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July 22nd, 2014

Telegenicamente Morti: la fatiscente guerra mediatica di Israele
di Deepa Kumar

La propaganda israeliana ha raggiunto un nuovo fondo. Mentre il mondo stava ancora cercando di venire a patti con la morte di massa in Shujaiyeh, Benjamin Netanyahu è andato alla CNN per affermare che Hamas utilizza la strategia del telegenicamente morti, per favorire la loro causa. Ha poi aggiunto che per Hamas: "Quanto più morti, meglio è." Così, mentre Netanyahu eseguiva il copione della propaganda, che è quello di mostrare in primo luogo simpatia ed esprimere il rimorso, riducendo i morti palestinesi ad una foto-opportunity, ha rivelato come funziona la sua mente.

C'è uno script standard per come trattare con le vittime palestinesi. Dopo che Israele ha ucciso i quattro ragazzi sulla spiaggia di Gaza il 16 luglio, i media dell'establishment Usa è sceso si è accodato dietro al quadro PR di Israele: riconoscere la tragedia, ma la colpa è di Hamas. Questo è esattamente ciò che il portavoce israeliano Mark Regev ha detto su Channel 4 News, quando è stato messo alle strette dall'ancorman Jon Snow. E' anche la stessa risposta usata da portavoce del Dipartimento di Stato USA Jen Psaki, parola per parola.

Questo quadro, sviluppato nel 2009, si trova nel dizionario di lingua globale del The Israel Project 2009. Il manuale orwelliano fornisce una descrizione dettagliata su come "comunicare efficacemente il sostegno a Israele."

Una delle sue prime istruzioni è che i propagandisti pro-israeliani hanno bisogno di mostrare empatia. Il manuale insiste sul fatto che essi devono "mostrare empatia per entrambe le parti" come un modo di guadagnare credibilità e fiducia. Per assicurarsi che il punto sia capito, il manuale ripete (questa volta in grassetto e sottolineato) l'istruzione "usare Empathy", il suggerimento spiega che l'empatia è uno strumento importante da utilizzare nella guerra di propaganda.

Quando i bambini palestinesi innocenti e le donne vengono uccise, la prima risposta dovrebbe essere quella di mostrare empatia; le seguente è quello di riformulare la questione affermando che Israele non ne ha colpa e che sta difendendo solo se stesso e, inoltre, che vuole solo la pace. Anche quando piove morte e distruzione sui palestinesi, il manuale è chiaro: "ricordare alla gente ancora e ancora, che Israele vuole la pace."

Sviluppato dopo la guerra di Gaza del 2008, quando gli americani hanno cominciato a mostrare maggiore simpatia per i palestinesi, questo manuale di propaganda cerca di affrontare alcune delle carenze verificatesi durante l'Operazione Piombo Fuso. Tra i vari espedienti che suggerisce, il manuale osserva che è importante distinguere tra il popolo palestinese e Hamas. Ayman Moyheldin, uno dei pochi giornalisti internazionali che hanno coperto Piombo Fuso, ha osservato che Israele ha cercato di "ritrarre tutti in Gaza come simpatizzanti di Hamas, quindi simpatizzanti dei terroristi" come un modo per giustificare la loro uccisione indiscriminata.

I manuali del 2009, che hanno analizzato questa strategia affermano che, mentre l’america assimila che Hamas è un'organizzazione terroristica . . . se suona come attaccare il popolo palestinese . . . se ne perde il supporto. E sottolinea accuratamente: ... Proprio ora, molti americani simpatizzano con le sofferenze dei palestinesi, e la simpatia aumenterà se non si riesce a distinguere le persone dai loro leaders"

In altre parole, al fine di diminuire la simpatia per il popolo palestinese sono state necessarie nuove tattiche per argomentare quelle più vecchie.

La propaganda israeliana ha una lunga storia. Nel 1982 l'invasione israeliana del Libano è stata accolta dalla condanna internazionale. In particolare, il massacro dei palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila ha danneggiato la sua immagine pubblica. Israele quindi ha istituito una struttura di PR permanente che avrebbe funzionato per coltivare una buona copertura mediatica negli Stati Uniti. Il progetto Hasbara ha coinvolto nella formazione diplomatici israeliani e addetti stampa, sul come parlare in modi che assicurassero una copertura mediatica favorevole. Il gruppo di controllo dei media, Comitato per l'Accuratezza nel Medio Oriente Reporting in America (CAMERA), è stato costituito per monitorare e rispondere alla copertura sleale dei media di Israele.

Ma la copertura pro-israeliana non è semplicemente il prodotto di buoni spunti di discussione, piuttosto deriva dallo speciale rapporto tra Stati Uniti e Israele e dai loro reciproci interessi in Medio Oriente. Non è un caso che Jen Psaki abbia usato lo stesso linguaggio di Mark Regev. O che John Kerry faccia eco a Benjamin Netanyahu.

L'élite politica degli Stati Uniti, l'élite in Israele, e i proprietari dei media aziendali condividono un insieme di interessi economici e politici comuni, che assicurano che la propaganda filo-israeliana domini sui media dell'establishment. Qualora giornalisti e organizzazioni dei media rompessero lo script, vari gruppi pro-israeliani, come CAMERA, generano contrattacchi, portando abbastanza pressioni su editori e giornalisti fino a ricondurli in linea.

Come Glenn Greenwald ha osservato di recente, le figure dei media e i dirigenti sono più terrorizzati dal coprire Israele rispetto a qualsiasi altra questione. Jon Stewart ha fatto comicamente lo stesso punto nel suo segmento "Abbiamo bisogno di parlare di Israele".

Il risultato finale è che la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese segue schemi pro-israeliani prevedibili che sono descritti in un video educativo realizzato da uno studioso dei media Sut Jhally chiamato Pace, Propaganda, e la Terra Promessa: Media Usa e il conflitto israelo-palestinese .

Crepe nella macchina della propaganda

Ma qualcosa di nuovo sta accadendo nell'establishment mediatico, in particolare dopo la tragedia del 16 luglio. Ayman Moyheldin ora lavora per la NBC ha assistito e coperto l’assassinio a sangue freddo di Israele dei quattro giovani ragazzi palestinesi che giocano a calcio sulla spiaggia. La copertura di Moyheldin era viscerale, ma è stata portata da NBC comunque.

Tuttavia NBC, ha subito richiamato Moyheldin, senza dare spiegazioni del motivo per cui il suo migliore giornalista su questo argomento (Moyheldin ha già coperto Gaza, parla l'arabo, e ha una buona comprensione della politica del Medio Oriente) venga richiamato.

Questo è il protocollo standard del supporto dell'establishment. Ma quello che è successo dopo è tutt'altro che standard.

Dopo l'articolo di Glenn Greenwald su questo alla Intercept, un gran numero di persone, soprattutto attraverso i social media, ha messo la NBC sulle braci. In contrasto con i modelli standard in cui l'unica pressione proviene da gruppi pro-israeliani ben finanziati, questa volta la gente comune, avvolti dal numero di morti palestinesi hanno organizzato il loro dissenso.

Il risultato fu che Ayman Moyheldin venne reintegrato. Ha scritto su Twitter: Grazie per tutto il supporto. Torno a # Gaza. Orgoglioso del continuo impegno di NBC per coprire il lato #palestinese della storia - 20:31 - 18 luglio 2014 - 6934 retweet 5342 preferiti.

Indignazione simile per Diane Sawyer della ABC che erroneamente identificò la devastazione e la sofferenza dei palestinesi come quella degli israeliani, fornendo poi rare scuse da parte dei media corporativi pedissequamente pro-Israele.

La dinamica al lavoro è la seguente: in primo luogo, i media indipendenti hanno svolto un ruolo fondamentale nel contrastare la propaganda israeliana e offrendo conti alternativi. In secondo luogo, i social media hanno fornito un forum da cui il giornalismo indipendente, così come i rapporti di prima mano con il popolo palestinese a Gaza, sono diffusi. In terzo luogo, in questi spazi Israele sta perdendo la guerra di propaganda, nonostante le sue vaste risorse di folletti ed esperti di disinformazione. In quarto luogo, gli attivisti di base utilizzando i social media sono stati in grado di esercitare pressioni sui media dell'establishment. Quinto, questo clima ha permesso ai giornalisti dell'establishment sul campo di essere più prossimi agli orrori che stanno accadendo a Gaza.

Così, a Tyler Hicks, un fotoreporter del New York Times, che ha anche testimoniato l'attacco israeliano sulla spiaggia è stato permesso di contribuire con una storia sul Times sulla sua esperienza. Svelando la menzogna della rivendicazione di Israele che le bombe vanno solo sugli obiettivi di Hamas, ha scritto: "Una piccola baracca di metallo senza elettricità ne acqua corrente, su di un pontile, sotto al cocente sole della spiaggia, non sembra il tipo di posto frequentato dai militanti di Hamas, che Forze di Difesa d’Israele hanno come obiettivi». I bambini, meno di un metro e mezzo di altezza, vestiti in abiti estivi, che scappano da una esplosione, non si adattano alla descrizione di combattenti di Hamas."

Sulla spiaggia dove si è verificata questa tragedia, Hicks ha chiesto: "Se i bambini vengono uccisi, che c’è lì per proteggere me, o chiunque altro?"

Ben Wedeman, corrispondente veterano estero della CNN, ha scoperto di prima mano che nulla può proteggere i giornalisti. E' stato colpito alla testa da un proiettile di gomma israeliano. A seguito di ciò, ha inviato un report su di una famiglia di Gaza che era stata evacuata dal quartiere in previsione di un attacco israeliano. L'urlo di orrore e il panico di una bambina che sente un attacco missilistico vicino alla sua posizione riempiva gli schermi dei telespettatori della CNN.

Per la prima volta, forse, gli americani stanno assistendo alla sofferenza del popolo palestinese attraverso la stampa dell'establishment. Anche mentre il quadro di "incolpare Hamas" domina la copertura dei media mainstream, l'umanità del popolo palestinese irrompe lungo i decenni, sulla facciata consolidata della propaganda filo-israeliana.

E come potrebbe essere diversmaente? Quando l'esperienza reale dei giornalisti contraddice la narrazione della propaganda, se hanno un cuore o un cervello, non possono fare a meno di vedere la propaganda sionista per quello che è. Questo è forse il motivo per cui Israele ha tenuto fuori i giornalisti stranieri durante l'operazione Piombo Fuso del 2008.

Un altro giornalista, di CNN Diana Magnay, ha sentito gli evviva degli israeliani mentre i palestinesi venivano bombardati, ed è un po' inorridita da dire spontaneamente in onda "è davvero sorprendentemente, macabro e una cosa veramente terribile guardare questa ostentazione del fuoco nell’aria." Come giornalista addestrata, sembra essersi auto-censurata sostituendo con le parole "fuoco nell’aria" quello che realmente pensava del tifo della gente: feccia, la parola che avrebbe poi twittato.

Nonostante la grave intimidazione affrontata dai giornalisti, in questo caso hanno bombardato la macchina di Diana Magnay per una parola sbagliata, tale pressione sembra funzionare sempre meno. Mentre Magnay è stataa richiamataa da Gaza, un vigile ambito nei social media combinato con proteste di massa in tutto il mondo, ha creato un clima in cui se le istituzioni dei media devono mantenere la loro credibilità devono almeno sembrare equilibrate.

Questa è la crepa che gli attivisti per i diritti dei palestinesi e i sostenitori devono sfruttare al fine di riformulare il dibattito. Mentre al nostro lato mancano i gruppi di pressione, i mezzi di sorveglianza, i folletti pagati, gli esperti di disinformazione, e le vaste risorse finanziarie degli israeliani, noi abbiamo una cosa che gioca a nostro vantaggio, la verità.


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July 22nd, 2014

Telegenically Dead: Israel’s Crumbling Media War
by Deepa Kumar

Israeli propaganda has hit a new low. While the world was still trying to come to terms with the mass deaths in Shuja’iyeh, Benjamin Netanyahu went on CNN to state that Hamas uses the “telegenically dead” to further “their cause.” He added that for Hamas: “The more the dead, the better.” Even while Netanyahu followed the propaganda script, which is to first show sympathy and express remorse, by reducing dead Palestinians to a photo-op he showed how his own mind works.

There is a standard script for how to deal with Palestinian casualties. After Israel killed four boys on the Gaza beach on July 16th, the US establishment media fell in line behind Israel’s PR framework: acknowledge the tragedy but blame Hamas.  This is exactly what Israeli spokesperson Mark Regev said on Channel 4 News when grilled by the anchor Jon Snow. It is also how the US State Department spokesperson Jen Psaki responded using the same word-for-word talking points.

This framework, developed in 2009, can be found in The Israel Project’s 2009 Global Language Dictionary. The Orwellian manual provides a detailed outline on how to “communicate effectively in support of Israel.”

One of its first instructions is that pro-Israeli propagandists need to show empathy. The manual insists that they should “show empathy for BOTH sides” (caps in original) as a way of gaining credibility and trust. To make sure that the point is understood, the manual repeats again (in bold and underlined this time) the instruction “use Empathy”—the suggestion being that empathy is an important tool to be used in the propaganda war.

When innocent Palestinian children and women are killed, the first response should be to show empathy; the next is to reframe the issue stating that Israel is not to blame and that it is only defending itself and further that it only wants peace. Even when it is raining death and destruction on Palestinians, the manual is clear: “Remind people—again and again—that Israel wants peace.”

Developed after the 2008 Gaza war, when Americans began to show greater sympathy for Palestinians, this propaganda manual tries to address some of the shortcomings during Operation Cast Lead. Among the various shifts it suggests, the manual notes that it is important to distinguish between the Palestinian people and Hamas. Ayman Moyheldin, one of the few international reporters who covered Cast Lead, noted that Israel sought to “portray everyone in Gaza as a Hamas sympathizer, as a terrorist sympathizer” as a way to justify its indiscriminate killing.

The 2009 manual counters this strategy stating that while American’s “get” that “Hamas is a terrorist organization. . .if it sounds like you are attacking the Palestinian people. . .you will lose support.” It carefully emphasizes again: “Right now, many Americans sympathize with the plight of the Palestinians, and that sympathy will increase if you fail to differentiate between the people from their leaders.”

In other words, in order to decrease sympathy for the Palestinian people new tactics were needed to augment older ones.

Israeli propaganda has a long history. In 1982 the Israeli invasion of Lebanon was met with international condemnation. In particular, the massacre of Palestinians in the refugee camps of Sabra and Shatila damaged its public image. Israel then instituted a permanent PR establishment that would work to cultivate good media coverage in the US. The Hasbara project involved training Israeli diplomats and press officers on how to speak in ways that ensured favorable media coverage. The media watchdog group, Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America (CAMERA) was formed to monitor and respond to “unfair” media coverage of Israel.

But pro-Israeli coverage isn’t simply the product of good talking points rather it stems from the “special relationship” between the US and Israel and their mutual interests in the Middle East. It is not a coincidence that Jen Psaki would use the same language as Mark Regev. Or that John Kerry would echo Benjamin Netanyahu.

The US political elite, the elite in Israel, and the owners of the corporate media share a set of common economic and political interests that ensures that pro-Israeli propaganda dominates in the establishment media. Should journalists and media organizations break from the script, various pro-Israeli groups, such as CAMERA, generate flak and bring enough pressure to bear on editors and reporters that they are brought back into line.

As Glenn Greenwald noted recently, media figures and executives are more “petrified” of covering Israel than any other issue. Jon Stewart comically made the same point in his segment “We Need to Talk about Israel.”

The end result is that news coverage of the Israeli-Palestinian conflict follows predictable pro-Israeli patterns that are outlined in an educational video produced by media scholar Sut Jhally called Peace, Propaganda, and the Promised Land: US Media and the Israeli-Palestinian Conflict.

Cracks in the Propaganda Machine

But something new has been happening in the establishment media, particularly since the July 16th tragedy. Ayman Moyheldin now working for NBC witnessed and covered Israel’s cold blooded murder of four young Palestinian boys playing soccer on the beach. Moyheldin’s coverage was gut wrenching but it was carried by NBC nevertheless.

However, NBC immediately recalled Moyheldin, giving no explanation for why its best journalist on this topic (Moyheldin has covered Gaza before, speaks Arabic, and has a good understanding of Middle East politics) might be pulled out of Gaza.

This is standard establishment media protocol. But what happened next is anything but standard.

Following Glenn Greenwald’s article on this at the Intercept, large numbers of people, primarily through social media, held NBC’s feet to the fire. In contrast to standard patterns where the only pressure comes from well-funded pro-Israeli groups, this time ordinary people who are reeling from the Palestinian death toll organized their dissent.

The result was that Ayman Moyheldin was reinstated. He tweeted: Thanks for all the support. Im returning to #Gaza to report. Proud of NBC’s continued commitment to cosver the #Palestinian side of the story
8:31 PM – 18 Jul 2014
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Similar outrage at ABC’s Diane Sawyer who misidentified the devastation and suffering of Palestinians as Israeli, prompted a rare apology from the slavishly pro-Israel corporate media.

The dynamic at work is as follows: First, independent media have played a crucial role in countering Israeli propaganda and offering alternative accounts. Second, social media have provided a forum from which independent journalism, as well as first hand reports from Palestinian people in Gaza, are circulated. Third, in these spaces Israel is losing the propaganda war, despite its vast resources of trolls and misinformation experts. Fourth, grassroots activists using social media have been able to bring pressure to bear on the establishment media. Fifth, this climate has enabled establishment journalists on the ground to be more forthcoming about the horrors of what is happening in Gaza.

Thus, Tyler Hicks, a photojournalist for the New York Times, who also witnessed the Israeli attack on the beach was allowed to contribute a story in the Times about his experience. Calling the lie to Israel’s claim that it only bombs Hamas targets, he wrote: “A small metal shack with no electricity or running water on a jetty in the blazing seaside sun does not seem like the kind of place frequented by Hamas militants, the Israel Defense Forces’ intended targets. Children, maybe four feet tall, dressed in summer clothes, running from an explosion, don’t fit the description of Hamas fighters, either.”

At the beach when this tragedy occurred, Hicks asked: “If children are being killed, what is there to protect me, or anyone else?”

Ben Wedeman, CNN’s veteran foreign correspondent, found out first hand that nothing can protect journalists. He was hit in the head by an Israeli rubber bullet. Following this, he filed a report of a family in Gaza who were evacuating their neighborhood in anticipation of an Israeli attack. The scream of horror and panic of a little girl hearing a missile strike close to her location filled the screens of CNN viewers.

For the first time, perhaps, Americans are witnessing the suffering of Palestinian people in the establishment press. Even while the framework of “Blame Hamas” dominates mainstream media coverage, the humanity of Palestinian people is cracking through the decades long, well established façade of pro-Israeli propaganda.

And how can it not? When the actual experience of journalists contradicts the propaganda narrative, if they have a heart or a brain, they cannot help but see Zionist propaganda for what it is. This is possibly why Israel kept out foreign journalists during the 2008 Cast Lead operation.

Another journalist, CNN’s Diana Magnay, hearing the cheers of Israeli’s as Palestinians were being bombarded, and somewhat horrified by it said spontaneously on the air—“it is really astonishing, macabre and an awful thing really to watch this display of fire in the air.” As a trained journalist, she seems to have self-censored and substituted the words “fire in the air” for what she actually thought about the people cheering on: “scum,” the word she would later tweet.

Despite the serious intimidation faced by journalists, in this case to bomb Magnay’s car if she got even “a word wrong,” such pressure seems to be working less and less. While Magnay was called away from Gaza by CNN, a vigilant social media sphere combined with mass protests around the world has created a climate where if media institutions are to retain their credibility they have to at least appear to be balanced.

This is the opening that Palestinian rights activists and supporters need to harness in order to reframe the debate. While our side lacks lobby groups, media watchdog outfits, paid trolls, disinformation experts, and the vast financial resources of the Israeli side, we do have one thing going for us—the truth.


Deepa Kumar is an associate professor of Media Studies and Middle East Studies at Rutgers University. She is the author of Islamophobia and the Politics of Empire: Empire Abroad and at Home and Outside the Box: Corporate Media, Globalization, and the Ups Strike.

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