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12 oct 2012

Polizia: “Incendi in moschea, abbiamo i responsabili ma non li toccheremo”
di Connie Hackbarth

Il comandante della polizia israeliana in Cisgiordania, il maggiore Amos Yaakov, in un’intervista al sito di informazione ebraico Walla!, ha detto che l’identità dei responsabili degli incendi in quattro moschee è nota ma che resteranno liberi. Aggiungendo che la maggior parte degli attacchi “Price tag” sono stati condotti da giovani che non vivono in Cisgiordania, che le organizzazioni di sinistra sono sotto stretta sorveglianza e gli attivisti internazionali sono ricercati per essere deportati. E che le polizie israeliana e palestinese “sono in ottimi rapporti”.

Abbiamo il DNA del responsabile dell’incendio, ma non è sufficiente alle indagini

“Sappiamo, in almeno quattro casi di incendi a moschee, che sono i responsabili. Abbiamo anche un riscontro di DNA in una scatola di fiammiferi trovata vicina ad una moschea incendiata. Ma non è abbastanza per procedere”.

Tale incredibile affermazione è stata fatta dal maggiore Amos Yaakov, comandante della polizia israeliana in Cisgiordania. Insieme al Servizi di Sicurezza Generali (GSS), la polizia è responsabile “per la lotta contro i crimini ideologici ebrei nei territori”, spiega Yaakov.

Quando il giornalista di Walla! ha chiesto cosa accade quando si trova il DNA di un colpevole ma il sospetto resta libero, Yaakov ha risposto che “in tutti gli altri distretti del Paese, quando si verifica un fatto criminale, la polizia arriva subito sulla scena. Qui in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr), non posso raggiungere liberamente la scena del delitto se si trova in area A o B. A volte c’è bisogno di aspettare una scorta militare e in genere i palestinesi creano disordini all’entrata. E mentre raggiungiamo la scena e le prove, hanno già ripulito l’area. I combattenti palestinesi hanno pulito tutto e non ci sono più prove da raccogliere”.

Yaakov accusa i palestinesi? “Non li biasimo – chiarisce – Il nostro lavoro di poliziotti è catturare i criminali, ma perché il procuratore possa aprire un fascicolo e la corte giungere alla sentenza, c’è bisogno di prove. E per raccoglierle è necessario arrivare sul luogo del crimine”.

Yaakov ha poi spiegato che nel caso della moschea data alle fiamme nel villaggio di Jaba, a Ramallah, lo scorso giugno, la polizia ha trovato una scatola di fiammiferi con il DNA di un sospetto israeliano, un 15enne della città di Netanya. Il giovane è stato arrestato ma rilasciato dopo qualche giorno, così come altri sospetti.

Alla domanda su cosa possa essere fatto per perseguire un indiziato, Yaakov ha risposto che “durante l’interrogatorio, controlli il comportamento del sospetto. È folle. Ci sono sospetti che giungono molto preparati, con la direttiva di non parlare durante l’interrogatorio. Ragazzi di 14, 15 anni, ma anche di 12, resistono agli interrogatori, con tutte le tattiche del caso, e per giorni interni non dicono una parola. In questi casi, non c’è niente da fare”.

Yaakov ha attribuito il declino dello scorso anno del numero di attacchi “price tag” alla decisione di incrementare le forze di sicurezza e ai circa 40 ordini amministrativi restrittivi contro attivisti di destra, a cui viene impedito ora di entrare in Cisgiordania.
 

I responsabili degli attacchi non vivono nelle colonie

Alla domanda su chi siano i responsabili delle aggressioni contro palestinesi, Yaakov risponde: “La maggior parte di coloro che perpetrano tali crimini non vivono in Giudea e Samaria. Molti di loro vengono dal centro di Israele, da Beit Shemesh o Safed. Sono giovani, tra i 12 anni – come quello catturato a Bat Ayn – e i 23. Abbiamo anche arrestato bambini di otto e dieci anni nell’insediamento di Ramat Migron, che pensavano di essere in una specie di campo estivo”.

Yaakov aggiunge: “Sono persone che conoscono la zona molto bene. Alcuni di loro sono ex soldati e sanno come condurre ispezioni e entrare nel territorio. Arrivano senza telefoni cellulari e quando vengono arrestati non parlano, nemmeno dopo due settimane di detenzione. Sono persone di esperienza che sanno quello che vogliono, sono ben istruiti e non hanno paura”.

Yaakov ammette che qualcuno assiste i criminali, aiutandoli a resistere agli interrogatori, ma non crede che ci sia qualcuno che manovri gli attacchi. “Penso che ci siano organizzazioni e gruppi che decidono ad un dato momento di entrare in azione nella notte. Non vedo una sorta di piramide. Ci sono diversi gruppi locali che agiscono in risposta al conflitto esistente nell’area”.
 

La sinistra sotto sorveglianza, deportazione per gli anarchici internazionali

Yaakov aggiunge poi che “i conflitti (in Cisgiordania) sono causati da anarchici e attivisti di sinistra, senza i quali i palestinesi non uscirebbero nemmeno di casa. Li forzano ad uscire. Sono noti provocatori, ma è difficile mettergli le mani addosso perché camminano nella sottile linea tra il crimine e la legalità”.

Ecco la nota mentalità israeliana che non concepisce i palestinesi come attivi e politicizzati, ma come semplici pedine nelle mani di “piantagrane” israeliani e internazionali.

Yaakov spiega che negli ultimi mesi è sostanzialmente aumentata la sorveglianza su attivisti di sinistra. Un ufficio speciale si sta occupando di uniformare il lavoro dei vari corpi, dall’esercito all’Amministrazione Civile fino al Ministero dell’Interno.

Molto spesso i target sono gli internazionali. “Affrontiamo vis-à-vis i manifestanti che giungono a Nabi Saleh, nelle colline a Sud di Hebron e a Qadumim, così come abbiamo identificato gli attivisti e gli anarchici come coloro che gettano benzina sul fuoco. Oggi, un anarchico straniero è stato catturato ed espulso e negli scorsi due mesi ne abbiamo presi a decine. È un deterrente. L’opinione pubblica e i media si concentrano solo sui crimini in Cisgiordania, senza indagare chi è che li provoca. Appena due settimane fa attivisti di sinistra e palestinesi sono arrivati vicino alla colonia di Havat Ma’on, a Sud di Hebron, e hanno affrontato i residenti. Persone mascherate sono uscite dall’insediamento e hanno tirato pietre contro i manifestanti. Li abbiamo arrestati”.

Chi hanno arrestato? Gli attivisti che sono stati aggrediti dai coloni.
 

Dialogo con i coloni, non violenza

Yaakov è soddisfatto per il modo in cui è stato evacuato l’insediamento di Ulpana e prima ancora quello di Migron. “Va dato atto ai leader degli insediamenti dell’aiuto fornito. Senza di loro non sarebbe stato possibile. I miei superiori ed io abbiamo buoni rapporti con loro. L’unica questione è come procedere senza danneggiare le due parti”.

Yaakov è stato attivo nell’evacuazione del 2006 dell’insediamento di Amona, in Cisgiordania, durante la quale 300 tra soldati, coloni e poliziotti sono rimasti feriti. Un’inchiesta del Parlamento israeliano sull’incidente ha riconosciuto le forze di sicurezza colpevoli di eccessivo uso della forza.

“Non avevo pianificato l’evacuazione di Amona in quel modo – spiega Yaakov – ma se dovesse ricapitare, ora so come agire agito correttamente. Oggi, non esiste la possibilità che evacui una colonia con la polizia a cavallo o i cannoni d’acqua. Ci sarà sempre dialogo con i residenti e nessuna possibilità di usare la violenza”.
 

“Rapporti eccellenti con la polizia palestinese”

“Compiere un’indagine qui (in Cisgiordania) è molto più difficile che altrove – spiega Yaakov – ma al di là di ciò, si tratta di un’area normale dove si verificano crimini come in qualsiasi altra zona”. E aggiunge: “Grazie all’eccellente rapporto con la polizia palestinese, abbiamo risolto casi importanti”, senza aggiungere dettagli. Yaakov tuttavia chiarisce che “non c’è possibilità di avere successo qui senza la collaborazione tra esercito, servizi di sicurezza, Amministrazione Civile e leader dei coloni”. Come la polizia palestinese entri in tale equazione non è chiaro.
 

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