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07 gennaio 2014

Damasco, gli spari, la paura degli attentati, il freddo e la fame
di Mauro Pompili

Il racconto di volontari dell'organizzazione Armadilla un'associazione romana di solidarietà che nonostante i colpi di mortaio continua a impegnarsi nella capitale siriana

La guerra a Damasco è il susseguirsi dei colpi sparati dalla collina alle spalle della città, è la paura degli attentati, è il freddo dell'inverno da affrontare senza combustibile, è la fame e la paura. Questa quotidianità è quella che ha vissuto Monica, appena tornata da Damasco, una delle poche italiane che in questi ultimi mesi è entrata nel Paese. "Era più di un anno che non andavo a Damasco è mi ha colpito il traffico tornato caotico. La volta scorsa la città era praticamente deserta. Adesso, invece, ingorghi e tanta gente per le strade. Anche al souq Hamedia (il grande mercato ndr) tutti i negozi erano aperti, anche se con poche merci. E come se la gente si fosse abituata alle bombe."

Convivere con la paura. "Siamo andati al solito forno del pane, c'era la fila e una donna ci ha raccontato che un'ora prima lì a fianco era caduto un razzo." Monica lavora con Armadilla, un'associazione romana di solidarietà che nonostante i colpi di mortaio continua a impegnarsi nella capitale siriana. "A guardare meglio  - continua - si scopre che il traffico è causato dai posti di blocco posti a ogni incrocio. I miei anici di Damasco mi hanno detto che ormai la macchina è una cosa da ricchi, il prezzo della benzina è triplicato in meno di un anno."

Dal campo di Yarmouk la battaglia per Damasco. Armadilla collabora con l'associazione di donne "Zahret al-Mada'en", da molti anni impegnata nella periferia più povera di Damasco. Nel loro centro sociale, che si trovava a Hajar Al-Aswad, realizzavano attività di formazione e di produzione, corsi di recupero per i bambini disabili e di alfabetizzazione per le donne adulte. Il centro era anche il solo luogo della zona dove i piccoli con handicap fisici potevano fare fisioterapia. Poi il quartiere, confinante con il campo palestinese di Yarmouk, è diventato il fronte più caldo della battaglia per Damasco. "Alcune volontarie di ZAM abitavano a Yarmouk. I loro mariti sono rimasti a casa nel tentativo di difendere il poco che avevano - racconta Monica  -  Zharin mi ha detto che da più di cinque mesi non vede il marito, è molto preoccupata perché nel campo non entra più nulla, neppure il poco cibo che prima passava."

Dallo sviluppo alla distribuzione di alimenti. La guerra, però, non ha fermato le donne di ZAM. Insieme ai cooperanti di Armadilla, hanno trasferito il centro in una zona più tranquilla della città. "La sede del centro era una costruzione grande, realizzata con i fondi dell'Unione Europea, con un piccolo giardino - dice Marco, direttore di Armadilla anche lui appena rientrato dalla Siria - una vera oasi verde nel cemento infinito di Hajar Al-Aswad. L'edificio è ancora in piedi, ma tutte le attrezzature per la fisioterapia, la scuola e il lavoro sono stati rubate." L'attività principale oggi è la distribuzione di alimenti e kit per l'inverno. Damasco quest'anno è stata già ricoperta dalla neve e il freddo è intenso. mo lavorando per ampliare il numero di famiglie."

Non si arrendono le donne di Damasco. Sono pochissime le associazioni di solidarietà italiane presenti a Damasco, Armadilla non è arrivata con la guerra e non è andata via per la guerra. "Quello che mi stupisce delle donne di ZAM - dice ancora Monica - è la voglia di andare avanti. Lo dimostrano le volontarie che attraversano la città per raggiungere la nuova sede, magari scortate da un familiare, o le mamme che impiegano anche tre ore pur di portare il figlio disabile al corso di sostegno". Donne che non hanno voluto limitarsi a distribuire alimenti. Tra mille difficoltà hanno fatto ripartire altre attività. "Sembra quasi impossibile che in uno spazio così ridotto si riesca a distribuire gli alimenti, realizzare momenti di svago per i più piccoli e tenere i corsi di recupero scolastico."

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