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7/9/2013

La morte lenta, un rapporto internazionale sulla grave crisi umanitaria della Striscia di Gaza

Ginevra-InfoPal. Un rapporto pubblicato da un organizzazione europea che si occupa di diritti umani ha avvertito da un collasso imminente che minaccia la popolazione della Striscia di Gaza “a causa della durezza dell’assedio che ha raggiunto livelli senza precedenti”. Specialmnte dopo la demolizione dei tunnel sotterranei impiegati per introdurre generi di prima necessità a Gaza, per affrontare l’assedio israeliano imposto da quasi sette anni.

La morte lenta. È il titolo del rapporto pubblicato dall’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i Diritti Umani di Ginevra, che monitora “le cupe ombre di una punizione collettiva israeliana che perdura da sette anni e soffoca circa 1,6 milioni di palestinesi, per lo più profughi, che vivono nella Striscia di Gaza. Oltre agli effetti devastanti, sulla vita degli abitanti, dell’interruzione di forniture di prodotti alimentari e carburante attraverso i tunnel che collegavano la Striscia di Gaza al territorio egiziano”.

Il rapporto dettagliato, pubblicato giovedì 5 settembre, sulla cui preparazione hanno partecipato il Centro di Ritorno di Londra e il Consiglio consultivo delle istituzioni della Malesia, Mapim, sottolinea che dati dell’Onu, pubblicati prima di luglio 2013, rivelano che il 57 per cento della popolazione di Gaza non è in grado di garantirsi la sicurezza alimentare. Mentre, se la campagna contro i tunnel, lanciata dalle autorità egiziane, dovesse perdurare, la percentuale potrebbe salire ad uno spaventoso 65 per cento. Inoltre, il rapporto spiega che il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 35,5 % a fine agosto e volerà al 43 per cento entro la fine dell’anno, registrando un record mondiale in un’area sprovvista di risorse proprie .

L’edilizia. Il rapporto prevede che il crollo di questo settore nella Striscia di Gaza, iniziato a luglio scorso, continuerà a causa della mancanza di materiali da costruzione che prima entravano attraverso i tunnel, in aggiunta alle condizioni proibitive imposte dalle autorità israeliane sulla loro introduzione attraverso il valico di Karm Abu Salem. Le stime indicano che in data odierna, questo settore impiega meno del 15 per cento della sua potenzialità, con 30 mila posti di lavoro persi in due mesi. Mentre dall’altra sponda, quella dei palestinesi in cerca di alloggio, 12 mila ne rimangono sprovvisti a causa dell’impossibilità di ricostruire le case distrutte nelle ultime due guerre contro Gaza.

In quello che ha definito “i dieci fatti sull’assedio contro Gaza dopo la demolizione dei tunnel”, il rapporto ha stimato in 460 milioni di dollari le perdite subite dagli abitanti di Gaza, in tutti i settori economici, in seguito alle ultime campagne egiziane compiute sulle frontiere, con conseguente acuta contrazione del PIL, le cui stime di crescita passano dal 15 per cento, registrata a giugno scorso, a meno del tre per cento entro la fine dell’anno.

Settore industriale. Dato che il 45 per cento delle materie prime necessarie all’industria di Gaza giunge attraverso i tunnel, il rapporto spiega che le recenti mosse egiziane porteranno ad un sotto sfruttamento delle potenzialità di produzione delle imprese di Gaza, stimato intorno al 60%. Ciò significa una netta diminuzione del numero di lavoratori del settore industriale, che passano da 27 mila a giugno 2013 a solo 7.500. L’altro aspetto negativo è rappresentato dal forte aumento dei prezzi nella Striscia di Gaza, dove più del 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Stando ai dati del rapporto, anche gli aspetti essenziali della vita quotidiana dei cittadini di Gaza non sono migliori. Infatti, l’accumulato deficit della centrale elettrica ha portato a lunghe interruzioni di corrente, che arrivano fino a 12 ore al giorno. Ciò si riflette anche sul servizio idrico, dato che la distribuzione d’acqua potabile dipende da un sistema di pompaggio che impiega l’energia elettrica, con il risultato che un quarto delle case di Gaza riceve l’acqua per sole 4 ore al giorno. In aggiunta al fatto che il 90% delle acque estratte dalle falde acquifere di Gaza è inquinato, e al rudimentale processo di trattamento delle acque reflue, di cui 90 milioni di litri vengono pompati al largo delle coste ogni giorno, con conseguenti pericoli per la salute pubblica.

Crisi del carburante. A causa del deficit di carburante necessario, l’unica centrale elettrica di Gaza sfrutta solo il 68% della sua potenzialità produttiva, mentre la Striscia di Gaza riceve solo il 58 per cento del suo fabbisogno di gas naturale per usi domestici attraverso valichi israeliani. La relazione sottolinea che “dal momento in cui le autorità egiziane hanno distrutto i serbatoi di carburante destinati a fornire Gaza è emersa una grave crisi, che agli inizi di settembre, ha portato alla chiusura di 137 stazioni di rifornimento, lasciando i cittadini con grave carenza di benzina e gas per usi domestici”.

Il settore sanitario. Nonostante la crisi di questo settore si faccia sentire sui cittadini di Gaza dal 2007, il rapporto ha registrato gravi indizi di peggioramento. Infatti, le scorte di 128 farmaci sono terminate dallo scorso mese di luglio. Ciò significa che il 27% delle cure essenziali non è disponibile presso il magazzino centrale di medicinali. Inoltre, le scorte di altri 78 farmaci sono scese del 16 per cento. Sul versante dei pazienti invece, decine di loro, bisognosi di trasferimenti di emergenza all’estero, sono in attesa del loro turno durante l’apertura parziale, di quattro ore giornaliere, del valico di Rafah.

La circolazione delle persone. I dati indicano che 6.236 palestinesi hanno potuto attraversare il confine di Rafah con l’Egitto nel mese di luglio, la metà, 3340, l’ha potuto fare ad agosto, praticamente un quarto di coloro che hanno attraversato il valico a giugno. Nei giorni scorsi, il valico ha subito frequenti chiusure e riduzioni di orario di lavoro, con più di 10 mila persone, tra pazienti e studenti presso istituzioni estere, iscritte alle liste dei viaggiatori.

Di fronte a questi numeri che “fanno suonare l’allarme per un crimine di punizione collettiva commesso contro la Striscia di Gaza”, secondo il rapporto internazionale, l’Osservatorio ha esortato le autorità israeliane a porre un’immediata fine al soffocante assedio contro i palestinesi di Gaza. Allo stesso tempo, si è rivolto alla comunità internazionale “perché eserciti delle pressioni su Israele e lo costringa a rispettare i suoi obblighi legali verso la Striscia di Gaza, in base alle disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1949, essendo, Israele, una forza di occupazione.

Inoltre, l’Osservatorio ha chiesto alle autorità egiziane di aprire “incondizionatamente” il valico di Rafah di fronte al movimento di persone e merci. E ha lanciato un appello alla comunità internazionale, Ue e Usa in testa, “perché agevolino l’istituzione di un corridoio marittimo che permetta alla Striscia di Gaza di beneficiare delle sue acque regionali, in conformità con il diritto internazionale, e per far fronte alla crescente necessità di importare liberamente le merci e permettere agli abitanti viaggire.

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