Fonte: Il Primato Nazionale

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17/04/2019

 

Fuoco che distrugge e fuoco che salva. Notre-Dame come destino

di Ernesto Lentoni

 

“Tutto è cenere e polvere, tutto, salvo il Tempio che è in noi. Esso è nostro. Esso ci accompagna nei secoli dei secoli” (Vladimir Maximov). Nel 1977 scavando nelle fondazioni dell’Hotel Moreau a Parigi vennero alla luce una serie di eccezionali sculture frammentarie del XIII secolo raffiguranti le teste dei Re di Giuda ed Israele, provenienti dalla Galleria dei Re della facciata principale di Notre Dame. Erano quanto rimaneva dell’apparato scultoreo della Cattedrale, distrutto tra 1793 e 1794 dalla furia dei comitati rivoluzionari cittadini, che vedevano in esso una raffigurazione della aborrita regalità, venduto poi come materiale da costruzione, e che qualcuno aveva invece deciso di sotterrare come gesto di sconosciuta pietas in attesa di tempi migliori. Come si vede, il cuore di Parigi ha da tempo una singolare confidenza con la devastazione, umana o meno, volontaria o meno.
Di fronte alle agghiaccianti immagini televisive della sera di lunedì santo, un amico mi ha detto amaramente: “il gotico brucia benissimo”. Ovvero, al di là di eventuali responsabilità, colpose o dolose (non saprei dire cosa sia peggio), queste sinfonie di musica pietrificata soffrono di una strutturale fragilità che dovrebbe farci gridare al miracolo per la loro conservazione nei secoli. Di fronte ad una simile catastrofe un uomo dei tempi antichi sarebbe rimasto sgomento per il segno celeste e non per il “danno al patrimonio”. Dopodiché avrebbe pensato alla ricostruzione dell’opera, poiché ciò che importava era la sua forma immateriale e archetipa e non la sua concretizzazione materiale. E’ l’anima che sopravvive al corpo. Ma per noi che viviamo nella post-storia, è d’uopo straziarci per il corpo che viene meno, anche se l’anima è scomparsa da tempo.


Le devastazioni rivoluzionarie e la Dea Ragione
Chiunque, dopo le devastazioni rivoluzionarie, avrebbe data per persa la Basilica. E soprattutto per profanata irrimediabilmente, dopo che nella chiesa sfregiata dalla furia iconoclasta, spogliata dei suoi arredi, i cui ori e metalli erano stati requisiti e fusi per le esigenze di guerra, il 10 novembre 1793, M.lle Maillard, attrice dell’Operà, avvolta nel tricolore, appariva sopra l’altar maggiore come personificazione della Dea Ragione, nel contesto delle religiosità sostitutive, le “religioni seconde” di cui parlerà Spengler, che la modernità cercherà di innestare dall’alto in un corpo sociale da scristianizzare, o già scristianizzato, cui fornire una religione civica che serva da instrumentum regni.
Qualcuno ci provò a effettuare la tabula rasa, come il filosofo Saint-Simon, che nello stesso anno tentò di acquistare la Basilica per effettuarne la demolizione. In fondo negli stessi anni avveniva la sistematica decomposizione di un colosso già da secoli languente, ma ancora poderoso, come la gigantesca chiesa abbaziale di Cluny, ovvero un luogo che tra X e XII secolo aveva prestigio uguale se non maggiore a quello della sede papale.


Napoleone fece riaprire Notre Dame
Per fortuna la politica ha la meglio quasi sempre sui sogni o incubi dei filosofi, e quello stesso Napoleone che rampognò aspramente gli abitanti di Cluny per lo scempio, nel 1801 spazzò via le fantasie parareligiose degli ideologues, firmò il Concordato con la Chiesa e nel 1802 fece riaprire la Basilica raffazzonata alla meglio, che nel 1804 ospitò il Sacre di Napoleone nuovo Imperatore di Occidente, secondo un complicatissimo palinsesto cerimoniale che riassumeva tutte le epoche passate della sovranità, tra cui anche la mula bianca che precedeva il corteo papale, e che un tempo avrebbe dovuto trovare da sola, o meglio per ispirazione divina, il tragitto, come in certe prese di possesso di sapore medioevale e isiaco assieme.
Sì, perché questo accade: la Cattedrale diviene presto, nella rottura post-rivoluzionaria con la tradizione storica francese, il luogo di tutte le proiezioni dell’immaginario, e di tutti i sincretismi possibili, nel tentativo disperante di riannodare i fili con il proprio passato. La Notre-Dame del viaggiatore moderno, che non è più il fedele del medioevo, non è l’edificio iniziato agli albori dello stile gotico nel 1163 da Maurice de Sully, ma l’edificio reso di nuovo visibile da un libro, Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, nel 1831, e rimodellato largamente nel materiale e ancor più nell’immaginazione tra il 1842 e il 1864, anno della sua nuova consacrazione, ad opera soprattutto di Viollet-le-Duc, l’architetto che sosteneva il restauro essere l’arte di ricondurre un edificio non tanto alla sua forma originale, ma a quella che avrebbe potuto avere alla sua epoca, ma che forse non aveva mai avuto effettivamente.


Occultismo e massoneria
Ecco tutto l’immaginario del e sul Medioevo riversarsi sulla nostra Cattedrale, dal fondo isiaco che giace dietro le immagini mariane, e che la Rivoluzione aveva risvegliato, ai gargoyles che diventano i Guardiani della Soglia di un mondo inavvicinabile perché se ne è persa la chiave, alle supposizioni occultiste e massoniche che iniziano a velare le ricostruzioni scultoree di Viollet-le-Duc. E’ un fatto che le frange più intransigenti della chiesa cattolica non abbiano mai amato troppo la Basilica in cui sospetteranno un qualcosa di eterodosso se non addirittura di sulfureo. Tanto che sotto l’occupazione tedesca fu effettuata una ispezione delle sculture della guglia (quella che lunedì sera si è trasformata in una vampa di fuoco verso il cielo prima di crollare) per controllare se non vi fossero determinati segni e simboli allusivi.
Ben più sapienziale fu il lavoro condotto negli anni Venti da quella sorta di autore collettivo che corrisponde al nome di Fulcanelli, che nel Mistero delle Cattedrali illustrò con sovrana maestria e reticenza il contenuto della Grande Opera cui alludono le sculture della facciata e dei portali, superstiti o ricostruite fedelmente sui modelli originari. Sebbene Nostradamus non parlasse esplicitamente di Notre-Dame, nelle sue Centurie si è voluto più volte vedere un riferimento al fuoco divoratore. Dove per sineddoche si può ben pensare che la parte stia per il tutto che è Parigi, e certo molti di noi di fronte alle orribili immagini avranno pensato al Grand Roy d’Effrayeur che si stava abbattendo sulla Città.
Diceva Renè Guenon che troppe volte si sono diffuse profezie sulla distruzione di Parigi per mezzo del fuoco, per cui alla fine oltre al turbamento diffuso negli spiriti non vi fosse anche un effetto auto avverante. E certo “Parigi brucia” più volte è stata vicina a realizzarsi, sotto la Comune di Parigi, o nel 1944 durante la ritirata tedesca. Uno scrittore surrealista negli anni Venti immaginava che, in seguito a sconvolgimenti internazionali, l’Europa fosse travolta dalla ribellione dei popoli coloniali, guidati da una perversa principessa orientale, e la Chiesa costretta alla clandestinità, mentre riti di profanazione portavano alla dispersione delle reliquie di Santa Genoveffa, bruciate sulla sommità della Basilica. Era ovviamente un divertissement, ma estremamente compiaciuto. Colpisce come i luoghi topici del racconto fossero però sempre questi di cui discorriamo.
Fu però reale e non letterario il giovane esponente del movimento Lettrista, premessa del Situazionismo, che intorno al 1950, travestito da domenicano, salì sul pulpito di Notre Dame per annunciare ai fedeli la Morte di Dio, per poi fuggire nudo per la navata e sul parvis della chiesa inseguito dalla folla e da un militare americano che per un pelo non gli scaricò il revolver contro. Sarebbe superfluo ricordare qui il gesto di Dominique Venner che ha visto la Basilica come suo motivato e ragionato sfondo.


Notre Dame e la confidenza con le situazioni “estreme”
Insomma, sembra che nella storia la Cattedrale che lunedì è andata incontro al punto estremo del rischio abbia sempre avuto una strana confidenza con le situazioni estreme del pericolo, o della profanazione, o della metamorfosi. In questo forse può svolgere il ruolo di simbolo e talismano dell’Occidente nella sua più vera natura, che è quella di giocare sempre la propria esistenza sul filo dell’estremo, se non del sepolcro, ed essere capace di risorgere dalle proprie ceneri come la Fenice. L’immagine della guglia che arde verso il cielo ci riempie giustamente di dolore come custodi di un lascito materiale, ma al tempo stesso allude alla essenza spirituale ed ignea di quanto è stato generato dalla civiltà di cui siamo eredi.
“Il Santuario benedetto, finché vi resti attaccato, resti separato da Dio. Ma quando ne sarai davvero distaccato, allora raggiungerai Colui che l’ha costruito e fondato; così meditando sul tempio in te stesso, avrai la Presenza reale del suo fondatore. Distruggi la Kaaba e ricostruiscila vivente e orante nel segreto” (Al- Hallaj, secondo Massignon)

 

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