Originale: The Independent

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7 marzo 2019

 

Gli inglesi stanno ciecamente portando l’Irlanda del nord al conflitto

di Patrick Cockburn

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Ero seduto a un caffè di Falls Road nella fortemente nazionalista Belfast ovest quando una giornalista di una radio locale è entrata in cerca di residenti da intervistare sugli effetti della Brexit sull’Irlanda del Nord. Ha detto che l’impatto era già enorme, aggiungendo. “Stupidi, stupidi inglesi per averci messi in questo pasticcio. Stavamo bene e loro si sono superati [in stupidità]”.

Non ci vogliono lunghi discorsi con la gente dell’Irlanda del Nord per capire che quasi tutto ciò che dicono i politici e i giornalisti di Londra a proposito della “backstop” è basato su un pericoloso grado di ignoranza e di pia illusione riguardo alla situazione politica reale sul campo qui. Considerato quanto questo problema è centrale per il futuro del Regno Unito, è straordinario come sia dibattuto solo con una conoscenza minima delle forze reali coinvolte.

Il più importante di questi rischi può essere esposto rapidamente. L’attenzione è spesso posta all’assoluta difficoltà di controllare le 310 miglia di confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica dell’Irlanda perché ci sono almeno 300 punti di attraversamento maggiori e minori. Ma il vero problema non è geografico o militare, bensì politico e demografico, perché quasi tutto il confine corre attraverso un paese in cui i cattolici superano molto di numero i protestanti. I cattolici non accetteranno, e sono in condizioni di impedire, un confine rigido a meno che non sia difeso permanentemente da molte migliaia di soldati britannici in postazioni fortificate.

La minaccia alla pace è spesso ritenuta provenire da Repubblicani dissidenti, un gruppo piccolo e frammentato con scarso supporto, che potrebbero sparare a un poliziotto a un agente delle dogane. Ma questo non è il pericolo maggiore, almeno non ancora, perché è molto più probabile che proteste spontanee ma sostenute impedirebbe di ricreare una frontiera internazionale tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica che non sia difeso da una schiacciante forza armata.

E’ irrealistico fino all’assurdo immaginare che mezzi tecnici sul confine possano sostituire il personale doganale perché le telecamere e gli altri dispositivi sarebbero immediatamente distrutti dalla popolazione locale. Un nuovo confine dovrebbe essere presidiato da agenti delle dogane, ma questi non vi si recherebbero a meno di essere protetti dalla polizia e la polizia non potrebbe operare senza la protezione dell’esercito britannico. I dimostranti sarebbero uccisi o feriti e torneremmo a una spirale di violenze.

Non stiamo esaminando uno scenario peggiore, ma un’inevitabilità se tornerà un confine rigido come succederà se ci sarà una Brexit piena. La UE non potrebbe mai accettare un accordo – e firmerebbe la propria condanna a morte se lo facesse – in cui l’unione doganale e il mercato unico abbiano una falla non controllata nelle loro pareti tariffarie e regolamentari.

Un punto essenziale da afferrare è che il governo britannico non controlla fisicamente il territorio, prevalentemente abitato da nazionalisti, attraverso il quale corre il confine. Potrebbe riaffermare quel controllo con la forza, il che significherebbe un ritorno alla situazione nel corso dei Problemi, tra il 1968 e il 1998, quando molte dei 270 valichi stradali pubblici erano bloccati da ostacoli o riempiti di crateri con esplosivi dall’esercito britannico. Anche allora i soldati britannici potevano spostarsi in luoghi come Armagh sud solo usando elicotteri.

La concentrazione delle forze di polizia nell’Irlanda del Nord è su gruppi Repubblicani dissidenti che non hanno mai accettato l’accordo del Good Friday [Venerdì Buono]. Non sono riusciti a ottenere seguito all’interno della comunità nazionalista cattolica romana che non ha alcun desiderio di tornare alla guerra e di rinunciare ai vantaggi molto reali che ha ricavato dalla lunga pace.

Ma tale pace potrebbe svanire, senza che nessuno la voglia, poiché la Brexit, così come concepita dal Gruppo Europeo di Ricerca e delineata dalle linee rosse di Theresa May, è un siluro mirato direttamente al cuore dell’accordo del Good Friday. Esso ha significato che quelli che si consideravano irlandesi (essenzialmente i cattolici) e quelli che si consideravano britannici (i protestanti) potevano vivere pacificamente nello stesso luogo. Inoltre l’accordo stabiliva e istituzionalizzava un complicato equilibrio di potere tra le due comunità, nel quale il governo irlandese e la UE avevano un ruolo centrale.

Tuttavia, dalle elezioni generali del 2017, quando la May è divenuta dipendente dal Partito Unionista Democratico (DUP), è il DUP – il partito di Ian Paisley – che è stato trattato dai politici e dai media in Gran Bretagna come se fosse l’unico rappresentante degli 1,9 milioni di persone che vivono nell’Irlanda del Nord. Ai suoi parlamentari è raramente chiesto dagli intervistatori di giustificare il loro appoggio all’uscita della Gran Bretagna dalla UE, quando l’Irlanda del Nord al referendum ha votato per Restare con il 56 per cento contro il 44 per cento.

Ignorando la comunità nazionalista dell’Irlanda del Nord il governo britannico sta commettendo lo stesso costoso errore che commise nei 50 anni precedenti il 1968 che condussero alla più feroce guerriglia in Europa occidentale dalla Seconda Guerra Mondiale. La comunità nazionalista oggi ha molto di più da perdere rispetto a mezzo secolo fa. Non è più assoggettata alla discriminazione settaria del passato, oltre a essere ben istruita ed economicamente dinamica, ma questo non significa che la cosa possa essere data per scontata.

Può anche essere che la maggioranza della popolazione dell’Irlanda del Nord tra due anni, quando il periodo di transizione della Brexit potrebbe giungere al termine, non sarà più protestante e unionista ma cattolica e nazionalista. Nell’ultimo censimento, nel 2011, i protestanti erano il 48 per cento della popolazione e i cattolici il 45 per cento. I protestanti stando diminuendo non solo come percentuale della popolazione ma anche sempre più invecchiando; i dati dal 2016 mostrano che i cattolici sono il 44 per cento della popolazione lavoratrice e i protestanti il 44 per cento. Significativamente i cattolici costituiscono il 51 per cento dei bambini in età scolare nell’Irlanda del Nord e i protestanti solo il 37 per cento.

I protestanti sono una comunità in ritirata, ma molti hanno sostenuto che questo non fa molta differenza politica perché è un errore immaginare che tutti i cattolici vogliano un’Irlanda unita. Molti hanno sentito di star meglio dove sono con un’assistenza sanitaria nazionale gratuita e un sussidio annuo britannico di 11 miliardi di sterline.

Ma la Brexit ha cambiato questo calcolo. Con l’Irlanda e la Gran Bretagna membri della UE, le lealtà religiose e nazionali si erano offuscate. Molti protestanti, particolarmente della classe media, hanno votare per Restare al referendum, ma il voto era ancora essenzialmente su linee settarie. “Non si troverebbero molti nazionalisti post-Brexit che non voterebbero per un’Irlanda unita in un nuovo voto sui confini, qualsiasi cosa pensassero in precedenza”, ha detto un commentatore, anche se la probabilità è che se ci fosse un tale sondaggio ci sarebbe ancora una stretta maggioranza a favore dell’unione con la Gran Bretagna.

Se l’accordo della May con la UE sarà alla fine approvato dalla Camera dei Comuni allora il problema di un confine rigido sarà rimandato. Qualsiasi ritorno a esso riporterebbe l’Irlanda del Nord sulla via della crisi e della violenza. Stupidi, stupidi, stupidi inglesi.

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-english-are-blindly-driving-northern-ireland-to-conflict/

 

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