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6 agosto 2014


Risoluzione 101 del conflitto

di Medea Benjamin

Traduzione di Maria Chiara Starace

Il mondo attende con il fiato sospeso di vedere se la tregua ad interim negoziata dal Segretario di stato americano John Kerry, porterà a un cessate il fuoco a lungo termine. Se però la mediazione degli Stati Uniti deve essere sincera ed efficace, il governo americano ha bisogno di togliere Hamas dalla sua lista di terroristi e di permettere a quella organizzazione di essere pienamente rappresentata al tavolo.
Nel mese scorso il segretario Kerry ha viaggiato in Medio Oriente cercando di negoziare una fine delle violenze. Ha avuto colloqui continui con il Primo ministro israeliano Netanyahu. Si consulta regolarmente con il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Ha fatto riunioni con i governi di paesi influenti nella regione, come l’Egitto, la Turchia e il Qatar. C’è però un’omissione lampante nei suoi tentativi di mediatore: non parla direttamente con Hamas, che è stato sulla lista statunitense dei terroristi fin dal 1997.
La risoluzione 101 del conflitto dice di “negoziare con tutti i partiti rilevanti.” Il senatore George Mitchell, che ha negoziato con successo l’Accordo del Venerdì Santo nell’Irlanda del Nord, ha detto che dei negoziati seri erano possibili soltanto una volta che i Britannici avessero smesso di trattare l’Esercito Repubblicano irlandese come un’entità politica e cominciassero a trattarlo come un’entità politica. Il governo turco ha imparato la lezione più di recente. Dopo aver combattuto per decenni contro il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), il Primo Ministro turco Tayyip Erdogan ha deciso di rimuovere il PKK dalla lista dei terroristi e ha iniziato negoziato diretti con il leader del PKK, detenuto, Abdullah Ocalan – una mossa che ha dato nuova vita al processo di pace.
Non si può ritenere di essere un mediatore e poi escludere una parte essenziale perché questa non piace. Questa lezione si applica certamente a Gaza. Se la posizione di Hamas viene ascoltata soltanto attraverso degli intermediari, è molto più probabile che Hamas rifiuti il risultato. Guardate la proposta di Kerry del 15 luglio per il cessate il fuoco. E’ stata negoziata con il governo israeliano e Netanyahu si è vantato della disponibilità di Israele di accettare la proposta. Hamas, però, non è stato mai consultato e in realtà ha saputo della proposta del “prendere o lasciare” tramite i media. Non c’è da meravigliarsi che la abbiano rifiutata. L’ex inviato dell’ONU Richard Falk ha definito i tentativi di Kerry “un equivalente diplomatico del teatro dell’assurdo.”
L’ala militare di Hamas, le Brigate Izz ad-Din al-Qassam, è stata certamente coinvolta in attività terroristiche: dagli attentati suicidi negli anni ‘90 al lancio di missili nelle zone di Israele abitata da civili. Hamas ha però un’ala che si occupa di previdenza sociale che ha per lungo tempo fornito servizi sociali frequentemente non forniti dall’Autorità Palestinese.
E dopo che ha vinto le elezioni nel 2006, la sua ala politica ha cominciato a funzionare come un governo, sovraintendendo non soltanto alla sicurezza, ma a istituzioni più ordinarie, come i ministeri della Sanità, dell’Istruzione, del Commercio e dei Trasporti. I membri più moderati di Hamas tendono a gestire le agenzie governative, frequentemente in disaccordo con i membri più militanti.
In occasione di una delle visite di una delegazione umanitaria di CODEPINK a Gaza, subito dopo l’orribile incursione israeliana del 2009 che ha provocato la morte di oltre 1.400 Palestinesi, ho avuto un’esperienza diretta con alcuni di questi funzionari di governo quando mi hanno chiesto un incontro con tre membri della nostra delegazione, compresi due di noi che si erano apertamente identificati come americani ebrei.
Mi aspettavo che l’incontro sarebbe stato teso, con rancori espressi verso di noi in quanto americani – dopo tutto il nostro governo aveva finanziato le recenti operazioni – e in quanto ebrei. Non siamo stati soltanto accolti caldamente dal gruppo di circa dodici uomini, ma ci è stato detto ripetutamente: “Non abbiamo nessun problema con la religione ebraica; infatti la troviamo molto vicina all’Islam. Il nostro problema è con le politiche israeliane, non con gli ebrei.”
Mi sono resa conto che Hamas, come qualsiasi organizzazione politica, è formata da una molteplicità di individui con prospettive politiche diverse. Alcuni sono islamisti inflessibili, ostili verso l’Occidente e determinati a distruggere Israele. Altri, come quelli con cui ci siamo incontrate, avevano ottenuto lauree in università occidentali, apprezzavano molti aspetti della cultura americana ed europea, e credevano di poter negoziare con gli israeliani.
Il giorno seguente, i capi di Hamas con i quali ci siamo incontrati, mi hanno dato una lettera da portare al Presidente Obama chiedendogli il suo aiuto. Era firmata dal Dottor Ahmed Yousef, Vice Ministro degli Esteri e primo consigliere del Primo Ministro di Gaza, Ismael Haniya. Il linguaggio era privo della retorica anti-israeliana ed era invece pervaso di riferimenti alla legge internazionale e ai diritti umani. Chiedeva l’abolizione dell’assedio a Gaza, uno stop a tutte le costruzioni di insediamenti e un cambiamento della politica statunitense che dimostrasse un’imparzialità basata sulla legge e sulle norme internazionali. Affermava che Hamas era disponibile a parlare a tutte le parti, compresa, ovviamente, Israele, “sulla base di rispetto reciproco e senza precondizioni.”
Ho trovato sorprendente che questi rappresentanti di un governo che era stato soggetto a un attacco recente e brutale, finanziato in gran parte con dollari delle tasse statunitensi, stessero mettendosi in comunicazione con il presidente Obama con una supplica così ben motivata di intervenire. Perfino più sorprendente è il fatto che dessero la lettera a me, una donna americana femminista, ebrea, per cercare di consegnarla all’amministrazione Obama.
Di ritorno a Washington DC, ho consegnato la lettera, ma malgrado la mia insistenza, l’amministrazione Obama ha rifiutato perfino di riconoscerne la ricezione, e tanto meno di inviare una risposta. E’ stata un’altra perdita ancora per i moderati di Hamas e una vittoria per coloro che consideravano la resistenza armata come l’unico modo di ottenere concessioni da Israele.
Come la lettera che ho ricevuto nel 2009, le controproposte che Hamas ha presentato il mese scorso sono state molto ragionevoli:
Ritiro dei carri armati israeliani dal confine di Gaza;
Liberare i prigionieri arrestati dopo l’uccisione dei tre ragazzi;
Levare l’assedio e aprire i valichi di confine al commercio e alla gente, sotto la supervisione dell’ONU;
Stabilire un porto e un aeroporto internazionale sotto la supervisione dell’ONU;
Incrementare la zona di pesca permessa per ottemperare alle norme internazionali;
Ristabilire una zona industriale e miglioramenti per un ulteriore sviluppo nella Striscia di Gaza.
Non soltanto queste condizioni sono ragionevoli, ma formano anche la base di una tregua duratura che vuole arrivare ai problemi di sistema che ci sono dietro. L’unico modo in cui questo avverrà è se Hamas verrà tolto dalla lista dei terroristi e gli verrà data la possibilità – e la responsabilità – di negoziare questi cambiamenti di sistema che i Palestinesi meritano e di cui hanno una necessità disperata.



Medea Benjamin (@MedeaBenjamin) è coofondatrice del gruppo pacifista CODEPINK e dell’Organizzazione Global Exchange. E’ autrice di : Drone Warfare:Killing by Remote Control [La guerra con i droni: uccidere con controllo a distanza].



Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org


Fonte: http://zcomm.org/znet/article/conflict-resolution-101


Originale: non indicato


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