http://www.repubblica.it
06 novembre 2010

Nella Birmania che vota senza San Suu Kyi
di Raimondo Bultrini

Rangoon - La squadra di calcio di ritorno da un girone nel Sud Est asiatico ha già sullo scudetto i colori della nuova bandiera birmana. Giallo per la solidarietà, verde per la pace e rosso per il valore. Scendono dall'aereo con l'ultimo modello di I-Pad, comprato a Singapore, e solo dopo qualche domanda sul computer dicono che devono raggiungere le loro città e i villaggi dai quali vengono per andare a votare domani. 

Non sono i soli. Se non tutti i 30 milioni, una stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto non vede l'ora di andare all'urna. Anche se non sa ancora, come Aye Man, per chi voterà. Sono passati vent'anni dalle ultime elezioni, e andò a finire come tutti sanno. Aung San Suu Kyi e la sua Lega per la democrazia vinsero a man bassa, ma poco dopo il Parlamento venne sciolto e i dissidenti costretti a fuggire o a finire in una prigione come quelle descritte in orridi racconti dalle celle di Insein.
Molti giovani con l'età del voto come quelli del team di calcio non hanno mai partecipato a un'elezione, e quando il generalissimo che governa il Myanmar, Than Shwe, ha voluto un referendum sulla sua "Road map verso la democrazia", non ne avevano ancora diritto. Come allora, appena due anni fa, i giochi sono già fatti. Si capisce dai manifesti illuminati che incontriamo lungo le strade oscurate dalla mancanza di corrente elettrica. Sono i soli ad essere visibili. Hanno il simbolo del leone, la bandiera dell'Usda, (Associazione dell'Unione per la solidarietà e lo sviluppo) che è l'unico partito presente in tutte le circoscrizioni con 1100 uomini selezionati tra alti ufficiali in pensione o in congedo elettorale e i loro fedelissimi.

Meno evidenti, nella estrema discrezione degli spazi concessi ai 37 partiti contendenti di domani, (tre sono i principali gruppi dell'opposizione con meno di 350 candidati in tutto) sono i manifesti dell'altro grande schieramento che ha messo in campo ben 999 uomini, numero scaramantico per eccellenza tra i superstiziosi birmani. Non hanno speranza di vincere, ma potrebbero costituire paradossalmente una grossa spina nel fianco "a sinistra" del monolitico regime di Than Shwe. In campagna elettorale hanno perfino annunciato che si batteranno per una maggiore libertà di stampa. I tempi sono cambiati da quando il fondatore del NUP, il famigerato Ne Win, guidava un partito di nome socialista, ma spediva i carri armati e i soldati con i fucili automatici per sparare al mucchio degli studenti che nel 1988 chiedevano democrazia. Si dice addirittura che il Partito dell'Unità potrebbe stringere un'alleanza segreta con le minoranze dell'opposizione, Il National democratic Front, il più importante con 163 candidati in altrettante circoscrizioni (in tutto sono 1163, quasi lo stesso numero dei concorrenti del partito governativo),  che si è auto-staccato dalla Lega nazionale per la Democrazia quando una parte del movimento ha capito che The Lady, la Nobel per la Pace Aung San, non avrebbe mai accettato di andare a votare. Come infatti è successo. Loro invece ci tengono "ad esserci", e a cercare di spostare - ci dice uno dei leader - anche se poco l'asse monolitico del regime che lascia le divise e indossa il doppiopetto degli uomini d'affari.

La voce raccolta ad alti livelli del partito di governo, dice che l'uomo da lui designato a uno dei ruoli principe della nuova "Repubblica dell'Unione di Myanmar" è Thura Shwe Man, l'attuale numero tre del regime militare e dell'esercito. Il numero due Maung Aye, 73 anni, non ha voluto sentirne di lasciare la divisa da comandante in capo dell'esercito alla sua età. Ma il suo diretto superiore è deciso ad avere una carica importante e resa più che onorifica dal suo ruolo di duce di tutti i corpi della Difesa e di capo di Stato. Però i generali e i loro colleghi diventati civili per guidare il nuovo Parlamento e il governo, se ne stanno a Naypyidaw, la nuova capitale a 350 km da Rangoon. Li ci sono solo loro a competere, e non c'è rischio che un parlamentare dell'opposizione, anche se solo nell'Assemblea regionale, possa ficcare il naso nel territorio della "Nuova Myanmar".

Di tutto questo Rangoon sembra disinteressata. Sebbene ci sia fermento per il voto, i ritmi della città sono quelli di sempre, più indaffarati forse. La luce come sempre va e viene, le auto costano cifre esorbitanti anche se vecchie di quarant'anni come la benzina, i telefonini, e - per parlare delle esigenze del popolo - del riso. Come a Naypyidaw, in altre 100 circoscrizioni elettorali i governativi dell'Usda hanno già il risultato in tasca, poiché sono i soli a presentarsi. Ogni candidatura costa 500 dollari, lo stipendio di un anno di una famiglia relativamente benestante. Gli uffici elettorali sono principalmente nelle scuole, anche grazie ai tre giorni di festa, il Diwali induista e il week end. La gente discute nelle tradizionali sale da tè che sono poco più di chioschi con sedie di plastica e caraffe di tisane bollenti. Tutti sanno del resto che nessuna delle operazioni di facciata annunciate alla vigilia delle elezioni di domenica 7 per il nuovo Parlamento è destinata a trasformare la Terra delle Pagode né in una democrazia, né in un Paese "normale".

Trucchi palesi e occulti predisposti a tavolino dalla giunta militare hanno già azzoppato ai nastri di partenza i potenziali candidati dell'opposizione, a cominciare dalla leader della Lega nazionale per la democrazia Aung San Suu Kyi, che ha apertamente invitato i suoi seguaci a non votare. L'unica minaccia alle sorti di un copione già scritto, potrebbe venire dai numerosi gruppi separatisti che hanno annunciato proprio in queste ore l'inedito e rischioso passaggio da una fase di piccole guerriglie a una possibile guerra su larga scala. 

Sono 30 milioni gli elettori chiamati a nominare le Assemblee amministrative regionali e statali, oltre ai due rami del Parlamento nazionale, che avranno una quota fissa del 25 per cento di poltrone riservate ai militari. Non è la sola precauzione presa contro eventuali sorprese delle urne: i candidati pro-regime, di gran lunga i più numerosi, sono stati largamente dotati di risorse finanziarie e tecniche per accaparrarsi - secondo le previsioni - 1150 delle 1163 circoscrizioni, offrendo prestiti a tasso zero in cambio di voti, case popolari e riso. Il principale partito creato dal 77enne generale Than Shwe, da quasi vent'anni comandante supremo dell'esercito, è guidato dall'attuale primo ministro Thein Sein. 

L'opposizione, priva della sua leader storica agli arresti e degli altri membri del partito (tutti "pregiudicati", anche se per motivi politici), conta meno di 350 candidati, a loro volta divisi in tre gruppi principali, senza soldi e mezzi perfino per spostarsi in campagna elettorale. Tra questi la National democratic force, 163 persone in tutto, formata nella primavera scorsa da una costola della Lega di Aung San Suu Kyi, autosciolta in segno di protesta per la decisione "ingiusta e illiberale" di escludere i suoi leader dal voto. L'altro gruppo è il Democratic party, che si presenta con meno di 50 candidati in una ventina di circoscrizioni. Infine lo Shan nationalities democratic party, 156 persone in lista, deciso a battersi soprattutto per le poltrone delle Assemblee regionali.

Nessuno dei gruppi in lizza ha né le risorse dei tycoon favoriti dalla giunta, né la possibilità di aggirare leggi e regolamenti che limitano il numero di comizi (anche se in tv ognuno dei 37 partiti a rotazione ha avuto 15 minuti di discorso libero, per una media di due comizi a settimana), impongono tetti di spesa, o vietano l'uso di megafoni in strada e ogni aperta critica al regime. Nemmeno il carisma della Nobel per la Pace è ormai più sufficiente da solo a sopperire la totale assenza di un'organizzazione del dissenso a livello territoriale, dopo aver passato in isolamento 15 dei suoi ultimi 21 anni di vita. Il suo annuncio di astensione ("ognuno ha diritto a non votare", ha detto Suu Kyi), potrebbe addirittura costarle altri anni di detenzione, come previsto per chiunque inviterà a boicottare il voto. Teoricamente dovrebbe tornare libera il 13 novembre, appena sei giorni dopo la chiusura dei seggi, quando scadranno i ben calcolati termini dei nuovi arresti domiciliari.  

 

top