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il 2 set 2011

Erdogan sfida tutti. In primis l’Iran
di Riccardo Cristiano

E’ molto interessante notare come le televisioni siriana e di Hezbollah abbiano dato ampia copertura della decisione dell’Onu di criticare in modo abbastanza severo il raid israeliano contro Freedom Flotilla  (pur riconoscendo la legittimità del blocco navale imposto a Gaza) senza dire una parola sulla successiva decisione turca di richiamare l’ambasciatore a Tel Aviv ed espellere quello israeliano per via delle mancate scuse israeliane.

Il silenzio dei “duri e puri” anti-israliani è dovuto anche alla loro feroce polemica con la Turchia, che si è permessa di criticare aspramente Bashar al-Assad e la sua nauseante repressione delle manifestazioni popolari in Siria. Così il regime di Damasco e il fido alleato Hezbollah in questi giorni hanno definito Erdogan un “reggicoda di Israele”, un “servo dell’imperialismo americano”. Come potevano dare conto alle loro (sempre più ristrette) audience che il premier turco aveva preso una posizione così ferma nei confronti di Israele?

La questione palestinese si conferma ancora una volta “una carta”, che molti, e la Siria e Hezbollah in particolare, usano per affermare il loro “potere” politico e militare. Il padrone del vapore su cui Bashar e Hezbollah viaggiano, l’Iran, ha speso milioni di dollari per strappare dalle mani dei palestinesi il vessillo della loro causa e impossessarsene, anche e soprattutto con il terrorismo suicida. Ora Erdogan li sfida tutti, criticando il sì dell’Onu al blocco navale di Gaza e puntando chiaramente a conquistare lui il vessillo della causa palestinese, con una politica però che non lascia morti sul terreno.

La sfida di Erdogan sin qui è chiaramente giocata nel fronte “islamico” e la sua politica sembra proprio rappresentare la più grave minaccia per il fronte estremista guidato dall’Iran. Ora però Erdogan ha bisogno anche di dimostrare che sa ottenere risultati politici grazie all’interlocuzione che ha con l’Occidente quale membro della Nato. L’assemblea dell’Onu di metà settembre, con la discussione sul riconoscimento dello stato palestinese nei confini del 67, entra dunque a far parte della strategia turca. Staremo a vedere quali saranno le prossime mosse di Ankara.

Di certo Erdogan in tre giorni ha fatto tre passi importantissimi:

!) ha piegato i suoi generali, sottoponendoli al potere politico, mentre loro si consideravano al di sopra di esso.

2) ha restituito tutti i beni confiscati alle minoranze religiose riconosciute nel Paese, prima volta nei tempi recenti di un governo islamico che sa sanare ferite al riguardo dei diritti umani,

3) ha lanciato questa sfida diplomatica a Israele, chiedendo le scuse per i morti di Mavi Marmara.

Questo è il quadro, sapere cosa ne pensa l’Europa di tutto questo sarebbe interessante.

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