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31 gennaio 2013

Grano liquido, quando la speculazione mangia al posto nostro
di Luca Aterini

 Non lo sappiamo, e neanche ci pensiamo quando portiamo alla bocca una gustosa forchettata di spaghetti, ma abbiamo indirettamente a che fare col Chicaco Mercantile Exchange Group praticamente ogni giorno. Si tratta del gruppo che governa la maggiore delle Borse dei cereali al mondo, uno spazio determinante per fissare il prezzo mondiale del grano e non solo. Per dare un'idea della massa di cibo fisicamente condizionata dagli scambi finanziari, l'International grains council stimava l'anno scorso una produzione di solo frumento pari a circa 690 milioni di tonnellate/anno. Un flusso di materia prima che non garantisce soltanto la produzione di innumerevoli leccornie, ma soprattutto la sopravvivenza stessa di un numero crescente di persone.

Un mercato così ampio e delicato si trova da tempo sotto l'asettico predominio delle macchine e della logica di puro profitto. Come testimonia oggi il Sole24Ore, «La mancanza di tempo per valutare le centinaia di dati statistici diffusi dall'Usda (U.S. Department of Agriculture, ndr), spesso capaci di provocare forti scossoni sui mercati agricoli, è stata oggetto di forti contestazioni, soprattutto da parte degli agricoltori e in generale dagli operatori commerciali, secondo i quali era stato regalato un indebito vantaggio ai fondi algoritmici: gli unici in grado di elaborare montagne di numeri in una manciata di secondi». Per questo il Cme si è infine impegnato a ridefinire «la nuova durata e dei nuovi orari per la seduta di scambi», nella misura che sarà presto definita con i propri clienti. L'impegno del gruppo, rassicurano, è sempre quello di garantire «mercati dei cereali profondi e liquidi».

E profondi e liquidi sembrano esserlo davvero, per parafrasare CME, tanto vasti e instabili sembrano essere questi mercati. Il proseguire delle crisi finanziaria ed economica, con picchi di crisi alimentari in particolare nel 2008, non ha insegnato molto sui danni della speculazione sul cibo, e rimane di estrema attualità l'allarme lanciato da José Graziano, direttore generale della Fao (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite): «Il mondo deve guardare con durezza alla speculazione sui mercati finanziari ed al suo potenziale impatto sulla volatilità dei prezzi alimentari [...] Diciamolo chiaramente. Non stiamo parlando di speculazioni riguardanti la "price discovery" e il normale funzionamento dei mercati dei futures. Stiamo parlando dell'eccessiva speculazione nei mercati dei derivati, che può aumentare le oscillazioni dei prezzi e la loro velocità. L'eccessiva volatilità dei prezzi alimentari, soprattutto la velocità con cui sono presenti dal 2007, ha un impatto negativo sui consumatori poveri e i produttori poveri in tutto il mondo».

In un Paese come l'Italia, con la sua fortissima identificazione con la propria cultura gastronomica (dominata, tra l'altro, dalla presenza del grano duro), è dunque particolarmente significativo che 7 tra le più importanti associazioni ambientaliste abbiano dedicato ampi paragrafi della loro agenda politica per la Ri/conversione ecologica del Bel Paese alla gestione e al consumo sostenibile del territorio e dei frutti che il lavoro sul campo (è proprio il caso di dirlo) può garantire.

«Il territorio italiano è costituito per il 90% da aree rurali - si premette nel documento ecologista -  con terreni agricoli e foreste, oltre il 40% è occupato da Superficie agricola utilizzata (Sau), se si considera invece la Superficie agricola totale (Sat) tale percentuale supera il 60% [...] Circa il 50% delle specie animali selvatiche minacciate o in declino dipendente in varia misura dagli ambienti agricoli. Ciò significa che quasi due terzi del territorio nazionale è interessato dal settore primario ed è quindi gestito, bene o male, da agricoltori in vario modo organizzati, dal singolo coltivatore diretto, alle società e cooperative agricole».

Due terzi del territorio italiano sono più che sufficienti per chiedere che un piano sostenibile di sviluppo rurale rientri nelle priorità dell'ormai prossimo governo e Parlamento italiano. «L'umanità non tornerà nelle caverne, o, piuttosto, agli alberi», scriveva l'ispiratore della bioeconomia - l'economista Georgescu-Roegen, ma non per questo dobbiamo disinteressarci dal governo della terra (intesa nel suo senso più fisico). È da lì, infatti, che passa la cura del dissesto idrogeologico, l'adattamento ai cambiamenti climatici, un turismo responsabile che valorizzi un ambiente altamente antropizzato (come quello italiano) e, non per ultimo, la nostra possibilità di alimentarci. In definitiva, non c'è niente di più naturale per la sostenibilità che guardare con occhio attento all'agricoltura, ed avere a cuore di tenere a freno la speculazione finanziaria all'interno di questo settore - in tutti i sensi - vitale. Le nostre radici partono da lì, e un piano all'insegna della green economy per il rilancio del Paese dovrà necessariamente tenerne conto.

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