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martedì 17 luglio 2012 10:26

Che cosa sta davvero avvenendo in Israele?
di Stephen M. Walt*
traduzione di Stefania Fusero

Gli "amici" acritici di Israele hanno contribuito a gettare via autentiche opportunità di pace, a rafforzare gli estremisti e a prolungare il conflitto.

Roma, 17 luglio 2012, Nena News - Uno dei miti più duraturi nel perenne dibattito sul conflitto israelo-palestinese è la pretesa che Israele sia sempre stata interessata ad una pace giusta ed equa e che l'unico ostacolo ad un accordo sia il fatto che i Palestinesi perseguano invece la distruzione di Israele. Questa teoria è stata incessantemente riciclata dalla diplomazia israeliana e dai difensori di Israele negli USA e altrove.

Naturalmente, gli analisti imparziali del conflitto sanno da tempo che questa perniciosa narrazione è inventata. Sapevano che l'ex Primo Ministro Yitzhak Rabin (che firmò gli Accordi di Oslo) non aveva mai favorito la creazione di uno stato palestinese effettivo (anzi, aveva esplicitamente dichiarato che una futura entità palestinese sarebbe stata "meno di uno Stato"). A prescindere dagli errori dei Palestinesi, essi capivano anche che le offerte fatte dal Primo Ministro Ehud Barak a Camp David nel 2000 - per quanto più generose di quelle dei predecessori - non si avvicinavano certo alla vera soluzione di Due Stati. Però l'idea che Israele fosse alla ricerca di pace più di ogni altra cosa ma che non trovasse un autentico "partner per la pace" è rimasta una "spiegazione" persistente del fallimento di Oslo.

Nelle ultime settimane, tuttavia, il velo è caduto quasi completamente. Se si vuole capire che cosa stia davvero avvenendo, ecco alcune cose che si devono leggere.

Si inizi con l'articolo di apertura di Akiva Eldar su The National Interest, intitolato "La Nuova Politica Israeliana e il Destino della Palestina." Eldar è il principale opinionista del quotidiano israeliano Ha'aretz, e il suo articolo fornisce un succinto rendiconto del motivo per cui la visione dei Due Stati sia quanto meno tenuta in vita artificialmente e difficilmente possa essere risuscitata. Citazione capitale:



"La leadership palestinese già nel 1988 aveva preso la decisione strategica di favorire la soluzione dei Due Stati, presentata nella dichiarazione di Algeri del Consiglio Nazionale Palestinese. La Lega Araba, da parte sua, aveva votato a favore di un'iniziativa di pace per riconoscere lo Stato di Israele e stabilire le modalità di un accordo globale sul Medio Oriente. Nel frattempo diversi organismi della comunità internazionale ribadivano formalmente la loro politica di partizione territoriale. Però Israele, che ha firmato gli Accordi di Oslo quasi 2 decenni fa, si sta muovendo in ben altra direzione."

Eldar prosegue descrivendo in dettaglio le tendenze demografiche e politiche che hanno reso la soluzione dei Due Stati una prospettiva sempre più remota, erodendo al contempo la democrazia israeliana e andando nella direzione sempre più accentuata della "separazione." Eldar evita il termine politicamente insidioso di apartheid, ma ecco come descrive la realtà corrente:



"Per esercitare il controllo del territorio senza rinunciare alla propria identità ebraica, Israele ha adottato varie politiche di "separazione". Esso ha sistemi legali separati per i territori originariamente israeliani e per quelli che occupa; divide gli abitanti dei Territori Occupati secondo l'origine etnica; ha mantenuto il controllo delle terre occupate sottraendosi alle responsabilità della popolazione che lì vive; e ha creato una distinzione di concetto fra i propri principi democratici e le effettive pratiche nei Territori Occupati. Questi distinguo hanno permesso ad Israele di mantenere l'occupazione da 45 anni conservando allo stesso tempo la propria identità e il proprio ruolo internazionale. Nessun altro Stato nel ventesimo secolo è riuscito a passarla liscia così, ma se ha funzionato per Israele, esso non è certo incentivato a cambiare."

Funziona, naturalmente, perchè la lobby israeliana rende virtualmente impossibile che i leader statunitensi esercitino alcuna significativa pressione su Israele affinché cambi le sue pratiche, che in gran parte sono ormai antitetiche ai valori fondanti degli USA.

Per capire ciò di cui parla Eldar, si dia uno sguardo alla rubrica del 20 giugno scorso sul Jerusalem Post a firma di Michael Freund, già assistente di Netanyahu, intitolata "Dite addio alla Linea Verde". A differenza del requiem di Eldar sulla fine della visione dei Due Stati, l'articolo di Freund rivendica con orgoglio che il progetto dei coloni è riuscito a trasformare la "grande Israele" in una realtà definitiva. Nelle sue parole "la Linea Verde (i confini del 1967) è morta e sepolta. non ha più alcuna rilevanza, politica od altro." E fornisce agli oppositori un consiglio sulla "Giudea e Samaria": "fareste meglio ad abituarvi, perché gli Ebrei sono destinati a restarci." Questa non è la dichiarazione fanatica di qualche colono estremista, a proposito, ma un'indicazione rivelatrice di un modo di vedere sempre più maggioritario.

Quindi, per vedere le conseguenze pratiche di questi sviluppi, si veda l'articolo di Nir Hasson su come gli abitanti di Gerusalemme Est (illegalmente annessa da Israele dopo la guerra del 1967) debbano fare i conti con forniture idriche sempre meno affidabili. Infine si ascolti o si legga il servizio della reporter Lourdes Garcia-Navarro di NPR (National Public Radio, n.d.t.) sul rilevante aumento delle demolizioni di case a Gerusalemme Est nel corso dello scorso anno, che hanno comportato la perdita di un tetto per circa 1.100 persone - metà delle quali bambini. I funzionari israeliani affermano che ciò non è che la risposta appropriata alle costruzioni "illegali", ma come documentato da una recente relazione dell'ONU, oltre il 90% delle richieste di permessi edilizi presentate da Palestinesi vengono respinte, mentre Israele continua a costruire complessi residenziali per Ebrei in varie zone di Gerusalemme Est.

Ciò che si sta verificando, in breve, è una pulizia etnica a bassa velocità. Invece di cacciare i Palestinesi con la forza, come era stato fatto nel 1948 e nel 1967, l'obiettivo è semplicemente quello di rendere la loro vita sempre meno sostenibile, così che lascino gradualmente le proprie terre ancestrali volontariamente.

E per concludere, non perdetevi il recente rapporto della Commissione Levy - clicca qui per leggerlo. (un buon modo di iniziare è leggere il riassunto di Matt Duss). Questa commissione, nominata dal Primo Ministro Netanyahu, ha concluso che la presenza di Israele in Cisgiordania non è una vera "occupazione", e che perciò la quarta Convenzione di Ginevra riguardante la protezione della popolazione locale non si applica. Essa non vede alcun ostacolo legale nel trasferimento nei Territori da parte di Israele di tutti i cittadini che vuole, e pertanto raccomanda al governo di autorizzare retroattivamente dozzine di insediamenti illegali. Non importa se nessun altro Paese al mondo- USA inclusi- concordi con questa dubbia interpretazione legale, né tanto meno siano d'accordo l'ONU o qualsiasi altro organismo giuridico riconosciuto al di fuori di Israele.

E' superfluo dire che chiunque abbia visitato la Cisgiordania e abbia visto la matrice di controllo che vi è stata imposta capirà immediatamente che i membri della Commissione si stavano fumando qualcosa, e persino un convinto difensore di Israele quale Jeffrey Goldberg ha avuto problemi con l'impostazione argomentativa alla Alice nel Paese delle Meraviglie della Commissione. Un vasto schieramento di commentatori (compreso il membro del consiglio di redazione del New York Times, già ambasciatore USA in Israele, Daniel Kurtzer) ha già denunciato simili dichiarazioni, seppure in un modo tipicamente condizionato. Ad esempio il New YorkTimes "esprime la speranza" che il Segretario di Stato Hillary Clinton "faccia capire chiaramente le preoccupazioni degli USA" nel corso della visita di questo mese in Israele. Come se questo servisse a qualcosa ormai.

Il velo è scivolato molto tempo fa, ed ora è quasi completamente strappato. Ma una volta compreso ciò che davvero sta accadendo qui, bisogna ripensare completamente le proprie idee su chi sia davvero amico di Israele e chi ne minacci invece il futuro. Non è detto che i veri amici di Israele gli siano emotivamente devoti, perchè essi sono quelli che comprendono che l'impresa delle colonie è stata disastrosa e che sarà soltanto un'azione ispirata a sani principi concertata fra USA, Unione Europea ed altri che potrà evitare la futura catastrofe che appare all'orizzonte. Essi sono coloro che comprendono che sono le azioni di Israele in Libano, a Gaza, in Cisgiordania, a Dubai, in Iran, che stanno lentamente dilapidando la legittimazione e il sostegno di cui esso godeva un tempo, compreso il sostegno della diaspora. Quando Israele finisce a pari con la Corea del Nord (!) in un sondaggio del 2012 della BBC su quali Paesi abbiano l'influenza globale più negativa (immediatamente prima dell'Iran e del Pakistan), si capisce che c'è un problema. I veri amici sono da ricercare inoltre fra coloro che temono che la condotta di Israele e le tattiche calunniose usate da alcuni dei suoi sostenitori non abbiano posto nella vita politica USA, e possano fargli perdere alla fine il tradizionale sostegno degli USA.

Al contrario, i più accesi sostenitori di Israele (e quelli fra due fuochi che vengono da loro intimiditi) sono coloro la cui visione miope ha permesso all'occupazione di continuare e anzi di intensificarsi nel tempo. La loro acritica devozione ha contribuito a gettare via autentiche opportunità di pace, ha rafforzato gli estremisti di entrambe le parti e ha prolungato un lungo feroce conflitto. La domanda che dobbiamo porci è semplice: Dove credono si stia andando in questo modo?

E lo stesso principio si applica agli interessi e alla politica degli USA. Dato lo "speciale rapporto" che al momento lega USA e Israele, la reputazione degli USA nella regione e nel mondo è inevitabilmente infangata finché Israele persiste nelle posizioni descritte dai succitati articoli. Questa situazione costringe i leader USA ad adottare posizioni contorte e ipocrite sui diritti umani, la non-proliferazione, la promozione della democrazia, e la legittimità della forza militare. Essa fa apparire i leader USA impotenti ogniqualvolta ripetono che le azioni di Israele sono "deplorevoli" o rappresentano "un ostacolo alla pace", ma poi non fanno nulla a riguardo. Essa costringe i politici di entrambi i partiti a dedicare un'attenzione esorbitante ad un unico piccolo Paese, trascurandone così molti altri. Quel che è peggio, la politica degli Usa finisce con l'indebolire le persone ragionevoli in Israele e nel mondo arabo -Palestinesi moderati compresi - cioè coloro che sono più genuinamente interessati ad una soluzione e alla coesistenza pacifica fra i popoli della regione. Invece noi diamo una mano, inconsapevolmente, ai vari estremisti che si rafforzano per la prolungata impasse e per l'odio seminato. Se questa pratica bipartisan non è la politica più dissennata nella storia della politica estera degli USA, essa di sicuro vi si avvicina. Nena News



* già professore di Affari Internazionali alle Università di Harvard, di Princeton e di Chicago, lavora attualmente al Belfer Center for Science and International Affairs e collabora a Foreign Policy, Security Studies, International Relations, Journal of Cold War Studies, e Cornell Studies in Security Affairs. Ha pubblicato lo scorso 12 luglio su Foreign Policy "What's going on in Israel?", un documentato articolo in cui svela la natura della politica israeliana al di là dei miti narrativi ricorrenti.

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