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15/07/2011

Freedom Flotilla, resta la certezza
Maria Elena Delia, tra i coordinatori del gruppo italiano, fa il punto della situazione

Un mese fa cominciava la grande migrazione di quella a cui abbiamo deciso di attribuire ufficiale dignità di "nuova specie" comparsa miracolosamente su questo pianeta, quella dei Freedom Riders, vale a dire quelle centinaia di entusiasti e determinatissimi attivisti, giornalisti e rappresentanti di varia politica internazionale pronti, senza riserva alcuna, ad imbarcarsi sulle navi della Freedom Flotilla. Verso Gaza.

Un mese fa, lo ricordo bene, cominciava quell'esodo che da ogni parte del mondo li avrebbe visti sciamare su suolo ellenico. E che li avrebbe visti, poi, dover tristemente ripartire senza nemmeno aver potuto tentare di raggiungere Gaza. Le barche bloccate dal governo greco, manus longa di Israele, impossibilitate a muoversi, inchiodate da un fermo del tutto illegale, ma inamovibile e difeso a spada tratta dalla maggior parte dei governi europei, e non solo.

Oggi, ad un mese di distanza, sono già in troppi a chiedersi, a chiederci che fine abbia fatto la Flotilla, perché nessuno ne stia più parlando come, invece, si dovrebbe fare considerando la gravità di quanto accaduto e, soprattutto, quali saranno i prossimi passi.

Le nostre barche sono ancora in Grecia, la Stefano Chiarini a Corfù, la Tahrir (Canada) e la Gernika (Spagna) a Creta, i due cargo e le altre navi passeggeri ferme al Pireo (fatta eccezione per la Saoirse, la barca irlandese che fu sabotata proprio nelle stesse ore in cui la greca Juliano subiva la stessa sorte e che è attualmente ferma in Turchia).

La Gernika e la Chiarini hanno ricevuto proprio in queste ultime ore il via-libera amministrativo a muoversi. Dopo un esasperante braccio di ferro con le autorità portuali, fino ad ora impegnatissime ad individuare improbabili e bizzarre irregolarità (che i nostri capitani hanno candidamente ammesso di non aver mai neppure sentito nominare in decenni di onorata carriera), pare che alcuni di noi abbiano ora il permesso di lasciare la Grecia. Verso ovest, naturalmente. Permesso, naturalmente, tutto da verificare.

Nel frattempo altri, meno fortunati, restano ancora prigionieri. L'Audacity of Hope, ad esempio, la barca statunitense che per prima aveva tentato di divincolarsi dal laccio greco per essere, ahimè, subito fermata, è da settimane sequestrata al Pireo senza che neppure le venga fornita energia elettrica per rendere sopportabile la vita di coloro che, ancora a bordo a proteggere l'imbarcazione e attendere eventuali sviluppi, vivono senza luce né refrigerio in un'Atene che da settimane ha superato i 40 gradi.

La Juliano, dopo aver riparato i danni riportati dal sabotaggio, ha potuto muoversi per brevi tratti, sempre in acque greche e sempre seguita fedelmente dalle imbarcazioni della guardia costiera greca, per doversi fermare infine ad Heraklion e vedersi ritirare la bandiera di navigazione dal Presidente della Sierra Leone in persona.

Che la Flotilla sia stata solo momentaneamente fermata e che si ripartirà non è solo una speranza, né un'ipotesi. E' una certezza. Che si dovranno identificare altri porti di partenza, anche. L'Europa, infatti, pare proprio non averci gradito. Mercoledì mattina alcuni rappresentanti del Coordinamento di Freedom Flotilla Italia sono stati invitati a partecipare ad uno strano incontro con Mikhail Kampanis, l'Ambasciatore Greco in Italia e con il suo Primo Consigliere. Il diplomatico non ha fatto alcun mistero di non aver per nulla apprezzato, come tutto il popolo greco del resto, la scelta del suo Paese e ha voluto condividere con noi un documento ufficiale interno in cui il governo greco dichiarava alle sue ambasciate che la Flotilla sarebbe stata fermata su "richiesta" non solo di Israele e Stati Uniti, ma anche di Francia, Italia e Turchia. 

Mai ci era capitato di sentire un diplomatico esprimersi in questo modo nei confronti del proprio Paese, diventato ormai l'unico capro espiatorio in un groviglio politico e legale della cui complessità non sarebbe credibile, né serio, considerare la Grecia unica responsabile. E crediamo fermamente che questo bizzarro invito di Kampanis abbia avuto proprio questo scopo, un moto d'orgoglio e di rabbia a ribadirci che, sì, forse il lavoro sporco è stato tutto greco, ma che il mondo sapesse che dietro le quinte c'erano ben altri attori, alcuni dei quali, confessiamo, sorprendenti. Che la Turchia, ad esempio, avrebbe addirittura fatto parte del quintetto dei principali boicottatori di questa missione ci ha molto sorpreso e sarà certamente oggetto delle nostre prossime analisi. 

Che la Francia, l'unica ad aver lasciato liberamente salpare dalle proprie coste una delle barche essendosi così guadagnata i nostri elogi e la nostra ammirazione, sia invece parte integrante dello stesso quintetto, è stata un'altra sorpresa. Ma la nostra perplessità è stata prontamente ridimensionata da Kampanis: nulla sarebbe stato più facile per il governo francese che lasciar partire la Dignitè dalla Corsica, garantendosi così la popolarità di un beau geste, sicuri che una volta arrivata in Grecia la barca non avrebbe fatto comunque molta strada.
E proprio la Dignitè è l'unico dei cuori pulsanti di questa Flotilla che potrebbe, forse, ancora soprendere. E sorprenderci.

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