderci che non vi è stata alcuna rottura, ma una sostanziale continuità; e che, se rottura c’è stata, si è trattato di un qualcosa di fausto e di gioioso, che ha fatto cadere vecchie preclusioni e incomprensioni e spianato la strada al “dialogo” con l’altro, con il seguace di altre religioni, con l’ateo, con il laico, in un grande abbraccio di amore, stima e comprensione, sulla base dei “diritti umani” irrinunciabili.

 

Quale mancanza di coerenza, quale mancanza di decenza intellettuale. Lo dicano, quei signori,  che è cambiato tutto: che hanno voluto cambiare tutto; che ciò ch’era vero, giusto e santo, fino al 1965, poi ha cessato di esserlo, e che ciò che era falso, è diventato vero. Lo dicano che aveva ragione Lutero; che l’Islam è una religione che vale tanto quanto il Cristianesimo; che con qualunque credo si può arrivare alla salvezza; che il concetto di peccato è relativo, che il vero peccato è rinunciare ai propri desideri e ai propri appetiti, anche i più disordinati, anche i meno edificanti; lo dicano che non è il caso di dedicare tanto spazio alla preghiera e alla correzione di se stessi, ma che l’importante è agire nel sociale, cambiare il mondo materialmente, abbattere i governi ingiusti, dare lavoro e leggi avanzate agli uomini (dove per “avanzate” si intende che consentano l’aborto, la droga, l’eutanasia, le unioni omosessuali, e, possibilmente, anche la pedofilia); e rinnovare la Chiesa: dove per “rinnovare” s’intende concedere il diaconato permanente alle donne, e, domani, anche il sacerdozio femminile (a quando un vescovo donna, un cardinale donna e un papa donna?; e a quando le “quote rosa” nelle relative elezioni e nei conclavi?), la comunione ai divorziati, il culto cattolico senza santi e Madonne, la santa Messa con i burattini e con i monsignori che vanno in giro per la chiesa in sella alle loro biciclette, o i preti che spruzzano allegramente l’acqua santa sui fedeli con delle pistole giocattolo… Perché il cristianesimo è la religione della gioia, non è vero? Per quasi duemila anni, i preti cattivi e oscurantisti e i papi reazionari ne hanno fatto la religione della paura e della tristezza; ma adesso sono arrivate le meraviglie dell’era Bergoglio, e le parola d’ordine sono: Bisogna essere gioiosi! Essere misericordiosi! Essere accoglienti!

 

Ma chi bisogna accogliere, per esempio? Domanda sciocca: ma tutti, naturalmente! E specialmente gli islamici, i radicali, gli atei, e tutti quanti detestano la Chiesa e vorrebbero vedere spazzato via dalla società anche quel poco, quel pochissimo di realmente cristiano, che ancora vi è rimasto. Alla faccia della coerenza. Sono gli stessi teologi, gli stessi preti, gli stessi gesuiti, i quali, meno di due generazioni fa, parlavano, scrivevano ed agivano in tutt’altro modo; che si ergevano a cani da guardia della più rigida ortodossia; che erano capaci di negare le esequie cristiane a un suicida, e che non ammettevano né un romanzo un po’ spinto, né la musica pop, né una pur timida minigonna: tutti, adesso, l’uno più progressista dell’altro, l’uno più “liberale” e “tollerante” dell’altro, a gareggiare nell’ecumenismo, nel laicismo, nel secolarismo, per vedere chi si spinge più lontano, chi arriva ad infrangere l’ultimo tabù. Nondimeno, la loro faccia di bronzo è imperturbabile: no, loro non sono cambiati affatto, hanno “solo” adottato uno stile più giovane, un approccio più dinamico e più rispettoso delle differenze altrui (ma non delle proprie). Sarà per questo che papa Francesco, di ritorno dall’isola di Lesbo, ove ha lanciato un messaggio disastroso a tutti i futuri migranti/invasori: Venite pure, che noi vi accoglieremo, perché ne abbiamo l’obbligo morale!, si è portato a casa tre famiglie di musulmani, e nemmeno un solo profugo cristiano? Eppure, c’erano anche quelli; ma – ha spiegato la Segreteria vaticana – “non avevano le carte in regola”. Come spiegazione ecumenica, francescana e misericordiosa, non c’è male davvero: da un papa così “misericordioso”, infatti, ci saremmo aspettati che andasse un poco al cuore delle cose, non che si fermasse alla lettera. Ma forse la verità è che i cristiani, nella sua mappa mentale, vengono comunque per ultimi.

La stessa faccia di bronzo la vediamo fra i politici. Anche qui, qualcosa è cambiato: un tempo erano rari i transfughi da un partito all’altro, nelle aule parlamentari; oggi, formano una percentuale impressionante, che è in continua crescita. Si passa da un partito all’altro, da un seggio parlamentare a un altro, con una disinvoltura che ha dell’incredibile: senza dignità, ma anche senza farsi alcun problema nel giustificare le proprie giravolte. Così fan tutti, che c’è di strano? Noi siamo coerenti con noi stessi, con la nostra coscienza, essi dicono. La loro coscienza: che parola grossa! Come barzelletta sarebbe quasi buona, se non fosse anche un pochino malinconica. Purtroppo, nessuno si vergogna più di niente, e il pessimo esempio viene proprio dalle classi dirigenti: dal direttore di banca, che resta attaccato alla poltrona anche dopo che il suo istituto si è mangiato allegramente i risparmi d’una vita di migliaia di clienti, al comandante della nave in procinto di affondare, che si mette in salvo prima dei passeggeri e dello stesso equipaggi. Il panorama, quanto mai sconfortante, è sempre lo stesso: mancanza di serietà, di dirittura morale, assoluta incapacità di assumersi le proprie responsabilità.

 

Tutte queste cattive abitudini, questi comportamenti mediocri, aggravati dalla mancanza di onestà intellettuale di negare l’evidenza, e cioè che si è venuti meno ai propri principî, ai propri valori, e – nel caso dei cristiani – anche al proprio Vangelo e alla propria fede, hanno ingrossato a dismisura il fiume del Nulla, che ha rotto gli argini e dilaga incontrastato per la vasta pianura, senza più trovare ostacoli alla propria marcia devastante. I cattivi maestri del nichilismo possono ritenersi pienamente soddisfatti: la loro dottrina è diventata il credo di centinaia di milioni di persone, gode delle simpatie di quasi tutti gl’intellettuali di prestigio, viene ammessa o magari proclamata nelle aule scolastiche e universitarie, e, in forma più ipocrita e strisciante, anche nei seminari e nelle facoltà teologiche. Risultato: tutta la vita familiare, sociale, spirituale, è divenuta precaria, provvisoria, fluida; le persone sono diventate inaffidabili, i sentimenti sono aleatori, gli impegni sono presi con riserva mentale, come dei mercenari: si fa quel che si fa, fino a quando se ne vedono la convenienza e il tornaconto, poi si molla tutto e buonanotte suonatori. Nulla è certo e definitivo, nulla viene assunto con il proponimento di andare sino in fondo, nulla sembra valer la pena di un impegno totale e incondizionato. Tutti provano e sperimentano, ma senza vera serietà: ciascuno tiene d’occhio l’orologio, il calendario, l’angolo più vicino, per sgattaiolare al momento buono; ma soprattutto il portafoglio è diventato la cosa più importante, non si dice e non si fa quel che è giusto, ma quello che dà il pane, anche se è un pane malguadagnato, anche se è il pane del servilismo e della piaggeria, dell’auto-mortificazione e dell’auto-umiliazione: un pane avvelenato, che una persona libera e fiera di sé dovrebbe gettare in faccia, con sdegno, a colui che gliel’ha offerto. Ma si direbbe che siamo ormai tutti in vendita: che la nostra dignità sia diventata una questione di prezzo. E almeno ci vendessimo con franchezza, con un minimo di sincerità: no, ci vendiamo con falsità e con ipocrisia, arrampicandoci sugli specchi per dimostrare l’indimostrabile, e cioè che siamo, e siamo sempre stati, perfettamente coerenti con noi stessi e del tutto leali con le persone che in noi avevano creduto, e che su di noi avevano fatto un qualche affidamento. Il che rende addirittura ripugnante un modo di fare che, di per sé, sarebbe “solamente” vile ed osceno.

 

Eppure, in un modo o nell’altro, noi dobbiamo attraversare questo fiume del Nulla, per giungere in una zona più respirabile, dove ci sia possibile ritrovare il senso della realtà, e, con essa, anche il vero significato della nostra vita. E dobbiamo attraversarlo da soli, al buio, immersi nell’acqua limacciosa e con la sola forza delle nostre braccia: non vi è alcun traghetto, alcuna imbarcazione che ci possano trasportare sull’altra riva. Dobbiamo nuotare, e affrontare una corrente molto forte: la corrente del conformismo intellettuale e morale, che ha già afferrato e trascinato a fondo parecchi di quelli che pensavano di poter riuscire facilmente nell’impresa. È un’impresa difficile, invece: talmente difficile, che saremmo tentati di disperare. Ma allora, sarebbe la fine: automaticamente entreremmo a far parte di quella genia di cattivi maestri che trasmettono scoraggiamento e fatalismo a tutti gli altri, dicendo che il mondo è questo e non c’è nulla da fare, si può solo seguire la corrente, che non è poi così male, perché è la corrente del Progresso. Su che cosa fondare la speranza, allora, visto che, parlando umanamente, si tratta di un’impresa quasi disperata? Su nessun argomento umano, appunto: umanamente, è finita. Ma c’è Qualcuno che può aiutarci, se davvero lo vogliamo...

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