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06/02/2016

 

Francesco e Kirill, una Santa Alleanza per il futuro dei cristiani e del mondo

di Vladimir Rozanskij

 

L’incontro fra il papa e il patriarca di Mosca era desiderato da Kirill da molto tempo. Atteso ai tempi di Giovanni Paolo II; sperato ai tempi di Benedetto XVI, si compie ora. Cattolici e ortodossi di fronte alle stesse sfide della persecuzione e del relativismo. Il freno del nazionalismo ortodosso, sostenuto da Putin. La crisi in Medio oriente e il rischio di isolamento della Russia spingono alla collaborazione.

 

La lunga attesa ha finalmente raggiunto il suo compimento: il 12 febbraio la Terza Roma si riconcilia con la Prima Roma, per salvare la Seconda, le Chiese perseguitate dell’Oriente. Il patriarca Kirill di Mosca ha voluto approfittare della visita del Papa Francesco in Messico, per segnare a Cuba un passo storico che non avrebbe in alcun caso lasciato a un suo successore. Divenuto patriarca della Chiesa Ortodossa Russa sette anni fa, Kirill (Gundjaev) si preparava a questo evento fin dagli anni Settanta dello scorso secolo. Da giovane monaco, e poi giovanissimo vescovo dell'ultima fase dell'era sovietica, era stato lanciato nel mondo della diplomazia politico-ecclesiastica dal suo mentore, quel metropolita Nikodim (Rotov) di Leningrado che aveva stupito il mondo presentandosi, unico vescovo ortodosso, all'apertura del Concilio Vaticano II. A lui si unirono poi gli altri rappresentanti dei vari patriarcati d'Oriente, per prendere parte a quella formidabile stagione ecumenica che ha visto i russi guidare il mondo cristiano a un nuovo livello di comprensione reciproca, nell'audacia dell'Ostpolitik che riuniva i nemici della Guerra Fredda. Quella fase si concluse, in un certo senso, con la morte di Nikodim il 3 settembre 1978 nelle braccia del papa Giovanni Paolo I, eletto da soli tre giorni e a sua volta scomparso pochi giorni dopo. Il trentenne Kirill era diventato vescovo l'anno precedente e accompagnò il metropolita in quell'ultimo viaggio, comprendendo bene la missione che gli veniva affidata dai misteriosi disegni divini: tornare a quell'incontro come protagonista di una nuova era per la cristianità.

Questo destino oggi si compie, nel momento in cui la Chiesa universale di Oriente e Occidente è posta di fronte a una prova decisiva: la grande offensiva del radicalismo islamico e delle altre forze del male, di fronte all'estrema secolarizzazione e alla perdita dell’identità del cristianesimo storico, richiede un nuovo inizio dell'annuncio evangelico, pena la definitiva emarginazione dei cristiani nelle catacombe del XXI secolo. Il patriarca di Mosca sente su di sé tutto il peso di questa sfida apocalittica e percepisce nella personalità non usuale del papa Francesco una tensione analoga, una volontà di rifondazione della fede perduta che urge nell'animo di chi lo Spirito Santo ha voluto mettere a presiedere le più grandi Chiese del mondo cristiano di oggi.

L'incontro tra i due capi della Prima e della Terza Roma era stato a un passo dall'essere realizzato quasi 20 anni fa, all'Assemblea delle Chiese Europee di Graz nel 1997, quando il patriarca Aleksij II aveva accettato di incontrare il Papa Giovanni Paolo II in terra austriaca. Il contesto storico era assai differente: la Chiesa Russa negli anni Novanta si trovava nell'imbarazzo di doversi liberare dal passato di collaborazionismo col defunto regime sovietico, e temeva il proselitismo diffuso delle Chiese occidentali e delle sètte sul proprio territorio. Il rifiuto al papa polacco segnò l'inizio di una nuova consapevolezza dell'Ortodossia russa, che non volle farsi ancella del papa trionfatore del comunismo, ponendo così le basi dell'orgoglio nazionalista ortodosso della Russia di Putin, sorta negli anni Duemila dalle ceneri della convulsa rivoluzione eltsiniana. Da allora il Patriarcato di Mosca ha ripetuto senza tentennamenti le sue rimostranze ai cattolici, colpevoli di proselitismo e uniatismo anti russo, e Kirill stesso si trasformò da fautore in primo oppositore dell'abbraccio all'Occidente, ergendosi a profeta della nuova Russia, unica salvezza di un mondo traviato e ormai privo dell'anima cristiana.

Eppure quando finalmente la parabola del giovane vescovo e metropolita di scuola sovietica, nel gennaio 2009, si concluse con l'agognata conquista del trono patriarcale, divenne evidente che, se mai tale incontro tra le due Rome fosse potuto avvenire, questo sarebbe stato solo con il patriarca Kirill. Del resto, ancora da metropolita e ministro degli Esteri della Chiesa russa, Kirill era venuto a Roma nel 2006 ad abbracciare il Papa Benedetto XVI, che da teologo e maestro di sapienza aveva fornito anche agli ortodossi gli argomenti della grande opposizione al relativismo contemporaneo. Con Ratzinger non si è potuto arrivare a un esito del processo di riavvicinamento, anche perché Kirill non voleva apparire discepolo di fronte a un Pontefice di così evidente superiorità teologico-politica, mentre con Bergoglio la Provvidenza non poteva fare migliore scelta: un papa non europeo, senza pretese dottrinali, di grande e aperta umiltà pastorale come Giovanni XXIII, l'amico di Nikodim, a capo di un cattolicesimo incerto e diviso sulle prospettive future. Il patriarca di Mosca, in terra amica di Cuba con il profumo del comunismo sovietico che emana dai sigari presidenziali, avrà buon gioco nell'apparire padrone della situazione, chiamando il Papa argentino, a sua volta figlio della religione popolare di quelle terre, e farsi alleato di una nuova rinascita cristiana universale.

Nelle dichiarazioni alla stampa esposte dal metropolita Ilarion, erede di Kirill alla diplomazia patriarcale, queste intenzioni escatologiche sono risuonate in modo inequivocabile: il Patriarcato di Mosca vuole che il 2016 sia l'anno della riscossa dei cristiani contro le persecuzioni in tutto il mondo, e per questo la Chiesa Russa - sono parole del metropolita - ha deciso di mettere tra parentesi le ragioni del dissidio con i cattolici, che pure rimangono intatte come la divisione degli uniati in Ucraina, per unirsi in difesa della fede in tutti i Paesi. Non va dimenticato che a giugno di quest'anno tutte le Chiese ortodosse si riuniranno a Creta, in un Concilio di valore epocale, in cui la Chiesa Russa sarà grande protagonista. La Terza Roma, prima di regolare i conti con la Seconda, si assicura i favori della Prima. Non mancano inoltre ottime ragioni di opportunità politica a fronte del perdurante conflitto ucraino, in cui il Patriarcato di Mosca ha tutto da perdere, e che non vuole lasciare in balia dell'estremismo nazionalista dello stesso Putin. A questo sono legate le condizioni della profonda crisi economica della Russia stessa, prostrata dai ribassi petroliferi e dalle sanzioni occidentali. Non c'è dubbio che lo stesso Putin, a sua volta recatosi di recente da papa Francesco, abbia grande bisogno di sponde occidentali per evitare di finire strangolato dall'abbraccio cinese e dall'irrilevanza economica. Tanto più che alla debolezza sui mercati fa da contraltare la pretesa egemonica della Russia in Medio Oriente, che a nessun costo vuole cedere all'America o all'Europa, o tanto meno all'odiata Turchia: è proprio in quelle terre che i russi si giocano il proprio futuro. La protezione dei cristiani in Siria e Iraq dalle mire dell'Isis fornisce la perfetta cornice della nuova Santa Alleanza con i cattolici, a loro volta desiderosi di trovare nelle periferie del mondo l'occasione per annunciare l'era di un nuovo cristianesimo, proprio nell'anno giubilare della Misericordia divina.

 

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