SARAJEVO RESISTE NEL PROPRIO SERRAGLIO 1:7
Il sole e la luna si avvicendano nel cielo sopra Sarajevo mentre la vita, riarsa dalla calura oziosa dell'estate bosniaca, esplode granate roboanti e improvvise nelle strade polverose e arse dal sole.
Una ragazza, non ancora maggiorenne, si scruta nello specchio alla ricerca di una probabile ruga, provocata dall'ennesima esplosione. Oggi nove morti e venti feriti. Le voci urlanti dei bambini che giocano in strada, possono forse disturbare l'adulto accaldato e stanco, ma rappresentano l'ultimo bastione all'interno dell'assedio. A pochi kilometri dal vicolo in cui mi trovo, i difensori e gli assedianti si scambiano i soliti colpi. A volte, radi tra loro, si rispondono passivamente alternando i diversi calibri, così da variare il concerto serale. Altre volte, quando uno dei colpi centra l'obbiettivo, allora molti proiettili, isterici e rabbiosi, vengono sparati alla ricerca di una vendetta che non troverà mai pace. Accompagnati da questa colonna sonora che fà da sottofondo al tramonto infuocato, i bambini si tirano le freccette di carta, soffiando nelle cannucce di plastica, come facevo anch'io nel campetto in fondo alla via di casa, durante la mia infanzia. Le voci delle madri riecheggiano oggi come allora, preoccupate più dalle tenebre incombenti che dagli spari sul fronte, ma non pensate che siano poco premurose, le detonazioni fanno ormai parte della vita quotidiana. Oltre 1.200 giorni di logoramento fisico e psicologico hanno fatto di queste madri, donne magre, sciupate, stressate e stanche, esse hanno perso il marito, la sorella o il padre. Nelle notti insonni vegliano, cercando soluzioni impossibili al futuro dei loro piccoli, mentre nei brevi sonni, sono turbate dai ricordi di un passato felice e dagli incubi di un presente che le possiede, prigioniere e schiave di una realtà estranea e indesiderata.

Gli assediati subiscono, con cinica indifferenza, il più totale degrado della politica internazionale. Le nazioni non riescono a trovare la forza morale, ne la volontà politica di porre fine all’urbicidio. I continui fallimenti della conferenza di pace, causati dall'incapacità politica ed operativa di fare rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno compromesso la credibilità delle diplomazie occidentali. Sarajevo, sfintere del mondo, resiste nel proprio serraglio. Non può e non vuole cadere. Mentre l'opinione pubblica europea, seduta sotto l'ombrellone, assimila via satellite l'infamia che si sta consumando in Bosnia. A Londra, a conclusione dell'ennesima sessione della conferenza di pace, il Segretario delle Nazioni Unite, dichiara compiaciuto che l'unico successo ottenuto, é il fallito tentativo della NATO di trasformare la conferenza in una dichiarazione di guerra aerea ai serbo-bosniaci.
La conferenza stampa delle Nazioni Unite, é diventata, in questo periodo, una triste commedia delle parti, tragica é grottesca, che si svolge nel silenzio pietoso dei giornalisti i quali, a turno, pongono domande precise ai portavoce delle varie agenzie ONU.

Il 4 agosto: risponde il portavoce dell'ONU a Sarajevo, il sig. Alexander Ivanko, occhi cerchiati dall'insonnia, la voce piatta non tradisce emozioni.
Domanda: - Se Sarajevo é una zona protetta, ed é stato concordato l'intervento aereo in difesa delle zone protette, come mai a seguito dei continui bombardamenti sulla città, la NATO non reagisce in conformità con le risoluzioni adottate?-
Alexander Ivanko: - Purtroppo non abbiamo informazioni sui danni provocati dalle granate, ne sulla direzione dalla quale sono partite. Le autorità locali non ci permettono di rilevare i dati sul luogo delle esplosioni, quindi senza informazioni non possiamo rispondere adeguatamente.-


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Domanda: - In seguito all'esplosione dei 14 missili terra-terra, lanciati ieri notte nelle vicinanze dell'Holiday Inn, mi sono recato sul posto e ho potuto constatare di persona che l'UNPF era presente, inoltre ho potuto vedere con i miei occhi la marca del costruttore impressa a caratteri cirillici sul residuo ancora intatto di uno dei missili. Dato che l'UNPF era presente a ha avuto modo di rilevare le informazioni, quali misure di intervento verranno prese da parte della NATO?-
Alexander Ivanko: - Non sono al corrente di queste informazioni, il fatto che lei abbia visto caratteri cirillici sui resti di uno dei missili, é un'informazione che ha raccolto lei personalmente, ma che non é stata assunta dal mio ufficio.-
Domanda: - Ma l'UNPF era presente sul posto!-
Alexander Ivanko: - No comment.-
Il 5 agosto: risponde il delegato dell'UNHCR, appena arrivato a Sarajevo da Zepa, dove era incaricato di coordinare l'evacuazione dell'enclave. Uomo asciutto, la voce é bassa, pacata, nei suoi occhi si possono ancora vedere le fiamme e i saccheggi che hanno travolto l'enclave durante l'offensiva finale delle milizie serbo-bosniache.
Domanda: - Quando siete entrati nell'enclave di Zepa?-
Delegato dell'UNHCR: - Siamo arrivati a Zepa il 26 luglio per organizzare l'evacuazione dei civili. Tre giorni più tardi le milizie serbo-bosniache sono entrate nell'enclave.-
Domanda: - Quante case sono state bruciate?-
Delegato dell'UNHCR: - Sono stati bruciati i magazzini e molte delle abitazioni private.-
Domanda: - Ci può dire, approssimativamente, quante abitazioni private sono state bruciate?-
Delegato dell'UNHCR: - Non saprei dirlo. tuttavia non mi é sembrato un saccheggio organizzato, ma solo un'azione spontanea da parte di truppe indisciplinate.-
Domanda: - Quante persone avete evacuato dall'enclave?-
Delegato dell'UNHCR: - Abbiamo evacuato 6.000 persone circa.-
Domanda: - E' vero che molti profughi sono stati fatti prigionieri dai serbo-bosniaci?-
Delegato dell'UNHCR: - Delle 6.000 persone evacuate, ne sono state sottratte al nostro controllo dalle 1.000 alle 1.500.-
Domanda: - Dove sono state portate?-
Delegato dell'UNHCR: - Presumibilmente oltre il fiume Drina.-
Domanda: - Dove si trova attualmente il sindaco di Zepa?-
Delegato dell'UNHCR: - E' stato arrestato.-
Domanda: - Dato che Zepa era una zona protetta dalle forze dalle Nazioni Unite, che é caduta ed é stata saccheggiata dai serbo-bosniaci, nonostante la presunta protezione, quali sono stati i sentimenti della popolazione verso i rappresentanti dell'ONU, e quali i vostri sentimenti, a seguito della caduta dell'enclave?-
Delegato dell'UNHCR: - I sentimenti della popolazione sono stati di gratitudine nei nostri confronti, per quanto ci é stato possibile abbiamo provveduto in modo dignitoso all'evacuazione dei civili nei campi profughi sotto il controllo del governo di BiH.-

6.000 civili, evacuati da una zona protetta da una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Stipati sui cassoni di camions scoperti, senza che possano portare con sé niente di più di qualche misero fagotto, 1000/1500 scomparsi, sottratti al controllo dell’UNPF, mentre le loro case venivano bruciate e saccheggiate da "truppe indisciplinate"!!!
Il 28 agosto, tra le H.11.00 e le H.11.30, l'artiglieria serba spara cinque granate nel centro storico di Sarajevo, una di queste cade sulla via Marsala Tita, davanti alla porta del mercato coperto, dove usano sostare i venditori di sigarette e i cambia valute. A quell'ora la via brulica di gente. La granata rimbalza sull'asfalto prima di esplodere a poco meno di mezzo metro da terra, in questo modo le scheggie causate dall'esplosione dell'ordigno sono molto più micidiali in quanto, quasi nessuna di esse si ferma sull'asfalto immediatamente circostante, creando il classico rosone, ma viaggiano tutt'intorno falciando e dilaniando tutto ciò che incontrano sulla loro traiettoria, in un raggio di venti o trenta metri. Si compie così l'ennesimo massacro, sono 40 i morti e 104 i feriti. Il risultato é agghiacciante; corpi devastati, arti separati dai corpi, grappoli di feriti che tendono le mani in cerca di aiuto. Un militare, giunto sul luogo dell'esplosione, trova la moglie in cinta con il ventre straziato dalle scheggie, la tragedia é insostenibile, estrae la pistola automatica e si spara un colpo alla testa.

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Nel caos generale i sopravvissuti e coloro che sono accorsi sul posto fermano le auto per caricarvi i corpi dilaniati, alcuni dei quali troveranno la morte durante la corsa in ospedale. Nel pronto soccorso dell'ospedale Kosevo, regna la disperazione, i feriti vengono parcheggiati sul pavimento, con gli arti amputati e scomposti, in attesa di un primo soccorso che forse non basterà a salvarli. Dopo meno di mezz'ora le immagini del massacro scorrono in diretta sui televisori di mezzo mondo, mentre il Premier bosniaco, Haris Silajdzic, appare sugli schermi rivendicando la necessità di un intervento della NATO, che sia coerente con le innumerevoli risoluzioni ONU relative alle cosiddette "zone protette". Verso le H.12.30, un mortaio bosniaco fà fuoco sulla chiesa ortodossa di Ilidza, dove é in corso una celebrazione, causando un morto e quaranta feriti, é immediata la reazione televisiva di Pale, che mostra al mondo le proprie vittime. Dopo alcune ore di calma pomeridiana, verso le H.18.30 altre cinque granate raggiungono l'ospedale Kosevo, dove i feriti ancora sanguinanti sono appena riusciti a ritrovare la calma, alcuni di loro vengono nuovamente colpiti da quei boati improvvisi che straziano le carni, seminando tragedie. Uno dei proiettili, dopo aver sventrato ben sette muri, si ferma sopra il lavabo di un bagno, proprio accanto a quello che era lo studio del vice primario della Clinica psichiatrica, il dr. Radovan Karadzic.
La notte di Sarajevo é pervasa dalle lacrime, sono molte le famiglie che piangono i loro cari, falciati dalla follia assassina dei serbo-bosniaci. La strada é stata lavata, sul punto dell'impatto sono stati portati fiori e messaggi di estremo saluto. Il tassista che mi sta accompagnando a casa, si ferma un momento per recitare una preghiera silenziosa. Alla conferenza stampa del 29 agosto, il portavoce dell'ONU, Alexander Ivanko, si siede e affronta i giornalisti: - Nessuno ha visto i mortai serbo-bosniaci fare fuoco, ma gli specialisti di balistica sono concordi nell'accreditare la responsabilità del massacro all'artigleria degli assedianti.- Il portavoce dell'UNHCR esprime indignazione e scandalo per l'atteggiamento assassino dei serbo-bosniaci. La rappresentante dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, apre il suo intervento con una domanda: - Come possiamo portare avanti i nostri programmi sanitari in una città come questa, continuamente afflitta da stragi e massacri?- Subito un giornalista le chiede se la sua é una domanda in polemica con l'UNPF, la risposta é chiara: - Abbiamo a che fare con problemi reali e occorre mettere questi problemi sul tavolo.- La Croce Rossa Internazionale si limita ad informare, senza commenti, che ha sostenuto gli ospedali cittadini con tutto l'aiuto possibile. Lo speaker UNPF assicura che da oggi le truppe ONU non saranno più autorizzate ad attraversare il territorio serbo-bosniaco. Rimangono di stanza in quel territorio solo 450 caschi blu russi che, pare non corrano pericoli. Questa informazione presuppone un atteggiamento di prudenza delle forze ONU, che evidentemente non vogliono ripetere l'umiliante esperienza della primavera scorsa, nel caso di una ritorsione armata. Al fuoco di fila delle domande dei giornalisti, sul come e sul quando ci sarà l'intervento, perché non ci sia ancora stato, quando e dove si prendono le decisioni a riguardo, Alexander Ivanko risponde lapidario: - Nel QG ONU a Zagabria, lo Stato Maggiore delle forze di pace in Bosnia, sta valutando l'eventualità di una risposta armata al massacro di ieri.-
I piani d'intervento NATO diventano operativi, le nazioni aderenti al patto atlantico forniscono le squadriglie dei cacciabombardieri. Verso le H.02.00 del 30 agosto, inizia l'operazione "Deliberate Force". Dalla base di Aviano, in Italia, e dalla portaerei USS Theodore Roosvelt, decollano 60 cacciabombardieri dell'Alleanza Atlantica, gli obbiettivi militari sono dislocati in tutta la Bosnia, intorno alle città di Sarajevo, Gorazde, Tuzla e Mostar. Verso le H.03.00 il rombo dei jet supersonici squarcia la notte intorno a Sarajevo, svegliando la popolazione incredula che, per la prima volta in tre anni e mezzo di guerra, sente il suono, tanto atteso e discusso, dei bombardamenti NATO. Dopo aver colpito le postazioni radar, ottenendo così l'oscuramento dello spazio aereo, l'aviazione da caccia alleata passa sugli obbiettivi lanciando segnalatori di posizione, immediatamente seguita dai cacciabombardieri che distruggono gli obbiettivi segnalati. A Sarajevo l'attacco aereo disegna una circonferenza intorno alla città; uno dei primi obbiettivi é un deposito di carburante tra Ilijas e Vogosca, a nord, il bagliore rossastro dell'incendio si vede chiaramente dalle finestre di Sarajevo, nonostante arda a 10/15 Km di distanza. I top guns della NATO proseguono poi verso nord est colpendo installazioni militari sulla collina di Polijne, poi a est e a sud, sul monte Trebevic, da dove sono partiti i colpi responsabili del massacro. Al rombo degli aerei fà seguito un grappolo di esplosioni, secche, brevi, lontane. Ancora più a ovest del Trebevic, la missione punitiva della NATO, colpisce il quartiere di Grbavica, roccaforte dei cecchini cetnici, per poi proseguire verso sud-ovest, bombardando la caserma di Lukavica, base logistica dell'artiglieria e dei carristi serbo-bosniaci. Viene poi l'ora del famigerato colle di Gavrice, da dove l'antiaerea spara sui convogli che scendono dal monte Igman. Infine, é la volta delle postazioni dell'artiglieria serba a Ilidza, in direzione ovest. I raids aerei non chiudono completamente il cerchio dell'assedio, risparmiando la caserma di Railovac, a nord-ovest, una delle più grandi scuole militari dell'ex armata popolare.

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Alle H.04.45 la brigata multinazionale d'intervento rapido, dalle postazioni sul monte Igman, inizia un intenso cannoneggiamento su 15 obbiettivi predeterminati e complementari all'attacco aereo; il primo obbiettivo, che insidia da vicino la sicurezza delle postazioni d'artiglieria della RRF, viene colpito simultaneamente da tutte le unità che compongono la brigata multinazionale. Gli altri obbiettivi consistono in siti d'artiglieria, mezzi blindati, carriarmati e depositi di munizioni. Oltre a quelli predeterminati, altri 15 obbiettivi di controbatteria si aggiungono durante la battaglia.
Verso le H.06.00 i serbo-bosniaci iniziano a bombardare Sarajevo, sono circa 50 le granate che cadono sulla città nella prima mezz'ora di fuoco. In un primo momento il rombo degli F-18 che riappaiono nel cielo di Sarajevo, mettono a tacere le batterie serbo-bosniache, ma ben presto vengono fatti bersaglio, dagli assedianti, 15 obbiettivi ONU. Il bombardamento prosegue fino a oltre le H.09.00, distruggendo veicoli e installazioni ONU in tutta la città.
Poco dopo le nove, una coppia di granate cadono in prossimità della caserma M. Tito, vicino alla stazione degli autobus, mietendo nuove vittime civili. In tutta la Bosnia si moltiplicano le tragedie e la devastazione delle esplosioni trascina con sé nuovi morti, altri figli rimangono orfani e altre mogli vedove. Oggi la conferenza stampa si tiene nei sotterranei del "PTT building" il QG delle comunicazioni dell'UNPF, é allarme rosso. La borsa con la macchina fotografica e gli obbiettivi, non viene semplicemente aperta, al primo check point alla sbarra d'entrata, ma completamente svuotata. Dopo il secondo controllo alla porta d'ingresso, un ufficiale della polizia militare ONU accompagna i giornalisti, a gruppi, nel sotterraneo. Attraversiamo un corridoio al buio, dove alcuni soldati francesi stanno dormendo con gli scarponi ancora ai piedi, per poi entrare in un'officina per la riparazione dei veicoli, dove si terrà la conferenza stampa. Gli scaffali, dove sono riposti i pezzi di ricambio e altre ferraglie, si arrampicano sulle pareti, argani e catene pendono dal soffitto, fuori i militari brulicano intorno ai blindati che coprono l'ingresso dell'officina. Alexander Ivanko sembra quasi di buon umore, finalmente i giornalisti non lo metteranno in imbarazzo con domande polemiche. Il rapporto é breve: - L'intervento NATO non é ancora terminato, proseguirà nel pomeriggio, sono state portate a termine 200 missioni aeree, in sintonia con l'artiglieria della RRF che ha supportato l'attacco aereo da terra. I cacciabombardieri hanno sparato complessivamente 5.370 colpi su 90 obbiettivi militari predeterminati, inoltre la RRF ha sparato circa 1.000 colpi, dai cento pezzi d'artiglieria di cui dispone, su 15 obbiettivi militari predeterminati.- Alle domande dei giornalisti, segue la consueta serie di risposte vaghe e imprecise: - Non conosciamo l'entità dei danni prodotti, non sappiamo quali erano gli obbiettivi militari, non siamo in grado di sapere quando si concluderà l'intervento.-
Nel pomeriggio di giovedì 31 agosto, la colonna dei giornalisti scortata dai mezzi bianchi dell'UNPF, si avvia verso il monte Igman. L'hotel Igman sorge al centro dell'omonima stazione sciistica, a suo tempo ospitò, sfarzoso, moderno e affollato i giochi olimpici invernali del 1984. Oggi, fantasma di se stesso, bombardato e incenerito dalla guerra, ospita, in una cornice ben diversa, la Compagnia Comando della RRF.

Il gen. Janvier, comandante in capo della brigata multinazionale; segaligno, capelli bianchi, piglio dignitoso e aggressivo, in divisa grigia e basco nero con due stelle, é il primo ad arrivare nel piazzale, affollato dalle telecamere e dai microfoni a giraffa dei media internazionali.

Il Comando della Rapid Reaction Force

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Tutt'intorno brulicano militari armati in assetto da guerra, tra carriarmati e autoblindo parcheggiati in attesa di ordini. Dopo il trambusto di rito, creato dall'assalto dei giornalisti sul loro ospite, gli ufficiali del seguito e gli addetti alla sicurezza riescono a procurare un paio di tavoli, dietro i quali si sistemano gli ufficiali del comando, una cartina di Sarajevo fà da sfondo alla conferenza stampa. Il gen. Janvier presenta i comandanti dei corpi; la fanteria della legione straniera, comandata da un colonnello con il frustino tra le mani guantate, é posta a difesa delle postazioni dell'artiglieria della brigata. Due unità inglesi, una di carristi e una d'artiglieria, con obici da 105mm. Un'unità di marines olandesi con mortai da 120mm. Un'unità d'artiglieria francese con cannoni semoventi da 155mm, in grado di sviluppare una potenza di fuoco che può raggiungere le sei tonnellate al minuto, sparando tre colpi ogni otto secondi, in un raggio di 28km. Sono 1.600 gli uomini che compongono la RRF, di cui 1.100 francesi, 400 inglesi e 100 olandesi, inoltre sono a disposizione 2.500 uomini della riserva, pronti ad entrare in azione. Finite le presentazioni, il generale prosegue: - Dopo il massacro del mercato di Sarajevo, il 5 febbraio 1994, l'ultimatum della NATO ottenne il ritiro dell'artiglieria serbo-bosniaca fuori dalla zona di esclusione, a 20Km dal centro cittadino e la conclusione di un cessate il fuoco bilaterale, che permise l'apertura del "corridoio blu", attraverso l'aeroporto, ai civili e alle merci. Questa volta, dopo il massacro del 28 agosto, la comunità internazionale ha deciso un'azione più robusta, il cui obiettivo é distruggere le postazioni dell'artiglieria serbo-bosniaca intorno a Sarajevo, mediante un'operazione combinata tra l'aviazione della NATO e l'artiglieria della RRF. Noi siamo qui per sputare sulla mano che abbiamo stretto nel febbraio del '94. Noi siamo qui per fare ascoltare ai serbi la voce della diplomazia occidentale, che ci permetterà, un giorno, di ascoltare la melodia della pace. Siamo in grado di colpire tutti i siti dell'artiglieria serba intorno a Sarajevo. Ieri abbiamo colpito tutti gli obbiettivi prescelti e, pur essendo difficile valutare i danni, possiamo affermare che la nostra azione, ne ha causati di notevoli. Non ce ne andremo fino a Natale, saranno poi le diplomazie coinvolte nella forza di pace del gruppo di contatto a decidere il proseguo della nostra missione. L'intervento non si concluderà fino a quando non saranno ritirati o distrutti tutti i pezzi d'artiglieria che sparano su Sarajevo, ma credo che i serbi abbiano capito che la comunità internazionale non accetterà altri massacri indiscriminati di civili e che siamo in grado di reagire con decisione e precisione.-
Il Generale janvier
Il 2 settembre inizia con scambi d'artiglieria tra le postazioni della RRF sull'Igman e quelle serbo-bosniache vicino alla caserma di Lukavica e nei dintorni di Ilidza. La strada dell'Igman viene momentaneamente chiusa. Nel pomeriggio, verso le H.16.00 un intenso bombardamento risuona nella zona di Nedzarici, tra Dobrinja e l'edificio di Oslobodzenje. Due bambini e cinque adulti, che stanno raccogliendo patate sui fianchi della collina di Moimilo, vengono feriti dalle esplosioni. Subito risuona il rombo dei caccia che mette a tacere i mortai serbi. Più tardi il comando dell’UNPF, fà pervenire al capo di Stato Maggiore dell'esercito serbo-bosniaco, gen. Mladic, un ultimatum di 48 ore che scadrà alle H.23.00 di lunedì 4 settembre; entro il termine dell'ultimatum, i serbi dovranno ritirare dalle attuali postazioni tutti i pezzi d'artiglieria, tutti i carriarmati e tutti i veicoli blindati, rimuovendoli fuori dalla zona di esclusione, oltre i 20Km dal centro di Sarajevo. Dovranno, inoltre, sospendere tutte le azioni belliche intorno alle zone dichiarate protette dalle Nazioni Unite. Dovranno anche rendere transitabile la strada statale che attraversa Ilidza per raggiungere Kiseljak. Se alle H.23.00 del 4 settembre, i ricognitori NATO rileveranno che almeno un considerevole numero di armi pesanti é stato rimosso e portato al di fuori della zona di esclusione, allora saranno concesse altre 24 ore per completare il ripiegamento, in caso contrario, l'aviazione ricomincerà i raids punitivi fino a quando non avrà perseguito con successo gli obbiettivi imposti dall'ultimatum.

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Il 3 settembre alle H.14.00, senza preventivi accordi con gli ufficiali serbi competenti, viene riaperto il "corridoio blu", sotto la protezione armata dell'UNPF e della RRF, che é in grado di reagire in un tempo massimo di 40 secondi. I civili e i convogli umanitari e commerciali sono liberi di entrare o uscire dalla città, nessun incidente turba il traffico dei veicoli. La notte tra il 4 e il 5 settembre, scade l'ultimatum ma, a parte il consueto rombo dell'aviazione dell'alleanza atlantica, non succede nulla. La mattina seguente, le prime informazioni si ascoltano sulla frequenza di Radio Sarajevo, la quale informa che i serbi hanno rimosso alcuni carriarmati e pezzi d'artiglieria, raggruppandoli all'interno degli insediamenti civili di Grbavica, Lukavica e Ilidza. Più tardi, alla conferenza stampa, i giornalisti vengono informati che: - Non ci sono state rimozioni significative di armi pesanti dalle postazioni che tengono l'assedio. Alle H.21.00 di ieri, sono state rilevate dai ricognitori, solamente rimozioni limitate, considerate insignificanti, tuttavia pur essendo dette rimozioni ancora in atto, ne cannoni, ne carriarmati o blindati, sono usciti dalla zona di esclusione.- Alle H.12.40 dello stesso giorno, e di nuovo dopo dieci minuti, si ascoltano le sirene dare l'allarme aereo. Il "corridoio blu" viene immediatamente chiuso poi, tra le H.13.05 e le H.13.25 la caccia NATO compie un giro sulla linea dell'assedio, bombardando quattro località presidiate dagli assedianti: Vasin Han a nord-est, Grbavica a sud, Lukavica a sud-ovest, per poi chiudere il cerchio su di un villaggio nei pressi di Ilidza a ovest.
Dal quartiere di Dobrinja si possono scorgere le colonne di fumo che si alzano dietro le barricate. L'atteggiamento del gen. Mladic é di totale chiusura nei confronti delle richieste avanzate, e dichiara alla CNN:
- Le forze della NATO troveranno qui un nuovo Vietnam, noi siamo a casa nostra e vinceremo questa guerra.- Alle H.18.55 e alle H.19.08, si sentono nuovamente tuonare i cannoni, e ancora dopo le H.20.30 almeno otto granate cadono in prossimità dell'ex palazzo del ghiaccio di Zetra e sulle colline di Velesici e Kosevsko. Due sono i feriti, un donna e un bambino di sei anni al quale, poche ore più tardi, verrà amputata la gamba destra. La risposta della RRF non tarda a farsi sentire, é l'unità francese che attacca le postazioni da cui sono partiti i colpi, sparando quattro proiettili da 155mm sulla collina di Polijne, a nord-est di Sarajevo. Nei giorni seguenti, le operazioni "Deliberate Force" continuano quotidiane. La TV serba mostra alcuni dei danni procurati e il sangue dei civili inermi. Si sono rovesciate le parti, oggi sono i civili serbi ad essere vittime delle operazioni militari.
La pista che attraversa l'aeroporto

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A Sarajevo non si riesce più a distinguere da chi sono provocate le esplosioni, che continuano a fare da colonna sonora alla vita cittadina. La notte tra l'8 e il 9 settembre, le sirene urlano di nuovo il loro allarme e, subito dopo, si sentono i rombi dei jets seguiti dalle esplosioni a grappolo, poi di colpo, un forte temporale interrompe i raids intorno a Sarajevo. La natura alza la voce, i tuoni e i fulmini di fine estate fanno ammutolire le detonazioni, mettendo momentaneamente in fuga i top guns della NATO che si ripresentano puntuali a tempesta terminata.
Sono ancora molti gli obbiettivi da colpire e le missioni nel cielo sopra Sarajevo continuano con metodica determinazione. Il 15 settembre, in concomitanza con la visita del nuovo Ministro degli esteri francese, la strada statale che da Sarajevo porta ad Ilidza, viene aperta al transito dei veicoli ONU, senza che il traffico sia sottoposto a nessun controllo da parte dei serbi. Viene riaperto anche l'aeroporto, dopo cinque mesi e mezzo di chiusura forzata sotto la minaccia delle armi serbo-bosniache. Purtroppo la rimozione delle armi pesanti non procede, gli spostamenti continuano ad essere limitati all'interno della zona di esclusione e le poche armi rimosse sono in quantità insoddisfacente.
Domani, 16 settembre, scade nella notte l'ennesimo ultimatum di 72 ore, ma non sembra che i serbi, nutrano la volontà di conformarsi agli accordi sottoscritti. Il braccio di ferro continua, la pazienza della NATO e dell'ONU é quella dei più forti. Per ora, i risultati raggiunti sono pochi; la riapertura dell'aeroporto ai voli militari, in attesa di potere riaprire il ponte aereo, l'apertura del "Corridoio Blu" al traffico civile e l'apertura della statale che attraversa Ilidza al traffico ONU. Ma l'assedio continua. Poi, finalmente, il 16 settembre, un numero giudicato significativo di pezzi d'artiglieria comincia a ripiegare fuori dalla zona di esclusione. In conformità con gli accordi presi, sono tutti calibri superiori ai 100mm. Ma la granata che ha causato l'ultimo massacro era da 82mm, quel mortaio non verrà rimosso. Intanto i cecchini continuano, da Grbavica, a seminare il panico e la morte tra i passanti. Verso la fine di settembre la rimozione é pressoché ultimata, il mediatore della Casa Bianca, Hollbrooke, continua a volare nelle capitali balcaniche per incontrarsi con le parti, ma non é facile ottenere risultati, anche se i combattenti sono stanchi e i civili psicologicamente stremati, l'odio seminato da oltre tre anni e mezzo di conflitto é molto profondo.

Inoltre, dopo l'intervento NATO, le forze croato-musulmane hanno lanciato un'offensiva congiunta nella Bosnia occidentale, avvicinandosi pericolosamente a Banjaluka, dove più di 400.000 profughi in fuga vengono sospinti dall'offensiva che avanza senza trovare resistenza. Fuggono dalla Krajna e dalla Bosnia centrale, hanno perso tutto, arrivano a Banjaluka a bordo di auto stracariche o di carri agricoli, molti dei quali trainati dai cavalli, si sono lasciati alle spalle la casa e la terra, nessuno può garantire il loro rientro. Questa situazione, giudicata catastrofica, dall'UNHCR e dalla Croce Rossa Internazionale, non favorisce di certo l'accordo per il cessate il fuoco. Tuttavia, dopo reiterate pressioni, le forze croato-musulmane sono costrette a fermarsi.

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