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Giovedì, 24 Settembre 2015

 

Schengen fa trent'anni e intanto tornano i muri

di Irene Giuntella

 

“È ridicolo parlare dell’accoglienza di soli 120mila rifugiati”. Così ha tuonato Juncker all’inizio del vertice dei ministri degli affari interni Ue, ricordando che il Libano e la Giordania ne accolgono milioni. Un vertice che rispecchia le divisioni interne all’Europa: Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria si sono opposte al piano di ricollocamento, la Finlandia si è astenuta. Si è ricorsi a un voto di maggioranza.

Partirà il ricollocamento di 120mila rifugiati, 66mila dei quali saranno trasferiti dall’Italia e dalla Grecia entro un anno. Solo per circostanze eccezionali gli stati potranno ritardare di un anno il trasferimento del 30% dei richiedenti asilo e non ci saranno compensazioni economiche.

 

I Trent’anni di Schengen tra nuovi muri e controlli alle frontiere

Schengen fa trent’anni ma i muri tornano. Pochi giorni dopo il discorso di Juncker sullo stato dell’Unione, la Germania dopo essersi dichiarata disponibile all’accoglienza, ha posto di nuovo i controlli seppur temporanei alle frontiere. Non si sono fatte attendere anche l’Austria, che ci aveva emozionato con i volontari che andavano a prendere in auto i rifugiati al confine ungherese, e poi la Slovenia. Seguiranno probabilmente la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Olanda e la Francia.

Come già confermato dai portavoce dell’Ue nelle scorse settimane e come risulta anche dall’analisi di Andreia Ghimis dell’European Policy Centre (EPC), rimettere temporaneamente i controlli alle frontiere è legale. L’articolo 25 del codice di Schengen, come riporta anche il report, permette ad uno stato membro che si trovi a fronteggiare minacce alla sicurezza interna di re-introdurre i controlli ai confini. Il paese membro può prendere queste misure inizialmente per un periodo di 10 giorni. Se la minaccia persiste, le procedure possono estendersi e rinnovarsi per diversi periodi di 20 giorni ciascuno, fino ad un massimo di due mesi. Questo però non significa che lo stato possa arbitrariamente decidere il reinserimento delle frontiere, la legislazione lo obbliga a valutare la necessità e la proporzionalità dei controlli che reintroduce. L’analisi dell’ EPC, ricorda infatti che per quanto riguarda il criterio di proporzionalità si deve dimostrare l’impatto  effettivo delle minacce nei confronti della politica interna e sulla sicurezza interna e anche riguardo alla conseguenze dei controlli alle frontiere sulla libertà di movimento dei cittadini europei. La necessità, poi, delle procedure che si intendono intraprendere deve risultare efficace. Ma come ricorda lo studio dell’EPC che dà alcune risposte in vista del Consiglio dei ministri degli interni e del vertice dei capi di governo sull’immigrazione, la Commissione deve tenere costantemente informati sia il Parlamento Europeo che il Consiglio e assicurarsi che le misure siano “appropriate” e “necessarie”. Definizioni che però appaiono vaghe e non chiare, lasciando largo spazio ad interpretazioni come dimostra la diversità di comportamenti: l’Austria e la Germania non si aspettavano ondate improvvise di rifugiati e quindi hanno reintrodotto i controlli per far defluire più lentamente i flussi e mantenere l’ordine pubblico, mentre uno stato come la Slovenia sembra averli reinseriti preventivamente e senza minacce imminenti, persino prima dell’arrivo dei migranti. Su quest’ultimo caso, come fa presente l’autrice dell’analisi, la Commissione Europea dovrebbe indagare più approfonditamente sulla questione.

Per quanto riguarda la Germania comunque non chiuderà alle domande di asilo e secondo l’analisi potrebbe aver reinserito i controlli anche per cercare di forzare la solidarietà tra gli stati e per spingere rispetto alle decisioni da prendere.

Tra i motivi che hanno spinto  i paesi del centro-Est Ue ad apporsi ai flussi migratori con muri e barriere, vi sono sicuramente le scadenze elettorali ravvicinate: quest’anno in Polonia e l’anno prossimo in Slovacchia, secondo quanto riporta l’analisi. Ma d’altra parte i cittadini di questi stati non vogliono rinunciare alla libertà di movimento che come nuovi membri Ue hanno da poco conquistato. Da non sottovalutare poi sono anche le ricadute economiche che possono verificarsi con il reinserimento dei controlli alle frontiere.

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