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31/07/2014

Solo la resistenza culturale si oppone alla forza bruta che agisce a Gaza e Mosul
di Fady Noun

Alla forza bruta noi non abbiamo davvero altro mezzo per opporci se non attraverso la riaffermazione del fatto che la nostra forza, l'attaccamento feroce all'accettazione felice, piena di vita dell'altro, con le sue gioie e le sue pene, e la resistenza a tutti i fondamentalismi, sunnita, sciita ed ebreo.

Beirut (AsiaNews) - Alla forza bruta che vediamo in azione a Gaza o Mosul, non abbiamo davvero la forza di opporci, come singoli o gruppi solidali, se non con la forza dello spirito, del pensiero, della cultura. Le richieste di aiuto lanciate all'Occidente non servono alla nostra causa che come i palliativi dati a un moribondo. Ma noi vogliamo vivere e abbiamo in noi la vitalità di un giovane germoglio pieno di linfa che non chiede che di crescere.

Le bizzarrie della storia e i piani dei potenti non potranno mai vincere lo spirito di una nazione, finché potrà esprimersi attraverso la cultura. L'esempio più eclatante, nella storia d'Europa è la Polonia, divisa a un certo punto tra la Germania e la Russia. Ne parla Giovanni Paolo II in un celebre discorso pronunciato all'Onu: "Io, vescovo di Roma e figlio di questa nazione che i suoi vicini avevano cancellato dalla carta e che non ha dovuto la sua sopravvivenza che alla cultura, questa forza che come un fiume sotterraneo percorre le distese della coscienza finché, un giorno, infine emerge in pubblico (...) Uomini di cultura, voi siete i più potenti tra i potenti".

"Un potere - disse ancora all'Onu - non trae la sua legittimazione che nella sua capacità di incarnare la cultura della nazione". In questo momento di grande dolore e di grande sofferenza, nel quale vediamo bambini presi di mira da soldati determinati a terrorizzare tutto un popolo, fino alla sua energia interiore, alla sua volontà di libertà; in questo momento di grande sofferenza nel quale vediamo in azione, in Siria e Iraq, la lettera della religione uccidere l'anima di un popolo, fissiamo gli occhi su questo postulato dell'esistenza di ogni nazione: la sua cultura, ciò che lo identifica, il suo modo di essere nel mondo e nella storia.

Che delle forze di morte siano in azione in Israele non vogliamo altra prova che la parola di un anziano ufficiale dell'esercito, che ha indicato come reale obiettivo di una operazione militare il compito di "seminare la paura", mentre tutta la retorica dell'esercito israeliano è di ispirazione "difensiva" (Le Monde, 22 luglio 2014). D'altro canto, una agenzia dell'Onu non ha definito ciò che accade "una carneficina"?

Che siano delle forze di morte quelle in opera in Iraq, non è necessario altro che le parole pronunciate dalla stessa popolazione di Mosul: "Lo Stato islamico ha attaccato prima di tutto l'identità della città, ormai privata di gran parte delle sue minoranze e della sua identità spirituale e culturale (...). Questo ci fa davvero male (...). Ho l'impressione che abbiano ucciso la città. Il Paese è finito e la città non ha più valore. E' difficile da descrivere. E' come se ci avessero uccisi dentro", riferisce l'AFP citando un funzionario di Mosul (L'Orient-Le Jour, 28 luglio 2014). "Epurazione col carattere di genocidio", accusa mons. Gollnish, direttore dell'opera d'Oriente, o genocidio culturale.

Ciò che tocca particolarmente in questa confessione, è l'impressione inquietante che è un libanese che parla, che lo stesso Libano è morto un po' a Mosul e che ha il dovere, ormai, di difenderne l'onore e la memoria.

Si è parlato, a proposito della resistenza culturale da opporre ai nuovi barbari, di un "riarmo morale" necessario. Non è affatto questo. Si deve andare prima alla fonte dei valori che agli stessi valori. Il fondamento del pluralismo, che ha fatto la ricchezza di Mosul e della resistenza culturale che bisogna opporre a coloro che l'hanno rasa al suolo è nel rispetto della libertà personale che Cristo ci dà nel Vangelo e che noi abbiamo saputo trasformare, nel nostro mondo, in fortuna di vivere insieme, in cultura della convivenza, questo tesoro insostituibile, questa "via stretta" che noi dobbiamo coraggiosamente difendere.

In un articolo premonitore apparso nel giugno 1978 nella rivista Al-Massarra, Charles Malek, rivolgendosi durante la Settimana delle missioni, ai candidati al sacerdozio, scriveva: "Chi sa cosa ci aspetta ancora, chi sa ciò che il Cristo pianifica e aspetta da noi, dalla Chiesa cattolica e ortodossa - e dicendo cattolica, naturalmente voglio parlare della Chiesa  maronita? (...) Per poco che si lasci vagare la fantasia, a condizione che sia rigorosamente controllata dallo Spirito Santo, si scorge che tutta la vita della Chiesa in Libano, durante i 2000 anni del suo passato, potrebbero non essere altro che una preparazione a ciò che il Cristo sta per chiederle come lavori storici e mondiali nel futuro prossimo (...). Questa Chiesa radicata nella terra d'Oriente, nelle sue lingue e nei suoi costumi, adattata alla sua natura e al suo temperamento, che ha tenuto duro nelle prove - e che prove - che ha conservato la sua libertà e personalità malgrado ogni tipo di avversità - e che avversità - questa Chiesa cattolica e ortodossa non è forse l'eletta e la chiamata alla grandezza di quello che il Cristo le chiederà ancora di accettare? (...) Chi sa, cara Chiesa cattolica e ortodossa, e ripeto che la Chiesa maronita è al centro del cattolicesimo, se il Cristo non ti ha preservata e conservata fino a oggi per una causa che tu non hai neppure sognato?  Chiedigli in ginocchio di sollevare parzialmente il velo sul segreto del tuo essere tenuta in vita, tu che normalmente tutto porterebbe a credere che saresti morta, come altre sono morte da tanto tempo!".

Alla forza bruta che si manifesta a Gaza e Mosul, noi non abbiamo davvero altro mezzo per opporci se non attraverso la riaffermazione del fatto che la nostra forza, l'attaccamento feroce all'accettazione felice, piena di vita dell'altro - con le sue gioie e le sue pene - e la resistenza a tutti i fondamentalismi, sunnita, sciita e ebreo.

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